Realizzare con le proprie mani un luogo da chiamare casa: un esperimento di autocostruzione
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Viviamo in una casa che ci siamo costruiti. No, non siamo muratori, architetti, ingegneri. Con volontà, criterio e molto lavoro, abbiamo progettato e dato alla luce una casetta in legno che soddisfa a pieno le nostre esigenze. Lo abbiamo fatto in autocostruzione, senza chiederlo a nessuno, con le nostre forze, con una spesa totale che non ha superato i diecimila euro. Tutti hanno diritto a una casa e dovrebbero avere anche il diritto di sceglierla per come la desiderano.
Il mondo della natura è straordinario: se osserviamo un qualunque animale, vertebrato o invertebrato, piccolo o grande, in terra, nel cielo o nel mare, possiamo facilmente accorgerci che una delle abilità innate che possiede è quella di sapere – istintivamente o per imitazione del genitore che lo ha accudito – come costruirsi una tana, un rifugio, un luogo per lui accogliente dove può difendere sé stesso e/o la sua prole dai pericoli, dove immagazzinare o produrre il cibo, dove riposare e sentirsi al sicuro.
Noi siamo così diversi? Perché ad oggi, in Italia come in molti paesi dell’Europa e del mondo, specialmente quelli più ricchi, appare così difficile, complesso e fuori dall’ordinario scegliere di costruirsi una casa, a meno che non vi siano professionisti qualificati del settore edilizio? Perché possedere una casa è diventato per molti causa di indebitamenti, mutui trentennali, sacrifici decennali, accettando implicitamente il fatto che possedere una casa non è un diritto di tutti, ma un qualcosa che ci si deve sudare per metà della propria vita?
Da quando osservo il mondo dell’infanzia mi accorgo come in realtà non abbiamo affatto perso quell’istinto primordiale a sperimentare fin dalla tenera età materiali, architetture e ingegnerie per creare tane, rifugi, capanne, costruzioni di ogni genere da poter chiamare casa. Ho visto i miei figli e i loro amici scavare buche per giorni e giorni, usare bastoni, bancali, tessuti e corde, chiamare casa un buco tra i cespugli o una piattaforma sopra un albero. Davvero una casa è solo ciò che è riconosciuta tale dallo stato? Perché come persona libera non posso decidere di vivere in un camper, in una yurta, in una casa mobile o come nomade in una tenda?
Lo stato italiano, come molti altri in Europa e nel mondo, non riconosce come dimore adatte alla residenza molte costruzioni che la storia di popoli da tutto il mondo ha dimostrato essere dimore accoglienti e sicure. Da quando io e Tomas abbiamo deciso di condividere la nostra vita e abbiamo scelto di lavorare per vivere e non di vivere per lavorare – guadagnando perciò poco più di ciò che ci serviva per vivere una vita semplice e tranquilla – il pensiero di spendere più di quanto potevamo permetterci per una costruzione di cemento non ci hai mai attirato, forse anche per lo spirito un po’ nomade che ci accomuna.
Quando abbiamo scoperto la libertà che ci offriva una casa su quattro ruote – conciliandosi con il periodo di ricerca in cui era la nostra vita – siamo stati entrambi d’accordo nel trasferire su un camper tutti i beni che per noi erano essenziali e siamo partiti. Quando la vita ci ha riportato a una semi-stabilità in un altro paese e grandi e piccoli hanno sentito la necessità di spazi personali più ampi, dopo un periodo di confronti, ragionamenti e calcoli abbiamo deciso: ci saremmo costruiti uno spazio da chiamare casa.
Il progetto ha richiesto un lavoro di bilanciamento di tutti gli aspetti che per noi erano importanti: l’eco-sostenibilità, un budget al di sotto dei diecimila euro, una struttura che si potesse smontare e trasportare, la qualità del risultato in termini di stabilità, sicurezza e accoglienza. Io e Tomas abbiamo conciliato la sua grande abilità pratica e la mia attitudine alla progettazione e all’organizzazione.
Abbiamo ideato su carta una struttura di circa 35 metri quadri, costruita prevalentemente in legno, con base rettangolare, tetto inclinato a sufficienza per poter raccogliere l’acqua piovana e per poter ospitare i pannelli solari, nostra fonte di elettricità. L’interno è un open-space, in parte soppalcato per poter organizzare lo spazio dei nostri figli Federico e Pietro, bagnetto annesso con gabinetto a secco, riscaldamento con stufa a legna e un terrazzo esterno spazioso per affrontare le torride estati del sud del Portogallo.
I lavori sono tutti stati fatti con attrezzi non professionali, da bricolage: una mazza, una bolla, una squadra e uno spago sono stati sufficienti per mettere a livello e posizionare le fondamenta della casa, ancorate al terreno da paletti di acciaio zincato. Un seghetto alternativo, avvitatore, martello e innumerevoli chiodi e viti per mettere insieme tutti i pezzi della struttura.
Levigatrice, pennelli, vernici, isolanti e protettive e tanto olio di gomito per rendere le centinaia di assi che abbiamo usato più lisce e durevoli. Graffatrice per ancorare tra i due strati di assi di legno un isolante termico; un cannello per saldare le strisce di guaina bituminosa ardesiata che fanno da ultima copertura al tetto, dopo uno strato di legno, uno di pannelli di scaglie orientate (comunemente chiamati OSB) e uno stato di isolante termo-riflettente.
Dopo tre mesi di lavoro, errori e aggiustamenti, piccoli cambiamenti del progetto in corso d’opera, installazione dell’impianto elettrico e dei tubi idraulici, la struttura era pronta per essere arredata. Avendo deciso di ridurre al minimo gli sprechi di materiale, sia per una questione economica che ecologica, anche l’interno è stato in gran parte costruito con le nostre mani – io dico nostre ma soprattutto da quelle di Tomas.
Una libreria costruita riutilizzando vecchi pallets, uno spazio cucina con una cassettiera di seconda mano, varie mensole a vista e un tavolo a penisola, un divano usato, uno scaffale hand-made e un letto di bancali, ripiani bassi sul soppalco di Federico e Pietro, insieme a un grande materasso a terra, una scarpiera ricavata dalle cassette della frutta e la nostra casetta era pronta per essere abitata.
Dopo tutto il tempo e le energie spese, la soddisfazione di avere davanti agli occhi quella che era in principio un’immagine disegnata su un foglio, di una piccola tana da chiamare casa, riempie il cuore e ci offre una grande testimonianza del valore della volontà, della sperimentazione e dell’azione. Non chiedeteci burocrazie, normative, permessi e messe in regola, stiamo parlando di leggi ben più alte ed elevate.
Mi riferisco a una presa di coscienza del fatto che siamo tutti esseri straordinari, che se vogliamo e ci impegniamo possiamo fare qualunque cosa. In questi tempi più che mai, i nostri diritti fondamentali come uomini e donne liberi valgono molto di più di quello che pensiamo, perciò impegniamoci per essere consapevoli della nostra possibilità quotidiana di scegliere di vivere una vita al massimo delle nostre potenzialità.
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