Anguilla europea a rischio estinzione: per MedReAct è necessaria una moratoria sulle catture
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L’anguilla europea è una specie che può essere definita altamente migratoria. Il suo ciclo biologico è considerato unico in relazione all’ampiezza della migrazione riproduttiva degli adulti e della migrazione larvale. La riproduzione avviene nell’Oceano Atlantico e precisamente nel Mar dei Sargassi. Oggi l’anguilla è una specie fortemente minacciata.
IL RISCHIO ESTINZIONE
Per quello che riguarda nello specifico il nostro paese, la pesca dell’anguilla ha una lunga tradizione ed è tuttora importante nonostante il crollo del pescato negli ultimi decenni. Negli anni ’70 infatti le catture ammontavano a 1500 tonnellate, per ridursi a 500 tonnellate negli anni ’90 e a poco più di 200 negli ultimi anni, ma l’Italia è ancora uno dei principali paesi europei per la pesca di questa specie. Non ci sono dubbi che per arrestare questo trend è necessario intervenire subito con azioni e controlli efficaci finalizzati al recupero dell’anguilla, considerato che il fermo pesca di 3 mesi introdotto dall’UE per evitare una chiusura totale della pesca non ha prodotto l’effetto sperato.
Lo scorso giugno il Comitato Scientifico della CGPM ha proposto di rafforzare urgentemente le misure di gestione dell’anguilla, anche con un divieto totale della pesca ricreativa e un divieto parziale per la pesca professionale dell’anguilla allo stadio di “ceca”. «È il momento – ha dichiarato Vittoria Gnetti di MedReAct – di proteggere integralmente questa specie in forte declino da ormai oltre trent’anni attraverso una moratoria su tutte le catture».
IL CICLO RIPRODUTTIVO
Dopo la schiusa le larve, denominate leptocefali, sono trasportate attraverso l’Atlantico dalla Corrente del Golfo: questa migrazione, passiva, ha una durata presunta di circa due anni. Al limite della piattaforma continentale europea i leptocefali compiono una vera e propria metamorfosi divenendo ceche, piccole anguille trasparenti. A questo stadio le anguille colonizzano le acque costiere e continentali di tutte le coste Atlantiche e Mediterranee.
La “rimonta” delle ceche costituisce il reclutamento a tutti i sistemi idrografici, siano essi lagune costiere, estuari e fiumi, canali e piccoli corsi d’acqua, laghi e bacini artificiali. Nel corso di questa fase le ceche vanno incontro a una serie di cambiamenti fisiologici ma anche comportamentali, divenendo pigmentate e capaci di nuotare attivamente.
La fase successiva, chiamata anguilla gialla in relazione alla livrea che l’animale assume nel corso dell’accrescimento, ha una durata molto variabile, che va dai 3 agli 8 anni per i maschi e dai 5 ai 15 anni per le femmine. In seguito alla maturazione sessuale, l’anguilla viene detta argentina e a questo stadio viene intrapreso il ritorno verso l’Atlantico occidentale, per riprodursi – una sola volta – e morire.
Lo sfruttamento da pesca dell’anguilla viene esercitato in tutto l’areale di distribuzione della specie e riguarda gli stadi giovanili e pre-adulti – ceca, anguilla gialla in accrescimento, anguilla argentina non ancora matura sessualmente. Le minacce alla specie sono molteplici, tra cui la pesca, la perdita e il degrado qualitativo degli habitat e la diffusione di contaminanti. Inoltre, il fatto che il ciclo biologico della specie si svolga in parte nell’ambiente oceanico e in parte nelle acque interne – laghi, fiumi, estuari, lagune costiere – fa sì che essa risenta di impatti che si esercitano nell’uno e nell’altro ambiente.
Con la sua drastica riduzione rischiamo di perdere una specie unica, studiata da oltre un secolo per via del suo affascinante ciclo riproduttivo e per un solo luogo di nascita, il Mar dei Sargassi, dal quale provengono gli esemplari che abitano le acque dolci e salate di tutto il mondo.
COSA DICE LA LEGGE?
Nel 2017, per evitare il divieto di pesca di anguille oltre i 12 centimetri proposto dalla Commissione Europea, gli Stati del Mar Baltico – e successivamente quelli del Mar Atlantico – con una dichiarazione congiunta hanno concordato un fermo pesca di 3 mesi all’anno. Inoltre, nel 2018 la Commissione Generale per la Pesca del Mediterraneo (CGPM) ha adottato un piano di gestione dell’anguilla che prevede un fermo pesca di 3 mesi nel periodo di migrazione e l’introduzione di zone di restrizione alla pesca.
A livello europeo, il fermo pesca, seppur rispettato legalmente, è stato attuato in periodi di chiusura inefficaci che non incidono sulla fase di vita più vulnerabile delle anguille, quella della migrazione verso il Mar dei Sargassi per la riproduzione, ed è stato deciso in base alle esigenze commerciali del settore della pesca. Basti pensare che nel 2019 gli sbarchi di anguille gialle e argentate nell’UE sono stati di oltre 1000 tonnellate nella regione del Mar Baltico, dove avviene la maggior parte delle catture, 856 nei paesi lungo la costa occidentale europea e 520 nel Mediterraneo.
In Italia negli ultimi anni, mentre le catture della pesca ricreativa sono diminuite, quelle della pesca commerciale sono aumentate. Il fermo pesca coincide solo con la seconda metà del periodo di migrazione dell’anguilla argentata, specie che costituisce il 75% degli sbarchi, rivelandosi una misura inefficace.
Addirittura, secondo quanto riporta il rapporto di FishSec, diversi paesi – tra cui Danimarca, Svezia e Paesi Bassi – permettono lo sbarco e/o la vendita durante il periodo di fermo pesca, dopo aver tenuto le anguille vive in contenitori di stoccaggio sommersi. Una pratica davvero inaccettabile. Fino ad ora solo Irlanda e Slovenia hanno proibito la pesca dell’anguilla europea. Troppo poco se si considera l’obiettivo della nuova Strategia per la Biodiversità dell’UE di proteggere le specie vulnerabili.
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