3 Ago 2022

Dentro e fuori: trovare un equilibrio tra la vita di comunità e il resto del mondo

Scritto da: Daniela De Angelis

Una comunità di riferimento può essere un'ancora di salvezza, un punto di riferimento, un contesto in cui crescere e confrontarsi. Ma non deve essere un circuito chiuso e non deve precludere esperienze e interazioni con e all'esterno. Qual è il bilanciamento corretto fra queste due dimensioni?

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Decidere di condividere spazi e tempi di vita in maniera continuativa è una delle esperienze più arricchenti che ci possano essere e allo stesso tempo necessita di un lavoro continuo su di sé, per mantenere una sana armonia tra la dimensione individuale e quella collettiva. Come ci insegnano le più basilari teorie sociologiche, il gruppo è una grande forza condizionatrice e orientatrice di pensieri e azioni che si riflettono sulla vita dell’individuo.

Uno dei miei ricordi più nitidi di quando io e la mia famiglia abitavamo tra le montagne alpine della Valtellina, in un piccolo paesino di 700 abitanti, è quello di me e dei miei figli Federico e Pietro intenti a giocare al limitare del bosco, non lontani da casa nostra, tutti intenti a esplorare il prato, a scavare fossi per incanalare l’acqua di un piccolo torrente, a cercare fiori, frutti e mille tesori.

Questa immagine nutriente è però sempre accompagnata dal senso di solitudine che sentivo a quel tempo. “Come mi piacerebbe poter condividere questi bei momenti con altre persone!”. Ricordo che era questo un mio pensiero ricorrente che mi divideva tra la bellezza della vita quotidiana che vivevo con la mia famiglia e la mancanza di un tessuto sociale intorno a me con cui sentirmi in contatto, in comunicazione, in un rapporto di scambio e amicizia.

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Ci spostavamo molto con la macchina per andare a fare visita ad amici e parenti che però, essendo al contrario di noi vincolati dalla routine di scuola e lavoro, riuscivamo a frequentare solo qualche giorno a settimana. Sognavo per i miei figli uno spazio aperto in cui, spontaneamente e quotidianamente, incontrarsi con persone grandi e piccole con cui condividere esperienze di crescita. Immaginavo per me e Tomas una rete di donne e uomini che insieme si aiutavano negli impegni della vita quotidiana, condividevano progetti comuni, avevano piacere nello stare insieme, nel confronto e nello scambio di idee.

Tutto questo è poi arrivato, grazie alle scelte di persone coraggiose e impulsive, un po’ come noi, che all’inizio della pandemia mondiale di Covid-19 hanno deciso di sperimentare una quarantena condivisa, che si è trasformata in un esperimento di convivenza in un terreno della campagna del Portogallo meridionale.

Sono passati ormai due anni dall’inizio di quest’avventura e non c’è stato un giorno in cui abbia rimpianto la scelta fatta. L’affetto, la trasparenza, la sincerità, la disponibilità e l’apertura che abbiamo sempre avuto gli uni verso gli altri ci ha sempre portato a passare moltissimo tempo insieme, a spostarci in gruppo, a frequentare gli stessi luoghi e le stesse persone. A volte per noi era paradossale pensare che, in questi stessi mesi, nel resto dell’Europa molte persone stavano invece vivendo esperienze di grande isolamento, solitudine, frustrazione e immobilità e ci sentivamo immensamente grati per la possibilità che ci si era presentata.

È importante per piccoli e grandi non commettere l’errore di chiudersi nel benessere del conosciuto e di ciò che risuona affine

Al contempo tuttavia, anche noi allo stesso modo, senza rendercene conto del tutto, eravamo isolati dal resto del mondo. Nuovi arrivati in un territorio in cui non conoscevamo quasi nessuno, all’inizio di un processo di radicamento reso difficile dalle tante restrizioni decise dallo stato portoghese per arginare la diffusione del coronavirus.

Con lentezza, chi più chi meno, ognuno di noi ha iniziato a provare emozioni ambivalenti all’interno della situazione in cui si trovava. Avevamo creato il nostro piccolo mondo, in cui soddisfacevamo molti bisogni nostri e della nostra famiglia, ma era impensabile e controproducente pensare che non avessimo più la voglia e la necessità di connetterci con il mondo esterno, conoscere persone nuove, sentirci parte di un mondo più grande di quello in cui vivevamo come gruppo.

È stato intenso il processo che mi ha portato a comprendere e riconoscere che è sano tenere sempre presente e ben chiaro in me stessa il confine tra la vita di gruppo e quella personale. Ma anche tra i miei progetti e quelli comunitari, tra il tempo in cui vivo come parte di una collettività e quello in cui voglio sentirmi libera di agire secondo ciò che sento essere importante per me stessa e la mia famiglia.

È importante per piccoli e grandi non commettere l’errore di chiudersi nel benessere del conosciuto e di ciò che risuona affine e simile senza confrontarsi e incontrarsi con ciò che è diverso, estraneo, sconosciuto. In gruppo sì, ma anche come individui, creare scambi e occasioni per connetterci e condividere esperienze con luoghi e persone con vite diverse, passioni e bisogni altri dai nostri, ma ugualmente rispettabili.

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È importante che ogni componente di una comunità si senta in connessione con esperienze che soddisfino i suoi bisogni, anche se questi fanno parte solo di lui/lei e non del gruppo. Dal canto suo, il gruppo deve rispettare la sua necessità di fare delle esperienze da solo/a, perché possa sentirsi in connessione con nuovi mondi come individuo, anche senza la presenza del collettivo, che rischia di diventare un morbido cuscino su cui appoggiarsi e impigrirsi.

Allo stesso modo per i bambini e le bambine, così abituati a vivere come una piccola tribù, lanciarsi soli in attività e laboratori – anche per il fatto che la lingua portoghese non è ancora di facile utilizzo – diventa una prova di coraggio e indipendenza che credo vada supportata e stimolata, per esercitarsi a coltivare i propri interessi e sentirsi parte di una comunità più ampia di quella in cui già vivono.

A diversi livelli, è fondamentale sentirsi parte di una collettività, di un quartiere, di una città, del mondo intero, allo stesso tempo sempre coltivare noi stessi per come agiamo come singoli e per evolverci come individui. Le due prospettive sono più connesse di ciò che pensiamo e bilanciarle è una delle grandi fatiche di questi pazzi tempi in cui stiamo vivendo.

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