Kenya, la denuncia dei Sengwer: i finanziamenti occidentali alla conservazione porteranno a un “genocidio”
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In una lettera diffusa qualche giorno fa da Survival International, i Sengwer del Kenya fanno appello all’opinione pubblica occidentale affinché smetta “di finanziare progetti di conservazione che ci derubano delle nostre terre e distruggono le nostre vite. Se volete fare conservazione, la prima cosa è garantire i diritti territoriali di noi Sengwer e di altri popoli indigeni. Se i nostri diritti non saranno rispettati, della foresta non rimarrà nulla”.
Secondo la tribù infatti, il modello di protezione della natura portato avanti in Kenya – e in molti altri paesi – risale al periodo coloniale e porterà a un genocidio: «Vi esortiamo a smettere di sostenere economicamente violazioni degli stili di vita indigeni, che sono sostenibili e rispettosi dell’ambiente. Piuttosto lavorate con noi per proteggere la nostra foresta tutelando i nostri diritti. E non solo per noi Sengwer, ma anche per tutte le comunità in Kenya e nel resto del mondo».
La lettera arriva a pochi giorni dalle violenze avvenute a Loliondo, nel nord della Tanzania, dove le autorità cercano di sfrattare migliaia di Masai per far spazio alla caccia da trofeo e al turismo di lusso. Questo appello si somma alle denunce che in tutta l’Africa orientale gli indigeni levano contro progetti di conservazione razzisti e coloniali.
La Frankfurt Zoological Society (FZS), The Nature Conservancy e altre grandi organizzazioni per la conservazione – ma anche l’Unione Europea e i governi di Germania, Francia e USA – sono tra i principali finanziatori di programmi di conservazione che implicano la creazione e il sostegno ad Aree Protette nelle terre ancestrali dei popoli indigeni, che vengono quindi sfrattati e vessati.
Tra i popoli indigeni che denunciano l’impatto di progetti di conservazione sulle loro vite ci sono:
- I Borana (Kenya). «Chiedo al mondo, il mondo intero, che dona denaro alla Northern Rangelands Trust (NRT) gentilmente, in quanto esseri umani, non considerate il mio colore, la mia religione ma [consideratemi] un essere umano. Veniamo torturati, veniamo colonizzati una seconda volta, stiamo morendo… vi chiediamo di fermare queste donazioni alla NRT. Se siete umani, se siete davvero umani, fermate tutto questo», ha dichiarato a Survival un uomo Borana.
- I Masai (Tanzania): «Il vostro denaro per noi è veleno» ha detto un anziano masai. «La conservazione è sempre negativa. Nella cultura masai, abbiamo bisogno di un’ampia area aperta per il bestiame. Ma da quando è iniziata la conservazione, ci spingono in spazi più piccoli e questo ha fatto morire una parte del bestiame».
«Tra tutti i nemici nel mondo, la Frankfurt Zoological Society è il nemico numero uno dei Masai perché è responsabile di tutti gli sfratti dei Masai da quando abbiamo lasciato il Serengeti. Sono venuti con le loro idee e il loro denaro. Anche a Ngorongoro e ora anche in questi 1.500 chilometri quadrati di terra (a Loliondo). Da quando ho lasciato il Serengeti, ho perso molte cose importanti. Ho perso il Serengeti. Quella pianura, una terra ottima per il pascolo. L’amavo».
- Gli Enderois (Kenya). Un uomo sfrattato nel 1973 per la conservazione ha dichiarato che «la vita prima era bella. Avevamo molti animali e la nostra esistenza non era limitata. Poi è arrivato il Governo e ci ha detto che questa doveva essere un’”area di conservazione” e allora abbiamo subito crudeltà. Siamo stati costretti dalla polizia ad andare via e non sapevamo dove andare. Ci è stato detto che il ruolo del Governo era prendersi cura della fauna selvatica e non degli esseri umani. Ma noi non uccidevamo gli animali, li preservavamo».
- Gli Ogiek (Kenya). «Il Governo ha detto che sfrattare le comunità è un modo per ripristinare la foresta. Ma se la foresta fosse lasciata agli Ogiek, non verrebbe distrutta. Noi apparteniamo alla foresta, è lì che ci sono molte delle cose da cui dipendiamo».
A seguito delle recenti violenze avvenute a Loliondo, dove circa 31 Masai sono stati feriti e a migliaia sono fuggiti, Survival International e l’Oakland Institute hanno scritto all’UNESCO e alla IUCN per sollecitarli a cancellare Ngorongoro dall’elenco dei Siti Patrimonio dell’Umanità e recidere ogni loro legame con il Governo tanzaniano.
«È chiaro ora più che mai che gli abusi e il furto di terra nel nome della conservazione non vengono commessi solo da “qualche mela marcia”; al contrario, fanno parte di un sistema», ha spiegato Fiore Longo di Survival International. «Se vogliamo salvare la biodiversità, dobbiamo rispettare i diritti indigeni e lottare contro questo modello di conservazione coloniale e razzista. I leader mondiali stanno spingendo per trasformare il 30% del pianeta in Aree Protette al prossimo vertice della CBD a dicembre: è questo il momento giusto per fargli sapere che questa proposta è una catastrofe per i popoli, per la natura e per tutta l’umanità».
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