Franco Borgogno: l’unica risposta possibile al problema dei rifiuti è la consapevolezza
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Quasi 5500 miliardi di pezzi di plastica galleggiano nei mari di tutto il mondo. Circa trecentomila tonnellate, cinquanta grammi per ogni essere umano presente sulla Terra. Sono numeri in continua crescita: si stima che nel 2050 il peso delle plastiche in mare supererà quello dei pesci. I rifiuti e la plastica ci stanno completamente soverchiando.
A parlarcene è il giornalista Franco Borgogno. Dalla carta alla televisione, al web, dallo sport alla politica alla cronaca per dedicarsi, negli ultimi dieci anni, ai temi ambientali, coniugando così il lavoro con una sua passione personale. Mentre studiava come guida ambientale naturalistica si è reso conto della poca informazione dedicata all’inquinamento della plastica. Neanche chi si occupava dell’“ambiente” ne parlava. Dopo aver contattato diversi istituti di ricerca e Università, ha partecipato per l’European Research Institute alla spedizione organizzata dal 5 Gyres Institute, ONG specializzata nello studio e nella divulgazione sul tema plastic pollution, attraversando il mitico passaggio a nord-ovest.
Dopo questa esperienza ha scritto un libro, Un mare di plastica, e realizzato un documentario: un modo per prendere coscienza del grave problema intorno a noi, individuando comportamenti da evitare per non compromettere il mare, il pianeta e la nostra vita. Hanno poi fatto seguito altre iniziative, come due nuove spedizioni in Artico con la campagna oceanografica pluriennale della Marina Militare Italiana. «Abbiamo trovato oggetti di plastica anche all’interno della calotta polare artica, dentro il ghiaccio. Un risultato che non era mai stato documentato prima», racconta Borgogno.
Oggi i suoi studi si concentrano sulle tematiche relative all’inquinamento da plastica in montagna e in mare. Nei porti di Genova e Tolone, prima anche in Sardegna, è attivo il progetto SPlasH & Co, il proseguimento della prima campagna SPlash, che analizza per la prima volta la presenza di microplastiche e metalli pesanti che queste contengono attraverso un continuo campionamento.
«È fondamentale l’attività di comunicazione e divulgazione con le scuole: coinvolgiamo i ragazzi a partire dalle prime classi anche attraverso attività sul campo, lungo le spiagge per raccogliere i rifiuti che spesso non si vedono neanche e per cercare di comprendere le conseguenze a cui andremo incontro». Fino ad ora sono stati coinvolti 2500 studenti, 14 scuole liguri e 7 scuole sarde.
Gli sconvolgenti risultati di una missione scientifica attraverso il passaggio a Nord Ovest |
Dal mare alla montagna. Borgogno studia infatti anche le microplastiche presenti nella neve, documentando la tipologia e la quantità di oggetti che si trovano anche sui percorsi battuti dagli escursionisti. Attraverso il progetto CleanAlp, dal Gran Paradiso alle Alpi Marittime, è in corso un’attività scientifica di ricerca per individuare in tutte le aree le microplastiche nella neve. «Tendenzialmente siamo portati a pensare che in montagna non si trovino molti rifiuti perché chi preferisce la montagna ha una motivazione a stare in natura diversa da chi invece frequenta il mare».
In realtà non è così: «Al termine di ogni escursione abbiamo un sacco pieno di tutto ciò che raccogliamo lungo il tragitto, che poi viene pesato e censito, frammento per frammento. A fine 2023 avremo un quadro completo di tutto ciò che abbiamo trovato sull’arco alpino, dalle Alpi Liguri e Marittime a quelle nord occidentale quindi Piemonte, Valle d’Aosta fino al Lago Maggiore. Un dato unico al mondo. Ci sono attività simili di osservazione o di pulizia dei luoghi in varie parti del mondo come l’Himalaya o le Ande, ma non esiste uno studio fatto anche sulla tipizzazione e quantificazione dei rifiuti raccolti», continua Borgogno.
I rifiuti che si trovano sulla neve hanno spesso un’origine remota, di solito non vengono buttati sul momento, ma sono spostati dal vento o dal movimento dell’acqua. In altri casi si tratta di piccole fibre di vestiti, zaini o scarponi che, in maniera inconsapevole durante la camminata, vengono rilasciate sfregandosi. C’è anche chi, volontariamente, decide di percorrere molti chilometri e recarsi in montagna per scaricare rifiuti ingombranti.
Lo scopo principale di questi progetti non è pulire. La pulizia di per sé ha un valore, ma la finalità principale è rendere più consapevoli le persone. «Io ho trovato 156 oggetti dentro la calotta polare, purtroppo non esiste un posto sulla terra in cui non ci siano rifiuti. Serve fare un lavoro di prevenzione».
Rispetto agli anni passati assistiamo senz’altro a un miglioramento, una maggiore presa di coscienza del problema, ma ancora non basta. Andrebbe diminuito, se non addirittura eliminato, il monouso – non solo di plastica, ma di qualunque materiale – promuovendo un’economia locale sul territorio che avvantaggi i prodotti sfusi. Questa è solo una delle tante soluzioni.
È importante analizzare anche i fenomeni sociologici. Tanti fumatori, ad esempio, secondo diversi studi, buttano il mozzicone per terra senza neanche accorgersene perché sanno che qualcuno lo raccoglierà per loro. Manca l’attenzione al rifiuto, che spesso passa inosservato alla vista dell’uomo. «Eravamo su una spiaggia in Liguria per pulire un piccolo tratto di 150 metri. Sembrava fosse lindo, ma abbiamo raccolto circa 60 chili di rifiuti. La consapevolezza aiuta a ridurre il problema».
La comunicazione e il coinvolgimento giocano un ruolo fondamentale. Arrivare a tutti non è semplice. Secondo Franco Borgogno basterebbe anche un buon 30% per dare l’input a una nuova dinamica che possa trascinare anche l’altra parte. Nel caso della plastica, ad esempio, la sensibilizzazione di un certo numero di persone ha prodotto una quantità di leggi che sono arrivate più velocemente rispetto al passato. Il problema non è stato ancora risolto, ma almeno il processo ha avuto inizio.
Sono decisive le immagini come quella della tartaruga con la cannuccia intrappolata nel naso, scene del genere innescano una reazione emotiva. Vedere gli animali soffrire fa spesso scattare una sorta di empatia che manca in altri casi, pur non essendo magari quella la parte più grave del problema. Ma, come sostiene Franco Borgogno, è tutto utile per far pensare di poter contribuire al cambiamento.
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