Ripopolare i borghi: oltre l’utopia ci sono litigi, problemi e possibili soluzioni
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Imperia - Ripopolare borghi, spostarsi da una città a un micro paese, creare progetti collettivi che siano più orizzontali possibile, condividere idee e sogni, creare relazioni equilibrate e sane con la comunità già esistente e quella nuova. Spesso vi parliamo di iniziative magnifiche con obiettivi come questi, ma non sempre – o meglio, quasi mai – le cose sono semplici.
E non perché ci siano delle forze oscure o difficoltà istituzionali o economiche. O almeno non solo. Spesso ciò su cui non ci si sofferma a sufficienza è l’elemento che poi crea più dissapori, difficoltà e per cui i progetti talune volte non sopravvivono: quello umano. Per essere più precisi, mi verrebbe da dire l’elemento umano all’interno di un gruppo.
DALL’ESALTAZIONE AL CAOS
Solitamente il primo periodo è eccitante, entusiasmante per tutti: la gioia di fare cose insieme, di essere parte di qualcosa di più grande di sé crea nell’aria un’adrenalina capace di andare oltre, superare pigrizie, limiti e difetti di ognuno dei componenti. Ma a un certo punto il tutto inizia lentamente a sfumare.
Poco a poco le difficoltà che non si erano palesate o che sembravano semplici da superare cominciano a crescere e ad assumere dimensioni spaventose. Tutto si fa complicato. I problemi superano le soluzioni e lì in quel momento di curva naturale un aiuto va ricercato nella solidità, nella compattezza e nella capacità del gruppo venutosi a creare di reagire e andare oltre.
Come? Con strumenti di dialogo e soprattutto di ascolto profondo, spazi e tempi dedicati al comprendersi, a esprimere i disagi interiori e non. Percorsi di facilitazione dei gruppi, possibilmente iniziati ben prima della fase critica, possono far sì che in questi momenti le persone non alzino barriere e giudizi, preferendo il confronto alla chiusura.
Ma non sempre avviene tutto ciò e non sempre se avviene, funziona! Perché siamo esseri umani e mettersi in discussione nel nostro profondo, capire cosa funziona e cosa non all’interno di noi e delle nostre relazioni, non è facile, anzi, richiede tempo, voglia, energia e desiderio di farlo!
Mi sono scontrata proprio in queste ultime settimane con situazioni molto simili in progetti diversi: territori lontani tra loro, persone che arrivano da contesti e paesi differenti, ma dinamiche sociali che hanno molto in comune. Non ci sono buoni e cattivi, né tanto meno uno o più colpevoli, ma responsabilità e comunicazioni che vacillano creando una reazione a catena che, pezzo dopo pezzo, fa cadere progetti, entusiasmo, talune volte amicizie.
IL “CASO” DI GLORI
Ho deciso quindi di provare ad addentrarmi in una di queste per capire meglio cosa è avvenuto e se tutto ciò fosse evitabile. Il punto di vista scelto, che vi riporto oggi, quindi è uno e per sua natura relativo: quello di chi ha creato e dato vita a uno di questi progetti. Parliamo di Glori The Place To Be, di cui vi abbiamo parlato qui.
Vi invito a rileggere e rivedere la loro storia, ma vi farò qui un riassunto per permettervi di comprendere ciò di cui vi parlo, nel caso non l’aveste ancora approfondito: ci troviamo nell’entroterra imperiese, in un borgo nel comune di Molini di Triora chiamato Glori. Luca nel 2014 arriva in questo luogo, all’epoca quasi abbandonato, e innamorandosene ha una visione che decide di trasformare in realtà: ripopolare il borgo e prendersene cura.
Da lì a poco si trasferisce anche l’amico Matteo. Attraverso una pagina Facebook postano annunci e condividono il lavoro fatto di pulizia, relazioni con le persone del luogo, opere di rimessa in sicurezza e ripristino delle territorio, ristrutturazione delle prime abitazioni. Le persone iniziano a rispondere da diverse regioni, arrivando persino dall’estero per incontrarli, visitare Glori e poi decidere di insediarsi lì. Il lavoro di mappatura delle abitazioni e le relazioni con i proprietari che hanno permesso, attraverso la fiducia, di affittare e acquistare è stato fondamentale.
La popolazione ha un picco demografico importante e in controtendenza rispetto a tutti gli altri Comuni della zona e non solo: in pochi anni nel borgo di Glori e in quelli accanto si trasferiscono una quarantina di persone. Allo stesso tempo, vengono riaperte attività commerciali e avviati progetti educativi. Viene creata anche un’associazione che riporta il nome del progetto iniziale – Glory the place to be, per l’appunto – per gestire le attività organizzate e i fondi raccolti e per migliorare in maniera organizzata la vita di tutti i nuovi e vecchi residenti.
I PROBLEMI
E qui iniziano a verificarsi i problemi: sorgono disaccordi tra i soci quasi fin da subito. Gli obiettivi sembrano diversi e i mezzi per raggiungerli ancor di più. «Il concetto di associazione aveva soffocato la spontaneità che aveva caratterizzato il progetto e le grandi differenze di come gestire il paese cominciarono ad emergere. Tutte le proposte di iniziative che venivano presentate al direttivo, anche da parte degli stessi membri, venivano rifiutate senza controproposte o alternative».
E così dopo mesi e mesi di scontri, dissapori e malcontenti generali Luca e Matteo, che all’epoca facevano parte del direttivo dell’associazione, decidono di uscirne: «Abbiamo compreso che eravamo una minoranza di pensiero e ciò non stava portando a nulla. Non vi era valore aggiunto e anzi, venivano a crearsi situazioni poco funzionali per tutti». Pensano così che uscire dall’organo direttivo possa risolvere la cosa, ma così non è.
Le iniziative fino ad allora portate avanti si riducono al minimo indispensabile, i sentieri puliti con esse e ogni forma di autorganizzazione per risolvere i problemi del borgo anche. Luca mi spiega che l’amministrazione comunale è molto poco presente nel supportare la vita a Glori, quindi fino a quel punto erano gli stessi abitanti che avevano provveduto a risolvere in prima persona le difficoltà (come ad esempio strade poco percorribili) o a far pressione affinché venissero gestiti dall’amministrazione.
Il risultato è che l’associazione esiste ancora, ma il focus è cambiato. Ad ogni modo è molto difficile, se non impossibile, mettersi in contatto con loro, in quanto non rispondono ai recapiti forniti. La vita nel borgo continua a scorrere, più vivace che mai visto il numero di bambini e bambine, ma le attività di gruppo per migliorare la vita di tutti e tutte sono rimaste ferme. Da progetto di gruppo, si è trasformato in tanti progetti individuali che si incrociano nelle vie del luogo.
LE POSSIBILI CAUSE
Quando chiedo a Luca quali sono le cause, per evitare che altri progetti ricadano negli stessi errori, e lui mi risponde con molti forse: «Credo che gli ultimi arrivati qui, non avendo vissuto il pregresso, non si siano posti domande su come si fosse giunti fino a quel punto. Inoltre non abbiamo mai fatto una carta di intenti per chi entrava a far parte di Glori, per esprimere quali fossero i nostri valori e la nostra visione, e condividerli con chi voleva unirsi».
«Si sono attivate invece le tipiche dinamiche di micro paese che pensavo non sarebbero arrivate qui: diffidenza, paure, poco ascolto. In associazione era quindi molto complesso portare proposte e riuscire a farle approvare». Insomma tante etichette, conflitti e pochi strumenti per gestire il tutto.
E ciò pesa soprattutto quando le istituzioni non funzionano. Se i servizi non sono semplici e scontati da raggiungere, è la comunità che si deve attivare per trovare soluzioni ai problemi emersi. Nel parlare con Luca comprendo che nei confronti aperti a tutti i soci le dinamiche che erano emerse nascondevano una mancanza di fiducia tra le persone coinvolte e verso l’esterno, ma anche una diversità di visione sull’apertura. C’era chi come lui e Matteo avrebbe voluto continuare ad accogliere nuovi abitanti e chi invece avrebbe chiuso i confini del borgo per evitare che ciò accadesse.
UNO SGUARDO AL PASSATO: COME SAREBBE POTUTO ANDARE
Le relazioni umane tra singoli cittadini sono serene e amichevoli, ma l’elemento della comunità – in particolare di quella comunità attiva e proattiva che vi era inizialmente – sembra essersi smarrito. Le cose avrebbero potuto andare diversamente e sono ancora in tempo per farlo. Ma come? Il passato non si può cambiare, ma agire sul presente di quella comunità e delle altre che si stanno formando ora è possibile.
Secondo Luca, formalizzare troppo in fretta un gruppo attraverso un’associazione verticale può creare dinamiche di potere e controllo: «Alcuni membri avevano il terrore che la situazione del ripopolamento potesse da un momento all’altro scappare di mano. In questi casi credo che possa essere utile una mediazione». Altro elemento su cui Luca si è molto soffermato a riflettere è quello delle differenze tra progetti basati su immobili di proprietà privata e non».
Il PRESENTE E IL FUTURO
Nonostante abbiano perso fiducia e voglia di realizzare progetti collettivi, Matteo e Luca continuano a credere nella possibilità di contribuire a ripopolare la valle, creando una vera comunità che si aiuta e supporta. Stanno così portando avanti un progetto per raggiungere questo obiettivo insieme al Comune di Molini di Triora. Inoltre stanno riattivando alcune iniziative, anche se in maniera ancora sporadica, per recuperare saperi e tradizioni e divulgare iniziative interessanti in zona. La pagina Facebook in cui li potete seguire è Love o’clock.
Auguriamo una buona vita a loro e a tutte le comunità che nonostante le difficoltà riescono a rialzarsi per proseguire mano nella mano il loro cammino verso un’umanità più consapevole e in armonia con se stesse e il luogo che li ospita.
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