Due giovani tornano ad abitare una valle abbandonata per coltivare lavanda e tradizioni
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Piacenza, Emilia-Romagna - Come molte avventure, anche quella di Domenico Alfarone e Davide Codara nasce un po’ per gioco, dal desiderio comune di spostarsi dalla città e ristrutturare un antico casolare abbandonato da oltre vent’anni, in Alta Val Nure. La valle, ormai da tempo disabitata, è l’istantanea delle aree interne del nostro paese, dove i boschi hanno lentamente riconquistato ettari su ettari di terreni, un tempo arati e coltivati.
COME TUTTO È INIZIATO
Davide comincia a lavorare come giardiniere quando ha circa vent’anni, nell’Oltrepò pavese. Dei due, Domenico è quello che ama la vita in città nonostante i suoi inconvenienti. Prima di trasferirsi vicino a Predalbora, vive tra Milano e Piacenza, studiando nel frattempo a Parma per un dottorato in filosofia. Iniziano a lavorare insieme come giardinieri: sono appassionati di botanica, lettori curiosi e attenti osservatori della natura. «Allo stesso tempo il lavoro che facevamo non ci rispecchiava più», raccontano i due ragazzi «Partivamo da una visione diversa del mondo vegetale, basata sulla sinergia e sul principio che ogni specie assolva a una precisa funzione. Ma questa non trovava alcuna corrispondenza nel nostro lavoro».
Così da un lato il guadagno economico non è più bastato a compensare lo sconforto per un lavoro ormai insoddisfacente e dall’altro la decisione di trasferirsi in Val Nure, è stato il primo passo verso un’altra vita possibile. Nel frattempo Domenico aveva deciso di tralasciare le ricerche di dottorato e si era buttato a capofitto nello studio di come coltivare la lavanda e le aromatiche. «Quello dell’osservazione della natura è un po’ un ritorno alla scienza – precisa – Ad esempio si può imparare moltissimo sulla composizione del terreno e i cambiamenti climatici nel corso del tempo anche solo osservando le specie autoctone».
Quando otto anni fa sono venuti ad abitare questo casolare del 1800, mi raccontano che non vi erano neppure le finestre. Per di più trovare qualcuno disposto ad aiutarli nel restauro conservativo dell’immobile, ha richiesto tempo e pazienza. «Alla fine è stato un muratore di settantacinque anni, un “artista della pietra” – come ci piace definirlo – che ci ha aiutati a rimettere a nuovo il casolare, rispettandone l’aspetto originario. Due anni fa, in quella che doveva essere un’antica stalla, hanno inaugurato il laboratorio per la distillazione della lavanda e delle altre piante aromatiche che crescono nei terreni attorno: «Conservare l’antica bellezza di questi locali in pietra e travi di legno e allo stesso tempo rispettare i requisiti imposti dalla ASL è stata una vera sfida, ma ci siamo riusciti», aggiungono.
CUSTODIRE PER NON ABBANDONARE
Nei tredici ettari intorno al casolare, ci sono l’orto sinergico, i filari di lavanda e una parte di bosco, che Davide e Domenico hanno voluto preservare dopo averlo ripulito da vitalbe e rovi infestanti. Oltre agli alberi da frutto e varietà molto antiche, le querce secolari sono forse le abitanti più longeve della valle. «Qui intorno era irriconoscibile. Eppure non amiamo parlare di “erbacce”, non esistono erbe cattive. Per secoli anche queste sono state parte essenziale dell’alimentazione nelle campagne», raccontano i due giovani.
In tutti questi anni Davide e Domenico hanno messo a dimora circa sei mila piante di lavanda, in filari ben distanziati tra i quali l’erba viene lasciata crescere per mantenere una maggiore umidità del terreno e “dare respiro” alle loro piante di lavanda. «Tra fiori, api e bombi, c’è fermento nei mesi di fioritura: è un campo vivo. È incredibile quante specie vegetali e animali si trovino in un solo metro quadro», proseguono i due ragazzi.
A Roncolo Bosco, questo il nome della loro azieda agricola, la lavanda è senza dubbio la produzione cardine. Dopo la raccolta a mano nei mesi di luglio e agosto, una parte dei fiori viene essiccata e l’altra distillata per produrre olii essenziali e acque floreali (idrolati). Quella che crescono Davide e Domenico è una cultivar, sebbene sia derivata dall’autentica lavanda angustifolia già nota ai tempi dei Romani. «In un antico trattato di flora piacentina – mi raccontano – se ne attesta la presenza rada e spontanea in questi territori». Oltre alla lavanda, i due giovani hanno cercato di preservare le erbe aromatiche spontanee, come l’achillea, il biancospino, l’iperico, il rovo e il tanaceto, da cui ricavano tisane ed essenze.
CONTADINI RESISTENTI E DOVE TROVARLI
Da quando vivono in Val Nure Davide e Domenico hanno collaborato alla creazione di un’associazione di produttori di lavanda dell’appennino piacentino, con cui vorrebbero promuovere l’uso di questa pianta e la lavorazione dell’olio essenziale per farne prodotti di ecocosmesi. Inoltre fanno parte della rete Contadini Resistenti, un’associazione che unisce medie e piccole realtà del territorio in nome di un’agricoltura a misura d’uomo, naturale e che tuteli la biodiversità.
Il loro campo di lavanda è uno spazio aperto, un laboratorio teatrale in natura dove accogliere eventi culturali e iniziative con le scuole. In passato hanno ospitato i ragazzi e le ragazze dell’istituto agrario di Piacenza e il loro sogno è di portarci molti altri studenti, che possano così sperimentare e avvicinarsi al mondo delle piante.
In tutti questi anni, nessuno è tornato ad abitare la loro valle, a parte qualche fugace soggiorno estivo. Ormai mi confessano di non essere più abituati alla presenza degli altri. Eppure combattere di continuo con la connessione del telefono, ritrovarsi isolati, non è sempre così facile. «Io sono decisamente il più metropolitano tra i due», scherza Domenico «Mi piaceva molto vivere a Milano. Eppure qui, lontano da tutti, quando mi guardo attorno tiro un sospiro di sollievo. Mi sono sempre considerato un “gretto materialista” e quasi non mi riconosco a sentirmi parlare così. E se il prezzo da pagare per questa pace è tenere il telefono sul davanzale per cercare un po’ di segnale, di certo non tornerei mai alla vita di prima».
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