25 Ago 2022

Sfide, negligenze, vittorie e sogni: la missione educativa in un piccolo borgo colpito dal terremoto

Scritto da: Roberto Battista

Siamo a Sellano, un piccolo paese dell'entroterra umbro duramente colpito dal sisma del 2016. Qui opera l'associazione Lumi, che con coraggio cerca di dare un futuro a giovanissimi residenti di quest'area attraverso un'educazione innovativa e consapevole, lottando contro isolamento, assenza delle istituzioni e stereotipi culturali. Uno dei fondatori dell'associazione e collaboratore di Italia Che Cambia, Roberto Battista, ci racconta cos'è successo in questi ultimi sei anni.

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Perugia, Umbria - Sono sei anni dalla nascita dell’associazione Lumi. Nel 2017 scrissi un articolo sul primo anno di questa esperienza. Ecco cos’è accaduto e cosa abbiamo imparato con quei giovani dai 3 ai 15 anni con i quali ci si ritrovò a condividere il dopo terremoto del 2016. Nella primavera del 2018 ci ha lasciati Piergiorgio Faraglia, grande musicista e ancor più grande cuore, amato dai bambini ed elemento fondamentale dell’associazione, ma abbiamo continuato e il lavoro con i piccoli è diventato il fulcro intorno al quale ruota il resto.

In questi anni li ho visti crescere, alcuni sono all’università e hanno imboccato strade diverse, li si rivede d’estate e ci aiutano con i più piccoli. Il gruppo più assiduo ora è di una decina di ragazzine tra i 10 e i 13 anni che partecipano con entusiasmo a tutte le attività. Alcune sono geniali e stanno sviluppando il loro potenziale in un modo promettente. Le ragazze superano i ragazzi nella capacità di apprendimento e nel riciclare in modo personale quello che scoprono.

È il risultato di un ambiente debilitante per lo sviluppo degli uomini, del quale sono corresponsabili famiglia, scuola e media con i loro modelli di comportamento. La televisione in particolare presenta stereotipi di maschile e femminile primitivi e caricaturali, l’immagine della donna è particolarmente grottesca e se ne vedono imitazioni nella realtà quotidiana. Questi stereotipi si riflettono sui bambini che frequentano Lumi, che li esprimevano nel loro comportamento, a specchio dell’unica realtà che conoscevano, cosa che è cambiata visibilmente.

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Quando le conobbi infatti, queste bambine ambivano a diventare modelle o estetiste e parrucchiere. Nulla di criticabile in quelle professioni, ma quelle aspirazioni rivelano con chiarezza agghiacciante quanto ferocemente radicati siano alcuni stereotipi e quanto limitate le prospettive che vengono indicate alle bambine. Ora tra di loro c’è chi vuol diventare linguista, matematica, fisica, biologa.

Questo cambiamento non è il frutto di un sofisticato percorso formativo, bensì il semplice risultato dell’aver presentato a queste piccole persone altre visioni, esempi, orizzonti. Senza spiegare molto o cercare di indirizzare interessi, il semplice aprire delle porte ha consentito loro di immaginarsi in modo diverso e individuale. Perché questo lavoro non lo fa la scuola?

La maggioranza dei bambini, pur essendo nati in questi luoghi dalla natura splendida e intatta, non conosceva il loro ambiente. Per questo abbiamo dedicato molte attività alla riscoperta del territorio e della sua natura, al riconoscere le erbe selvatiche per usi commestibili, medicinali e artigianali, al sopravvivere nel bosco, alla costruzione di rifugi, al free-climbing e all’arrampicata in cordata, alla raccolta di rifiuti nel bosco per creare sculture da regalare poi ai padri, a ricordar loro ciò che avevano “dimenticato” nel bosco l’ultima volta che erano andati a caccia.

Il passato di queste aree è ricco e appassionante, ma il modo in cui viene insegnato a scuola è poco invitante. Abbiamo teatralizzato la storia locale, non con i grandi personaggi, piuttosto con le persone comuni che abitavano qui, facendo interpretare le parti ai bambini. Vivendola così la storia, nei luoghi in cui si svolse, diventa tutta un’altra cosa.

Altre attività sono state dedicate a colmare lacune dell’insegnamento scolastico. Gli insegnanti assegnati alle scuole delle aree interne sono giovani senza esperienza, che rimangono al massimo un anno in attesa di un trasferimento e non fanno in tempo a conoscere i bambini, oppure docenti parcheggiate per l’ultimo anno di carriera prima della pensione. Non abitano in paese e spesso l’insegnamento lo svolgono come un lavoro d’ufficio. Questo, combinato con le multiclassi dovute allo scarso numero di bambini, ha risultati disastrosi e priva queste generazioni degli strumenti di base per poter fiorire in futuro.

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Molte scuole ricevono finanziamenti per attrezzature didattiche, ma questi fondi non vengono accompagnati da formazione per gli insegnanti, col risultato che gli sgabuzzini delle scope di tante scuole contengono anche videoproiettori, attrezzature digitali, tastiere elettroniche… mai usciti dagli scatoloni e che saranno obsoleti il giorno in cui qualcuno deciderà di utilizzarli. È successo anche da noi e non c’è stato verso di ottenere il permesso di utilizzare le attrezzature, nonostante la mia decennale esperienza come docente di tecnologie digitali audiovisive per l’insegnamento in colleges e università inglesi.

Un paio di anni fa approfittai di un finanziamento per attrezzature digitali per le biblioteche comunali e acquisii per cominciare una LIM con video proiettore e computer collegato a internet. La prima volta la usai in una lezione di lingua inglese e con Google Street View portai gli studenti per le strade di Londra e New York, imparando il linguaggio necessario a fare shopping, argomento che li appassiona sempre. I ragazzi furono stupiti dalla LIM e chiesi loro come mai, visto che ne hanno una in ogni classe a scuola. Si guardarono per un attimo per poi scoppiare a ridere dicendo: «La maestra ci scrive su col pennarello!».

Un giorno due delle ragazze si misero al mio computer e dopo un attimo stavano facendo un video combinando la telecamera del computer con quella di un loro telefonino e proiettando il mix sulla LIM. Il mio computer è un Mac con sistema operativo e software in inglese, mentre loro al massimo hanno usato dei PC in italiano e poi c’è una password. Quindi chiesi come avessero fatto, guardandomi con condiscendenza mi dissero: «A’ robè, la tu’ pasuord, ma dai, chette credi…». Ecco, queste sono soddisfazioni.

La maggioranza dei bambini, pur essendo nati in questi luoghi dalla natura splendida e intatta, non conosceva il loro ambiente

Qualche mese dopo l’ente che aveva elargito il finanziamento mi comunicò che avevano ancora del denaro non utilizzato e che, visto che il nostro Comune era l’unico che aveva usato le attrezzature e prodotto dei lavori con i ragazzi, mi avrebbero passato il finanziamento rimanente se avessi presentato un progetto. Di progetti ne ho una scorta – modulari, ricombinabili, sempre pronti – e in pochi giorni ne presentai uno per un laboratorio didattico modellato su quelli delle scuole del nord Europa e USA per la produzione e manipolazione di materiale grafico, fotografico, produzione e montaggio video, web, realtà virtuale, programmazione e robotica.

A dicembre sono partiti i corsi, per ora con gli studenti delle medie, e i risultati sono eccellenti. Questi strumenti sono essenziali quanto una volta lo era saper leggere e scrivere, i giovani hanno il diritto di apprendere l’uso di queste tecnologie e la scuola avrebbe il dovere di provvedere questa formazione, anche nei piccoli paesi. Invece la maggioranza degli insegnanti è inadeguata su questo fronte e il ministero dell’istruzione non li appoggia con formazione permanente. Ho offerto corsi gratuiti alle scuole dell’area per gli insegnati che fossero interessati. L’unica risposta è stata più o meno, una volta tradotto il linguaggio formale, “fatti i fatti tuoi, ma chi sei?”.

Se qualche insegnante vorrà utilizzare il servizio farò in modo che siano i bambini a insegnare, un po’ per la loro autostima, un po’ per rendere palese l’assurdità della situazione. Per questi piccoli leggere non è un piacere e non sono stati incoraggiati a parlare di sé, a raccontarsi. Con il lavoro teatrale eravamo già riusciti a far emergere delle espressioni, anche riguardo ai traumi mai completamente dichiarati derivati dal terremoto.

Il video si sta rivelando efficace, è un mezzo familiare per i bambini e soddisfa una certa dose di naturale protagonismo: questo gruppo comincia a saper concepire, filmare e montare delle narrazioni. In sei mesi sono passate dalle tristi pose pseudosexy di TikTok a fare documentari sul loro ambiente e sulle cose che vorrebbero fossero realizzate per loro. Per la fine dell’anno potremmo avere un vero documentario frutto del loro lavoro.

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Altri cambiamenti sostanziali si vedono in microscopiche variazioni di atteggiamento. Ragazzini che sei anni fa buttavano la carta del panino in terra e se dicevi loro di raccoglierla ti rispondevano “ma è’n lavoro da femmine” ora sono capaci di lavare i piatti, spazzare i pavimenti e riordinare i giochi nella nostra ludoteca e pure di cambiare un pannolino – ogni tanto ci siamo accollati anche i più piccoli.

I libri erano inizialmente visti con molto sospetto: nessuno aveva mai letto nulla a questi bambini. Così, visto che i miei genitori mi leggevano sempre storie e io stesso l’ho poi fatto con mio figlio – fino a quando, a 12 anni, ha dovuto dirmi: «Papà, so che ti piace leggermi le storie, ma me le so leggere da solo sai?» – ho fatto il possibile per suscitare un po’ di curiosità per la parola scritta, con modesto successo.

Una volta ho regalato a una delle bambine un libro illustrato sulle storie delle donne che hanno cambiato il mondo – scienziate, rivoluzionarie, artiste. Il giorno dopo era ai giardinetti che le leggeva alle sue amiche. A casa ho una libreria piuttosto ricca e diverse delle studentesse hanno preso l’abitudine di passare dopo scuola per sfogliare libri d’arte o per pasticciare con gli strumenti della mia sala musica. Qualche piccolo segno positivo. Grazie a numerose donazioni ora abbiamo una biblioteca con circa 7000 volumi, anche se purtroppo manca una persona per gestirla e catalogare i libri, ma per un paesino di 1000 abitanti è un patrimonio che spero riusciremo a utilizzare in futuro.

Insomma, sono piccole cose, ma sommate e contestualizzate in un ambiente come quello che ci circonda già paiono delle conquiste. Molti in paese continuano a vedermi come un eccentrico e non capire perché dedichi tanto tempo ai bambini, qualcuno l’ha sintetizzato in una domanda: «Ma non son nemmeno figli tuoi, che ci guadagni?». Ho potuto solo rispondere: «Non li ho fatti io, ma nel momento in cui mi inserisco in un posto così piccolo è come se lo fossero». In quanto al guadagno è difficile spiegarne uno prezioso che non è fatto di denaro. Quindi la piccola Lumi, con i suoi pochi ma bravissimi collaboratori e un po’ di appoggio dal Comune, continua a mettere semini buoni sperando di vederli crescere bene. E potrebbe essere così ovunque.

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