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Catania - Galeotto fu un documentario sull’industria del tessile, o meglio sul quanto sia inquinante e “nera”. È il 2020 quando Gabriella Grasso, consulente di immagine catanese che della passione per la moda ha fatto il suo mestiere, s’imbatte per caso nel documentario di Rai 2 “Dark Fashion – Il lato oscuro della moda”, un’inchiesta sulla moda che persegue la produzione ossessiva del “fast fashion”, mettendo in cima il profitto, in alcuni casi senza rispettare i diritti e la tutela degli operai e dell’ambiente.
«Fu una rivelazione», racconta. «Ci sono cose che immaginiamo ma magari non abbiamo mai approfondito e arriva il momento in cui ci colpiscono in modo più dirompente. Forse per me era arrivato proprio il momento di capirne di più». Da quel momento, Gabriella si mette a leggere, studiare, fare ricerche e si rende conto che dietro quegli splendidi abiti che consiglia alle sue clienti c’è molto di più della manifattura e dello stile e che vale la pena approfondire per capire quanto siano sostenibili.
«Sono rimasta impressionata. Ho cominciato a capire meglio l’impatto ambientale devastante che c’è dietro la fast fashion, quello che deriva dalla produzione dei vestiti e dal loro smaltimento. Mi sono documentata sull’inquinamento di certe tecniche di lavorazione e su quante microplastiche nei nostri mari derivino proprio dal lavaggio di abiti scadenti “usa e getta”. Per non parlare del consumo di acqua utilizzata per la produzione. E in ultimo, ma non meno importante, ho valutato il terribile costo sociale che questa moda mordi e fuggi ha su certi lavoratori, sottopagati e senza la minima tutela. Insomma, ho capito che dovevo cominciare a fare la mia parte contro questo modo di fare moda».
E così, lei che aveva sempre ricercato la qualità, di questa qualità da tutelare e non gettare proprio per allungare il ciclo di vita dei capi, fa una vera e propria bandiera. E se la sostenibilità nella moda e nella produzione è qualcosa che va sempre perseguito, è anche vero che il miglior rifiuto, in fondo, è quello che non si produce. Ecco perché Gabriella Grasso comincia a pensare al second hand di qualità.«In realtà da Roma in giù è ancora poco sviluppato, ma sono fiduciosa. In ogni caso, nelle mie ricerche, mi sono imbattuta in Okidoki, uno store di Prato, ormai tra le più affermate nel settore degli abiti second hand e del conto vendita di abiti e accessori di tendenza. Uno store che si è ingrandito e specializzato a tal punto da decidere nel 2017, di intraprendere la via del franchising. Ho pensato di aprire un punto nella mia città, proprio al centro di Catania. La cosa bella di questo franchising è che dà la possibilità a ognuno di “caratterizzarlo come crede”».
Nasce così, un anno fa, Oki Doki by Atelielle, la boutique di abbigliamento pre-loved donna, che Gabriella ha modellato a sua immagine a partire dal nome Atelielle che gioca proprio con il suo di nome GabriELLa. Un negozio che va oltre il second hand perché, come spiega Gabriella “Pre-Loved è una filosofia che ha alla base l’esigenza di combinare moda e sostenibilità. Un capo o un accessorio è garanzia di una qualità superiore e di un’attenta selezione ed è un capo in cerca di qualcuno che torni ad amarlo anche se acquistato pochi mesi prima».
«Il mio Atelielle – racconta – si propone di sensibilizzare ulteriormente verso una coscienza “green” e ambientalista. È la dimostrazione che puoi fare di più in termini di ecologia senza rinunciare alla moda, allo shopping e alla voglia di sentirti bella e gratificata. Oltre a un lavoro, per me che oggi ho 53 anni, è diventato un modo per fare vero e proprio attivismo ambientale. Un attivismo che è stato molto apprezzato anche da Legambiente Catania che ne ha sostenuto l’iniziativa e con il quale l’Atelielle ha collaborato nel novembre 2021, donando il 10% del ricavato delle vendite del mese per la piantumazione di alberi in città.
Alle mie clienti, infatti, propongo di vendere ciò che non indossano, aggiungendo personalità a ciò che acquistano perché recuperando un abito, si salvaguarda il pianeta senza sacrificare il look e lo stile”. Come funziona? «In pratica ho un vero e proprio conto vendita, le clienti portano i capi usati (ma come nuovi, senza alcuna modifica o rattoppo) in boutique e possono ricavarne un guadagno: dopo un’attenta valutazione, il capo viene esposto e quando qualcuno vorrà “amarlo di nuovo”, l’ex proprietaria potrà riscuotere la propria percentuale di guadagno». Anche se, in fondo, il vero guadagno sarà quello di aver allungato il ciclo di vita di un prodotto, evitandogli lo smaltimento e quindi i costi ambientali relativi e riducendo i costi, ambientali e sociale, della produzione di un nuovo prodotto.
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