Risalire i torrenti per guardare in faccia la siccità: Greta l’ha fatto e ci ha raccontato cos’ha osservato
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Genova - Sandali da trekking, zaino impermeabile e un affidabile compagno di avventura. Siamo tornati a parlare con Greta Pastorino, guida ambientale escursionistica genovese (ve l’abbiamo presentata qui) per farci raccontare la sua ascesa dalla foce sino alla sorgente di un torrente ligure, il Cerusa. L’intento? Vedere con i suoi occhi la siccità, osservando passo dopo passo il paesaggio che cambia e il torrente che, solo dopo tanto, si impone come protagonista del viaggio, abbracciato da rocce verde brillante.
Via via salendo tornano l’acqua e anche gli animali, mentre “la natura intorno si fa di un selvaggio che toglie il fiato e graffia le gambe”. «È importante prendere coscienza dei nostri torrenti e diventarne consapevoli, per imparare ad amarli anziché ignorarli, se non quando diventano mostri, esondano e ci ricordano che esistono», sottolinea Greta.
Come ti è venuta l’idea di risalire il fiume?
La prima volta è successo nel 2020, quando molte attività erano sospese e avevo più tempo libero. Ho iniziato risalendo il “mio” torrente, il Leira, partendo da Voltri. Volevo vedere “cosa c’è sotto”, scoprire l’ecosistema del torrente. Speravo di incontrare qualche animale, volevo vedere gli edifici da una prospettiva diversa e soprattutto volevo divertirmi. Amo moltissimo “scalare” le rocce, saltare da uno scoglio all’altro e tuffarmi nel laghetti.
Raccontaci di questo viaggio, invece: com’è andato?
La risalita è durata due giorni: il primo dalla foce a Fiorino e il secondo da Fiorino alla sorgente. Risalire il torrente è faticoso, farlo in un giorno sarebbe stato troppo stancante e quindi pericoloso. Per il rientro avevo studiato il percorso in modo da avere la possibilità di ritornare all’auto attraverso un sentiero escursionistico.
Cosa ti sei portata a casa da questa esperienza?
Senz’altro ho messo alla prova il mio corpo con un bell’allenamento che mi ha dato molta soddisfazione. Mi porto a casa sia il bello che il brutto di quello che ho visto, convinta che cambiare la prospettiva da cui si osserva il mondo sia l’unico modo per capire meglio il presente. E poi ho assaporato le gioie del “cammino lento”: risalire un torrente ti obbliga a procedere lentamente, facendo attenzione a ogni singolo passo. Ti spinge anche a osservare ogni dettaglio e a notare tutti quei particolari della valle che non si vedrebbero procedendo con un mezzo a motore.
Cosa ti ha colpito di più durante la risalita?
La siccità, senza dubbio. Non ho mai visto il Cerusa in questo stato. L’acqua non si è fatta vedere per almeno 500 metri dalla foce e prima di incontrare le prime pozze sono passate diverse ore.
Questa forte siccità in che modo sta influenzando l’ecosistema? Cosa hai avuto modo di osservare?
La vegetazione per tutto il primo tratto di risalita è stata praticamente assente. Sembrava di camminare su un deserto roccioso, uno spettacolo desolante e al tempo stesso molto preoccupante. Non essendoci cibo né acqua e nemmeno vegetazione in cui nascondersi e trovare riparo, anche i primi animali hanno fatto la loro comparsa solo dopo diverse centinaia di metri.
Vale poi la pena ricordare che un torrente privo di vegetazione o con piante morte nell’alveo, tratti cementificati e presenza di rifiuti – abbiamo trovato anche una bicicletta! – aumentano enormemente il pericolo esondazione. Senza contare che un terreno particolarmente arido diventa come cemento, perciò fa più fatica ad assorbire l’acqua, che scivola velocemente: tutto questo aumenta il rischio durante la stagione delle piogge. Insomma, siccità significa perdita di biodiversità, accrescimento del pericolo esondazioni e perdita di risorse fondamentali anche per Homo sapiens.
Secondo te cosa può fare ognuno di noi per contrastare, nel proprio piccolo, questa situazione?
Per rispondere a questa domanda, mi viene in mente un’intervista al grande metereologo e divulgatore Luca Mercalli, il quale è stato molto diretto nell’esporre le sue idee relative alle misure che ognuno di noi può mettere in atto per provare a contrastare questa situazione. Condivido e riporto il suo pensiero: non basta chiudere il rubinetto quando ci si lava i denti – azione peraltro importantissima da trasmettere con convinzione ai piccoli – per sentirsi “buoni ecologisti”. Bisogna andare oltre, avendo chiaro in mente che quello che si tenta di salvare non è il pianeta, ma la sopravvivenza stessa di Homo sapiens.
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