26 Lug 2022

Francesco Cannadoro: “Racconto il drago del mio Tommi per far comprendere davvero la disabilità”

Scritto da: Elena Rasia

La nostra Elena si sofferma a riflettere su quanto contino le parole quando ci si approccia alla disabilità, specialmente in un paese dove, purtroppo, raramente sono seguite dai fatti. Lo fa dialogando con Francesco Cannadoro, papà di Tommi, che ha scelto di raccontare sui social e sui libri la vita della sua famiglia, a contatto quotidiano con la disabilità.

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Oggi si parla molto spesso di quanto manchi una narrazione della disabilità adeguata, che non scada nell’abilismo e che coinvolga in primis tutte quelle persone che la vivono sulla propria pelle o, “di riflesso”, nella propria quotidianità. Ogni volta che ci si addentra in questi argomenti però, m’interrogo ponendomi delle domande che oggi vorrei condividere con voi: è veramente necessario parlare “adeguatamente” di disabilità prima di mettere effettivamente in pratica un nuovo approccio? C’è realmente un modo giusto e univoco?

Certo, per trattare il tema della disabilità in maniera consapevole bisogna avere un minimo di cognizione di causa, non se ne può parlare a sproposito, ma penso che a volte le complesse sovrastrutture teoriche rispetto a questo argomento rappresentino solo una barriera, un limite insormontabile.

Francesco Cannadoro, il protagonista della storia che sto per raccontarvi, ha dato involontariamente una risposta a questi miei dubbi e lo ha fatto attraverso il suo quotidiano e puntuale racconto sui social facendomi capire che no, non è necessario padroneggiare le citate sovrastrutture per poter trattare di disabilità. Lui infatti non “tratta” la disabilità perché è innanzitutto un papà. Il papà di Tommi.

francesco cannadoro1

Tommi è un ragazzone di otto anni con dei profondissimi occhi scuri nato con un “drago” pasticcione e degenerativo che lo tiene per mano. Francesco è un papà, marito, content creator e scrittore che comunicando attraverso i suoi canali ha determinato una svolta: parlare di disabilità raccontando la quotidianità e aiutando le persone a familiarizzare con una situazione che i più percepiscono lontana, estranea.

Francesco fa conoscere il “drago” al di fuori delle proprie mura di casa perché anche chi non ha mai avuto a che fare con la disabilità possa riconoscere un serpentone sputafuoco e non averne paura. Lo fa con tranquillità, con ironia, senza allarmismi e iniettando in chi lo segue una consapevolezza costruttiva che si fonda su svariati argomenti, insieme a mamma Valentina.

Negli ultimi anni si è avvicinato al mondo della narrativa scrivendo diversi romanzi e anche un libro per bambini che si chiama Io e il drago. Storia di Tommi, raccontata dallo stesso Tommi. Eh sì, perché questo “drago” la famiglia Cannadoro ha imparato ad accarezzarlo e io ho voluto saperne di più su questo papà irriverente.

Come ti descriveresti in tre parole?

Papà, simpatico, imprevedibile.

Quand’è nato Tommi, come avete scoperto del “drago”?

Facendo ciò che in realtà, nella maggior parte dei casi, non ha senso fare: i confronti con i figli degli altri. È una cosa che di base lascia il tempo che trova, ma in certe situazioni palesemente squilibrate può dare un pizzico di input per approfondire.

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Mi racconti com’è stato conoscerlo e farci amicizia?

È stato molto semplice: siamo due simpatici. Abbiamo tutti e due una passione smodata per le coccole e per le risate e questa cosa ci ha unito molto fin da subito. Nonostante la sua condizione, a Tommi non è mai mancata la voglia di viverla bene, sta vitaccia. E spesso è lui a trascinare il mio entusiasmo.

Spesso si racconta la disabilità con una felicità e un eroismo non richiesti che, agli occhi di chi non la vive quotidianamente, sembrano raccontare una realtà distorta. Cosa ne pensi? Hai mai vissuto dei momenti dove ti sei sentito richiedere un modo di comunicare che non ti apparteneva? Come hai reagito?

Si sente molto la mancanza di una narrazione priva di retorica nella disabilità. Fortunatamente, da quando –- grazie ai social – a raccontarsi in prima persona sono i diretti interessati, le cose stanno cambiando. Il problema è che i media sembrano essere sordi, a loro serve l’effetto che una storia produce e per ottenerlo spesso spingono sui tasti sbagliati. Della storia in sé, a loro frega poco. Ed è proprio questo il problema: quanto alla società, ad ogni suo livello, interessi realmente comprendere la disabilità.

francesco cannadoro2

Ribadisco: grazie a chi si racconta in prima persona, lentamente le cose stanno cambiando, ma c’è ancora un sacco di strada da fare. A me personalmente è capitato che in alcune trasmissioni cercassero di farmi raccontare le cose come volevano loro, ma ovviamente non ci sono riusciti. Purtroppo non tutti hanno la finezza di riconoscere quando qualcuno sta pilotando la narrazione e alcuni si fanno trascinare. E i media ci sguazzano.

Ultimamente ho letto una tua riflessione – con cui sono molto d’accordo – riguardo l’utilizzo di parole “difficili” che spesso e volentieri si intrecciano al mondo della disabilità e che, proprio per questo, allontanano chi invece è più “semplice”. Pensi che una “rivoluzione” comunicativa, partendo dalle parole più comuni possa avvicinare nel concreto le persone a un approccio differente, che non faccia percepire la disabilità come un mondo a parte?

Io credo che mettere l’accento sulle parole in molti casi sia una tattica di chi ricopre cariche istituzionali per fingere impegno, ma al contempo non fare nulla di realmente utile. E in Italia la polemica piace, quindi prende piede. Spesso assisto a discussioni surreali su quale sia la terminologia da utilizzare in questo o in quel caso e ogni volta penso che quelle persone stiano perdendo tempo.

Per due motivi: il primo è che spesso e volentieri le terminologie che vengono proposte sono un esercizio stilistico e niente più e complicano solo le cose – come dicevo nel post che hai letto. Il secondo motivo è che il tempo perso a discutere su una parola potrebbe essere impiegato per fare funzionare le manine e risolvere le cose in maniera pratica.

Se dovessero istituire la rivoluzione di parole di Francesco Cannadoro quali verrebbero eliminate e quali messe in circolo?

Faccio un esempio su tutti: la parola caregiver. C’è troppa gente che nei post sui social che parlano di problemi tecnici reali, che si riscontrano nella quotidianità di chi assiste un disabile, perde tempo a discutere se sia opportuno utilizzare un termine anglofono in Italia, ignorando completamente il tema proposto nel post. Io penso che se sistemassero un po’ di cose a favore della disabilità e di chi l’affronta in questo paese, poi potrebbero chiamarmi anche “spinterogeno”. Sai quanto me ne frega di come mi chiamano se nel frattempo mio figlio non fa fisioterapia perché l’ASL non propone più di un’ora a settimana – problema risolto, ma che abbiamo avuto e continuano ad avere in molti –, per dirne uno a caso?

È proprio questo il problema: quanto alla società, ad ogni suo livello, interessi realmente comprendere la disabilità

Si dice spesso che i bambini non abbiano difficoltà nella relazione con chi è differente da loro – tutti siamo “il diverso” per qualcun altro –, cosa ne pensi? Il tuo ultimo libro rivolto ai più piccoli ti ha dato dei feedback in merito?

I bambini sono un’altra categoria che spesso viene narrata con retorica, talvolta addirittura mitizzata. I bambini non vedono le differenze! Non è vero. E meno male. Altrimenti non farebbero domande e a me ne fanno sempre tantissime, soprattutto quando vado in giro a presentare “Io e il drago”. Semmai i bambini non differenziano, che è diverso. Accettano senza preconcetti che ognuno sia fatto a modo proprio, a meno che non siano già stati indottrinati da un genitore ottusamente zelante. Capita anche questo).

Progetti futuri?

Sto lavorando al mio quarto libro, che sarà il mio primo romanzo originale. Le strade di due padri e due figli si incroceranno, non necessariamente in tempo reale, o almeno non per tutti, e… niente spoiler! Da settembre poi riprenderò ad andare nelle scuole a parlare di “Io e il drago”. Le richieste a inclasseconlautore@deagostini.com sono state diverse, speriamo di riuscire ad accontentare tutti.

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