La storia di Sara, che ha mollato tutto per andare a ripulire dalla plastica il Mar dei Caraibi
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Sara oggi ha 33 anni e la passione per il mare. È una cosa che ha scoperto da poco, in realtà. Lei è nata a Padova, ha studiato al DAMS e sembrava destinata a una carriera da scenografa nel cinema. Poi la facilità con la quale riusciva ad apprendere le lingue straniere, le sue abilità da nuotatrice professionista e la curiosità di scoprire mondi lontani hanno prevalso.
Nel 2018 infatti molla tutto e inizia a viaggiare per il mondo pagandosi le spese con un lavoro stagionale da cuoca e hostess su barche di lusso. Per un anno e mezzo, con la sola esclusione dei mesi di lavoro, segue persone e associazioni attive nel contrasto alla crisi climatica, finendo per diventare Climate Ambassador per l’Italia al GYCN-Global Youth Climate Network, un’iniziativa della Banca Mondiale volta a connettere giovani attivisti di vari Paesi per la diffusione di buone pratiche di sostenibilità ambientale.
Nonostante ciò, il primo dicembre 2019, quando arriva a Kuna Yala, a Panama, da cuoca a bordo della barca a vela di Italo Mattei (nipote di Enrico Mattei, il fondatore dell’ENI), Sara rimane incantata da quel luogo e comincia a pensare di fermarsi lì. Ma, a differenza di tanti altri italiani che si sono trasferiti ai Caraibi – o che sognano di farlo –, non ha nessuna intenzione di aprire un chiringuito.
L’arcipelago di Kuna Yala, Isole di San Blas per il resto del mondo, politicamente ricadente nella giurisdizione di Panama, è un insieme di circa 400 fra isole e atolli, di cui solo una cinquantina abitate dagli indiani Kuna, una popolazione di lingua chibcha che non supera le 40mila persone. Conosciute soprattutto dai velisti, si tratta di isole rinomate per la loro bellezza, il clima favorevole – gli uragani sono praticamente assenti –, la barriera corallina, le foreste di mangrovie e la solidità delle tradizioni culturali locali, conservate soprattutto dalla popolazione femminile. I Kuna sono per lo più pescatori o cacciatori e per comunicare con gli stranieri usano lo spagnolo, parlato soprattutto dagli uomini.
In quei giorni, sulla barca di Mattei è spesso ospite a cena Paola De Cecco, fisica italiana che vive in California, una 55enne accogliente e determinata, dotata di una straripante energia. Paola aveva comprato una vecchia barca sull’isola e aveva incautamente anticipato 20mila euro a un italiano perché la ristrutturasse. Le due donne fanno amicizia.
Quando Sara le racconta della sua indignazione nei confronti della plastica che, trasportata dalle correnti, si deposita sulle spiagge dell’arcipelago, Paola la sprona ad attivarsi e a chiedere udienza al Ministero dell’Ambiente di Panama. Sara segue il suo consiglio e, con sua somma sorpresa, trova supporto in un batter d’occhio per una prima, sperimentale pulizia delle spiagge attorno a Colòn, una delle città più importanti di Panama.
Forte di quell’esperienza di immediato successo, Sara confida a Paola di voler replicare il progetto su vasta scala a Kuna Yala. A quella notizia segue un dialogo più o meno di questo tenore:
«La mia Serenade ora può navigare solo a fil di costa, ma se ci metti le mani, con un po’ di pazienza può diventare la tua base per questo progetto. Te la vendo».
«Grazie Paola, ma non credo di avere abbastanza soldi per comprare una barca».
«Guarda bene in borsa. Un dollaro lo troverai di sicuro».
Detto fatto. Un dollaro e tutto il supporto morale al progetto. Dopo il passaggio di proprietà della barca, Paola riparte per gli USA e Sara inizia a esplorare le isole con lo sguardo che ha imparato a utilizzare durante i viaggi con gli ambientalisti. Lo stesso sguardo che l’ha turbata vedendo la diffusione così estesa di cumuli di rifiuti in plastica sulle spiagge, nelle foreste e sui fondali di quel paradiso; uno sguardo che la smuove quando nota l’indifferenza mista a rassegnazione della popolazione locale di fronte a quello scempio. In quelle zone, infatti, non esiste il riciclo dei rifiuti e l’unica maniera conosciuta per rendere invisibili quegli scarti è… bruciarli.
Da quel momento Sara si attiva anche con la popolazione locale, gli indiani Kuna, della cui cultura ricca di tradizioni è estremamente curiosa. In particolare, contatta alcuni tour operator del posto per capire come fare a convincere i sempre più numerosi turisti che arrivano con i charter a evitare di comprare detergenti industriali – che danneggiano una delle barriere coralline più vive e popolate al mondo – in package monouso.
Poi, fra un’immersione e un’altra, conosce la sua coetanea Kandry, insegnante di scuola media e prima subacquea donna dell’arcipelago, che è stata da poco eletta nel parlamento locale. Kandry è fra le leader di Anyarular, una ONG che si occupa di promuovere il lavoro e l’attivismo ambientalista delle donne nell’arcipelago e l’uguaglianza di genere.
Le due ragazze si confrontano e decidono di lavorare a un progetto comune: sensibilizzare la popolazione locale e i turisti sul consumo responsabile, al riuso, al riciclo, allo sfuso. Iniziano quindi a sviluppare l’idea di incentivare la produzione, da parte delle donne del posto, di creme e saponi naturali prodotte in maniera artigianale da vendere ai turisti in package riutilizzabili. «Vogliamo provare a ricreare e diffondere armonia tra gli esseri umani e il loro ambiente», dicono. «Per farlo, dobbiamo partire dalla vita quotidiana delle persone».
Nel frattempo, progettano di sfidare la diffidenza dei locali nei confronti della leadership delle donne e di organizzare, attraverso i social, il primo evento nazionale di raccolta rifiuti collettiva dell’arcipelago, di cui Serenade, la Cal 39 da corsa di Sara del 1984, sarà l’ammiraglia. Noi di Italia Che Cambia stiamo pensando di seguirle in questa avventura, che ha le tutte caratteristiche per diventare un docu-film.
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