24 Giu 2022

What a festival: un appuntamento per ripensare il ruolo dei grandi eventi in Sicilia

Scritto da: Selena Meli

Festival territoriali: beni comuni, frutto della creatività collettiva e strumenti di comunicazione e promozione dell’identità territoriale. Ne abbiamo parlato in occasione della quinta edizione del Make in South, la piattaforma culturale e operativa di Isola per sostenere l’imprenditorialità, offrire opportunità di confronto, sperimentare e condividere buone pratiche.

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Catania - È tempo di festival. Con l’arrivo della stagione estiva si moltiplicano in Sicilia gli eventi culturali: festival di musica soprattutto, ma anche kermesse di letteratura e mostre d’arte che costellano tutta l’isola attirando appassionati da ogni dove. Ma che legame hanno i festival con i territori? Sono eventi di puro intrattenimento o possono diventare beni comuni, frutto della creatività collettiva nonché strumenti di comunicazione e promozione dell’identità territoriale? E quali sono gli elementi che possono rendere un festival vincente?

Ne abbiamo parlato mercoledì scorso a Catania nella cornice del Make in South, l’appuntamento trimestrale che si svolge a Isola, hub di innovazione e formazione e casa di southworkers. 

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Noi di Sicilia che Cambia abbiamo partecipato per portare la nostra esperienza di racconto, mappatura e messa in rete delle esperienze virtuose del territorio. È stata un’altra occasione intensa e coinvolgente – animata dalla presenza di un vasto pubblico di partecipanti in sala e dalla qualità degli interventi – che ci ha restituito ancora una volta un’immagine della Sicilia a cui non siamo abituati a pensare. Erano presenti Giulia Iannello, project manager del Magma Festival, Andrea Cavallaro di Opera Festival, Luca Recupero del Marranzano World Festival, Simone dei Pieri del Catania Book Festival, ed Enrico Gambadoro dell’Ortigia Sound Sud Festival. A moderare è stata Giulia Lodato, giornalista de La Sicilia. 

L’incontro – la cui registrazione potete visionare integralmente a questo link – si è focalizzato su tematiche importanti e cruciali. Da una parte è emersa, fin dai primi interventi, la necessità di internazionalizzare gli eventi culturali, così da fare della Sicilia una vetrina in questo ambito e un luogo per viaggiare fuori dalle tradizionali rotte turistiche. Dall’altra parte si è poi riflettuto sull’opportunità di spostare i festival in luoghi più periferici, piccoli borghi a rischio spopolamento per esempio, dove eventi di questo tipo possono diventare occasione per animare le comunità locali e spingerle alla collaborazione. 

Ed è proprio quello che è successo a Milo, alle pendici dell’Etna, dove il neonato Opera Festival è diventato un’occasione per andare oltre l’intrattenimento musicale e costruire insieme alla comunità locale un laboratorio di progettazione comune che sta continuando fuori dalle date del festival e per tutto l’anno.

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Foto tratta dall’Opera Festival di Milo.

Secondo l’esperienza del fondatore, Andrea Cavallaro, l’Opera Festival è servito anche per constatare con stupore e orgoglio «un’attività di animazione territoriale molto profonda portata avanti da un ecosistema di associazioni propositive con cui stiamo portando avanti progetti, bandi e proposte». Non solo: «Eventi di questo tipo ci aiutano a costruire una nuova narrazione dei luoghi, scardinata da retaggi legati allo stereotipo del “qui non si può fare niente”».

La rete è fondamentale, lo ribadiscono anche Luca Recupero e Simone de Pieri: «Senza l’aiuto e il sostegno della rete non saremmo d’altronde riusciti a superare questi due anni di pandemia che hanno messo a dura prova il comparto culturale». E per rete non si intende solo la comunità formata da di attività commerciali, associazioni, enti locali che durante gli eventi culturali beneficiano di un indotto economico, ma anche quella degli addetti ai lavori che devono lavorare in sinergia per non danneggiarsi a vicenda.

A tal proposito Giulia Iannello insiste sull’importanza di destagionalizzare i festival, di costruire un calendario comune distribuito su dodici mesi, evitando così di sovrapporre date e proposte, ma anche di uscire dalla logica che vede il mercato culturale come alimento per l’economia dei territori: «I due elementi sono correlati, uno non vive senza l’altro». 

Eventi di questo tipo ci aiutano a costruire una nuova narrazione dei luoghi, scardinata da retaggi legati ai soliti stereotipi del “qui noi può fare niente”

Sulla necessità di lavorare sui territori, puntare sulle periferie ma anche incentivare l’economia culturale e sociale della città insiste Enrico Gambadoro dell’OSS di Ortigia, appuntamento estivo che gode di un’ottima reputazione anche all’estero. Nella sua tesi di laurea, che probabilmente diventerà una rivista, Enrico si interroga proprio sull’impatto che i festival di intrattenimento hanno sull’urbanistica della città, in alcuni casi arrivando a cambiarla profondamente. «Ecco perché i festival “devono muoversi” – dice – espandendosi in altri luoghi della città e contaminando le periferie».

Nella seconda parte del panel anche io ho portato la testimonianza dei festival di Sicilia che Cambia, eventi di natura diversa certamente, ma che hanno permesso alla rete siciliana di favorire le connessioni tra diverse realtà accomunate spesso, a loro insaputa, da obiettivi condivisi. È quello che è successo al Festival dello Scarto di Ragusa o ad Augusta in Gioco. Persone, associazioni, aziende hanno lavorato insieme nella convinzione che unendo le forze fosse più facile raggiungere l’obiettivo. 

Make in South si è rivelato ancora una volta un momento di confronto per ripensare alla Sicilia come luogo da dove ripartire per fare innovazione e dove realtà artistiche e culturali possono generare valore turistico, economico e socio-culturale.

Clicca qui per guardare il video dell’ intervento.

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