Una multifactory in Perù? 30 giorni e 4000 chilometri di esplorazione e ricerca
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Atterriamo a Lima il 27 aprile 2022. In Perù è uno dei primi giorni di autunno. La nebbiolina che ricopre il cielo e nasconde i palazzi, unita al traffico di una capitale sudamericana da 10 milioni di abitanti, onestamente un po’ ci disorienta. Ci lasciamo cullare da questo spaesamento, lo accogliamo: davanti a noi abbiamo 30 giorni, un solo albergo prenotato – il primo – e non abbiamo letto nessuna guida turistica sul Perù prima di partire… nulla può andare storto! Ci piace così, non vogliamo anticipazioni su ciò che vedremo, vogliamo fare proprio come quella seppia che si orienta nel buio degli abissi usando i tentacoli per conoscere e muoversi, che impara toccando.
Il secondo giorno sappiamo che è iniziato finalmente un nuovo viaggio di ricerca ed esplorazione che non è né una vacanza né un lavoro e questa consapevolezza ci è sufficiente a darci l’energia necessaria per dimenticarci del jet lag e affrontare con energia il nostro primo meeting di questo viaggio. Da sempre siamo convinti che le ore dedicate al tempo del “lavoro”, se non sono in sinergia e armonia con ciò che piace veramente fare, che soddisfa e rende felici, siano ore buttate via che non ti restituisce nessuno.
Per noi la Work Life Synergy – la sinergia tra vita lavorativa e vita privata – è svolgere un’attività che sia la nostra passione e unire sempre vita privata e lavorativa. Nei nostri viaggi esploriamo senza vincoli, cercando di crescere come persone e allo stesso tempo di far crescere la nostra attività. Il nostro viaggio in Perù sarà come tutti gli altri fatti insieme: un viaggio di ricerca ed esplorazione che non è solo una vacanza, né solo un lavoro, ma che è entrambi.
Con questa consapevolezza affrontiamo il primo incontro peruviano che abbiamo in programma: una riunione con quattro docenti della facoltà di economia dell’università Cattolica Pontificia di Lima, uno degli atenei più rinomati del Sud America. Indosso una scintillante giacca confezionata su misura da Waxewul e sono pronta, insieme a Giulio Focardi, a raccontare ai nostri ospiti che cosa sia una multifactory, una tipologia di spazio di lavoro condiviso che abbiamo costruito negli ultimi dieci anni, un modello socio economico fondato sull’economia collaborativa e sul mutuo aiuto.
Una visita all’immenso campus universitario in pieno stile americano, un cebiche – piatto tipico peruviano a base di pesce crudo – freschissimo e un fresco pisco sour portano la discussione a un livello profondo: con Miguel Còrdova parliamo di una nuova classe sociale emergente che ha bisogno di costruirsi una identità; Manuel Diaz ci chiede come generiamo e alimentiamo la fiducia tra persone che inizialmente non si conoscono e che magari non si sarebbero mai incontrate, in un contesto di business; è veramente possibile costruire sistemi composti da enti for profit fondati sulla collaborazione e mutuo aiuto anziché sulla competizione e l’esclusivo interesse individuale?
La nostra risposta è un convinto “sì, si può fare”. Le imprese sostenibili non sono semplicemente più “buone” delle altre perché non hanno come unico fine il profitto, ma sono imprese che funzionano diversamente e sul lungo periodo, una volta capito come funziona, diventano più efficienti di quelle tradizionali. Condividere gli strumenti, ad esempio, è diventato oramai una pratica comune, ce lo ha insegnato la sharing economy – quella di Airbnb per intenderci –, ma c’è molto di più.
Jorgue Martinez, professore di marketing, è allora curioso di sapere come ci vede il mondo accademico in Europa, non siamo forse considerati un po’ troppo naif dalle facoltà di economia? Rispondiamo con l’ultimo briciolo di energia che ci rimane che la multifactory e tutti gli altri modelli emergenti di comunità orizzontali, non più fondati su principi gerarchici e piramidali di distribuzione del potere, sono il futuro. Devono esserlo. Sì, saremo considerati da alcuni anche naif, ma siamo convinti che sia una cosa necessaria, non c’è alternativa, perché there is not Planet B – non esiste un altro pianeta.
È tutto bellissimo, siamo con voi, ci dice il professore più anziano, siamo d’accordo che non esiste solo la sostenibilità ambientale, è fondamentale anche quella economica e soprattutto quella sociale – e istituzionale, aggiungiamo noi –, ma noi che cosa possiamo fare per voi? Manuel lo rincalza: sì, è tutto sensato, ma poi ci sono sempre le correnti economiche classiche che queste idee non le vogliono neanche sentire, girano la testa dall’altra parte quando parli di collaborazione, di mutuo aiuto. Come parlare al vento.
La vera domanda che ci pone Manuel è: quale sarà l’impatto di tutto questo movimento? Questa dell’economia collaborativa sarà e resterà una attività di nicchia o diventerà un giorno mainstream? Con questi quesiti aperti ci salutiamo, il tempo a disposizione è finito, sono le 18, il sole sta già tramontando. I professori del PUCP ci augurano buon viaggio, si augurano di reincontrarci e ritornano ai loro uffici per la prossima lezione, online.
Io lo so che sotto sotto i professori, mentre ci sorridono, si domandano che cosa ci facciamo veramente lì: perché siamo in Perù? Attraverseremo il deserto lungo la Carretera Panamericana Sud, supereremo l’altopiano delle Ande per 250 chilometri a 5000 metri di altitudine, passeremo ai piedi di sette vulcani attivi, scenderemo ai 3800 metri del lago Titikaka – il lago navigabile più alto al mondo – e ritorneremo a Lima attraversando la selva di cacao, manghi e banani, passando attraverso la temutissima valle del VRAEM, cuore del narcotraffico più attivo al mondo.
Ma davvero guideremo per 4000 chilometri per migliorare il nostro modello di riorganizzazione delle organizzazioni lavorative e per capire se anche in Perù c’è bisogno di una multifactory? Sì, è davvero l’unico modo, perlomeno per animali come noi: vedere in prima persona quello che funziona, correggere quello che non funziona, migliorarlo, migliorarsi, ogni giorno. Ma soprattutto mettere sempre in discussione ciò che si conosce, essere flessibili, poter cambiare strada, non perdere mai un’occasione e non rimandare mai il momento del divertimento.
Questo mese di Perù ci ha insegnato molto: ci ha riconfermato che le comunità orizzontali e autorganizzate sono più solide di qualunque altra forma di organizzazione umana e non oggi nota. Le comunità sono state il passato e sono il futuro. Il viaggio in Perù ci ha insegnato a non temere di essere profondamente convinti di sentirsi nel giusto, a essere testardi e a proseguire con convinzione in quello in cui si crede.
Ci ha insegnato a non fermarsi di fronte a nessuna incognita, nessun dubbio. Questo viaggio è stato la nostra linfa vitale, ci ha ringiovaniti. Per noi viaggiare è prendere e partire, viaggiare senza guide ma con un piano ben preciso. Viaggiare è agire, esplorare, osare e toccare per conoscere e capire, un po’ come fa quella seppia nell’abisso del mare.
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