Sostenibili, belle e genderless: con le sneakers ID EIGHT la rivoluzione si fa con i piedi
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Firenze, Toscana - “Cosa non si fa per amore”, avrà certamente pensato lo stilista sud-coreano Dong Seon Lee, quando per accontentare Giuliana Borzillo, oggi sua moglie e product manager del loro brand, ID EIGHT, le ha disegnato il paio di scarpe che desiderava ma non riusciva a trovare da nessuna parte. «È nato tutto per gioco», racconta Giuliana. «Volevo sostituire le mie sneakers con delle scarpe che fossero belle da indossare e sostenibili per davvero, non solo sull’etichetta. Così Dong ha ideato le Hana, in assoluto le prime scarpe che abbiamo realizzato».
Spesso il destino fa giri lunghi e imprevedibili: ma arriva a destinazione, è il caso di dirlo. Pur avendo vissuto per anni nello stesso quartiere di Firenze e frequentato entrambi il Polimoda, Giuliana e Dong si incontrano – e innamorano – solo nel 2017 al Micam di Milano. Dopo gli studi in design della moda a Seoul e il master a Firenze, Dong si trasferisce in Germania per lavorare come stilista per un noto marchio di scarpe, mentre Giuliana diventa brand manager di un’altra azienda del settore. Quello delle calzature è senza dubbio il loro mondo.
Progetti di vita e lavoro si intrecciano e inseguono come le frecce del logo di ID EIGHT, firmato anche questo dal designer coreano per richiamare i valori di circolarità e riuso cui si ispirano queste sneakers ecosostenibili. L’azienda nasce alla fine del 2019, grazie a un fortunato crowdfunding su Kickstarter. «Questo risultato – prosegue Giuliana – è stato fondamentale per avviare ID EIGHT da zero, ma soprattutto per capire cosa ne pensassero gli altri. Abbiamo passato mesi chiedendo ad amici e persone incrociate per strade come trovassero le nostre sneakers. Il consenso di tanti sconosciuti che hanno contribuito alla raccolta fondi, ci ha convinto che l’idea fosse valida. E ci siamo buttati (letteralmente)».
PER FARE LE SCARPE CI VUOLE UN FRUTTO (E NON SOLO)
Che quella della moda sia la seconda industria più inquinante al mondo non è certo un mistero. E la posta in gioco è molto alta se la scommessa è realizzare delle scarpe made in Italy e cruelty free a partire da sottoprodotti delle attività agricole o industriali. Per Giuliana e Dong trovare delle alternative alla pelle è parte di una ricerca approfondita e una prerogativa a cui non avrebbero mai rinunciato sin dall’inizio: «Abbiamo deciso di dire no allo sfruttamento animale in linea con la scelta personale di non consumare carne», precisa Giuliana.
«E sebbene la pelle utilizzata per le calzature sia a sua volta uno scarto del consumo animale – aggiunge -, ci pareva comunque di sostenere indirettamente il business della carne e degli allevamenti intensivi. Per non parlare di quanto sia altamente inquinante (nella maggior parte dei casi) il processo di conciatura».
Derivate da buccia e torsoli di frutta, le alternative alla pelle sono tante e inaspettate. In particolare per le sneakers ID EIGHT si utilizzano apple-skin e Vegea, ottenute dalla bio-polimerizzazione delle bucce di mela e delle vinacce cedute dalle aziende italiane e Piñatex realizzato con le foglie degli ananas coltivati nelle Filippine da filiere etiche e controllate.
A questi si aggiungono tessuti tecnici in poliestere riciclato utilizzati sulla tomaia e cotone riciclato o biologico per fodera e sottopiede. «Non scegliamo mai materie prime vergini e pur non potendo rinunciare a una piccola componente poliuretanica, lavoriamo solo con materiali comunemente considerati scarti. Il nostro impegno – chiarisce Giuliana – è dimostrarne il valore e l’enorme potenziale, anche sostenendo il lavoro innovativo delle start-up che realizzano i materiali con cui creiamo le nostre scarpe».
ESTETICA O SOSTENIBILITÀ: PERCHÉ SCEGLIERE?
Se c’è una cosa a cui Giuliana e Dong non hanno mai pensato è di indossare delle scarpe più etiche ma meno belle. «ID EIGHT nasce per riempire un vuoto nell’offerta di mercato – dichiara Giuliana – il giusto compromesso tra estetica, qualità, durevolezza e sostenibilità è alla base del nostro progetto». La scelta di materie prime per quanto possibile prodotte in Italia, l’etica del lavoro e la produzione gestita interamente da una piccola azienda calzaturiera marchigiana a conduzione familiare, raccontano l’identità di queste sneakers.
Vivaci, iconiche e genderless: queste scarpe sono un omaggio alle origini di Dong e alle atmosfere anni ‘90. «Volevamo realizzare delle scarpe inclusive, per tutti. Tra l’altro io e mio marito abbiamo lo stesso numero e ci siamo sempre scambiati le sneakers», sorride Giuliana. E nonostante la produzione si basi su piccoli numeri, la scelta dell’unisex abbatte il rischio di invenduto e di sprechi di magazzino. «Le nostre scarpe sono dei continuativi: qualcosa che non passa di moda e che non ci si stanca mai di indossare. L’obiettivo non è cambiarle ogni stagione, ma farle durare», aggiunge. Tra i servizi offerti infatti c’è anche quello di riparazione e spedizione al cliente.
«Il greenwashing oggi inquina la percezione del consumatore, lo disorienta e danneggia i produttori onesti», commenta Giuliana. «È difficilissimo riconquistarne la fiducia, ma ciò che cerchiamo di fare ogni giorno è avvicinare una clientela varia: da chi è attento ai temi della sostenibilità a prescindere, a chi invece vorrebbe scegliere dei prodotti realizzati senza sfruttamento umano, animale e ambientale, pur non rinunciando all’estetica delle scarpe da indossare».
DALLE SCARPE AI SEMI
Niente è lasciato al caso, persino la confezione è realizzata in carta riciclata e al suo interno, insieme alle scarpe, è custodita una seed bomb, in omaggio a ogni cliente. Si tratta di una pallina di terra e semi di fiori ricoperta d’argilla, da piantare in un vaso o in giardino.
«Mi piace pensare che insieme alle circa tremila paia di scarpe vendute finora, ci siano altrettante bombe di semi esplose, da qualche parte in Italia e nel mondo», conclude Giuliana. «Ma la responsabilità di piantarla e vederla fiorire è di ognuno di noi». In fondo ogni cambiamento non può che nascere da piccole cose: un messaggio potente, per essere racchiuso in un pugno di terra e semi.
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