Educazione territoriale: il ruolo dell’educatore nel sostegno di ragazzi e bambini
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Imperia - Parliamo di disagio oggi. Giovani ragazzi e ragazze, bambini e bambine che per scappare da difficoltà familiari e sociali abbracciano l’uso di sostanze di cui poi divengono dipendenti: «Imperia è tra le province con un rapporto tra i più alti d’Italia tra numero di abitanti e persone che fanno abuso di sostanze», mi racconta Christian Ferrari, presidente della cooperativa sociale Diana.
Le motivazioni? «Qui la microcriminalità è molto diffusa e per i ragazzi è molto facile entrarci in contatto. Siamo una provincia caratterizzata da forti differenze sociali ed economiche, che mano a mano che passano gli anni sono sempre più marcate e purtroppo i servizi sociali, a causa dei continui tagli, hanno sempre più difficoltà a fornire risposte adeguate».
Il terreno su cui si innestano dipendenze e problematiche è molto legato alla sfera familiare e alle continue prove che ad oggi deve sopportare: «Le famiglie – continua Christian – hanno sempre difficoltà a seguire i figli: devono lavorare sempre di più a causa del continuo aumento del costo della vita. Lavorando di più, passano diverso tempo fuori casa e tutto ciò che riguarda l’educazione della prole viene delegato inconsciamente alle scuole, che però non hanno a loro volta strumenti e ruoli per riuscire a svolgere un compito così ampio».
I genitori hanno sempre maggior difficoltà a parlare con i propri figli e questi ultimi cercano risposte, attenzioni e riconoscimenti al di fuori delle mura domestiche: «Una famiglia stabile e presente è una garanzia di rifugio e sicurezza per i più giovani, ma è sempre più raro riuscire a trovarle».
Oltre a tutto ciò, Christian aggiunge anche l’elemento delle infiltrazioni criminali organizzate, che da tempo sono presenti sul territorio e con cui diverse famiglie hanno già avuto problemi. Ma non solo: anche il tema dell’immigrazione non favorisce il contesto. Secondo il presidente di Diana, non siamo ancora una nazione pronta per accogliere a livello paritario persone di provenienza straniera, garantendo un’integrazione reale e ciò crea disuguaglianze sociali difficili da colmare.
LE DIMENSIONI CHE CONTANO
«La cooperativa Diana – racconta il presidente Christian Ferrari – nasce nel 2012 da un gruppo di educatori che sotto gli intenti più puri decidono di dar vita a una realtà che potesse rispondere alle esigenze educative del territorio imperiese». I dieci soci fondatori già da tempo si occupavano di attività educative di vario genere, come asili nidi, centri estivi, laboratori didattici: esse si sono consolidate nel corso del tempo e il personale è triplicato in questi dieci anni di lavoro.
«Abbiamo deciso di continuare a mantenere le dimensioni di una piccola cooperativa perché non vogliamo fare business, ma continuare a operare quotidianamente per rispondere alle diverse esigenze che il territorio richiede e farlo con la dovuta professionalità e attenzione, che crescendo troppo rischieremmo di non riuscire a garantire».
Diana offre i propri servizi educativi attraverso educatori ed educatrici professionali, assistenti sociali, assistenti alla persona, oltre a due psicologhe, che svolgono sia un ruolo esterno – come ad esempio sportelli di ascolto all’interno di istituti scolastici –, ma anche interno di supervisione e supporto del personale.
COSA FA
La cooperativa infatti si occupa di sostegno e supporto nelle scuole: «La scuola pubblica non riesce più a garantire insegnanti di sostegno. Così intervengono le amministrazioni pubbliche, che a loro volta appaltano il lavoro a cooperative che offrono tale servizio, come noi». Ma non solo: Diana si occupa anche di centri estivi, gestione nidi d’infanzia, assistenza domiciliare e assistenza sociale, educazione territoriale.
Ultime attivate all’interno della lista, sono presenti anche proposte di turismo sociale, per insegnare professioni a persone con diverse disabilità o disagi sociali, ma anche sensibilizzare verso queste tematiche le persone e avvicinare mondi che spesso sembrano ancora troppo lontani. Qualche esempio sono le visite guidate condotte da ragazzi disabili o organizzate per loro, secondo le esigenze comunicative specifiche.
EDUCAZIONE TERRITORIALE
C’è poi una parte di educazione che esce dai luoghi chiusi e conosciuti come scuole, asili, e centri aggregativi, per creare un terreno di supporto all’intera città. Alleati per portarlo avanti sono i servizi sociali territoriali, che conoscono e segnalano le singole situazioni familiari che necessitano di aiuto e supporto. I servizi sociali prendono in carico un minore o un intero nucleo famigliare in difficoltà per attivare un progetto mirato su essi.
Si tratta di situazioni con disabilità di vario genere o che arrivano da sentenze del tribunale, come reati del minore o di un componente della famiglia o casi di abuso sostanze, violenze, povertà socio culturali. Diverse problematiche ma esigenze simili: avere un supporto educativo, un punto di riferimento che possa avviare un percorso di recupero, vegliando sulla situazione. Per farlo, l’educatore di riferimento creerà sia momenti condivisi con il minore fuori che dentro casa.
«Ho seguito spesso adolescenti con problemi di abuso di sostanze o a rischio di abbandono scolastico, come tanti miei colleghi e colleghe. Il ruolo che svolgiamo non è quello di sostituzione alla famiglia, né tanto meno di salvatori e salvatrici: il nostro compito è quello di creare un percorso nuovo nella vita di questi bambini e ragazzi, che proponga un programma positivo per disinnescare alcuni comportamenti non sani, favorendo situazioni e relazioni più sane»
Christian mi racconta come la nascita delle problematicità del minore nella maggior parte dei casi abbia origine dal contesto familiare: attraverso i momenti condivisi dell’educatore all’interno dei nuclei familiari, il primo ha la possibilità di comprendere meglio i meccanismi non sani e poter mediare tra i componenti familiari per disinnescare comportamenti inconsapevoli e disfunzionali.
«Il ruolo dell’educatore in questi casi è quello di ricostruire un percorso o un ambiente che siano il più positivi possibile. L’educatore non salva il mondo, ma cerca di mostrare e tirar fuori le potenzialità e competenze del futuro adulto, che fino a quel momento è ancora nascosto dietro strati di difficoltà nel ragazzo».
«Ricordo tanti ragazzi scapestrati che ho seguito in questi anni e nella maggior parte dei casi oggi hanno un lavoro e un posto nella società: sono diventati adulti sereni con una vita positiva. Non è per merito mio o dei miei colleghi, ma tutti noi siamo il prodotto delle nostre esperienze e ciò che abbiamo dato sono certo si sia insinuato nella loro mente e nel loro cuori, aprendo a nuove possibilità e strade, ad alternative a ciò che avevano conosciuto fino a quel momento».
Un esempio tra tanti è quello di un ragazzo che dopo aver subito per molti anni violenze in famiglia è stato seguito prima dagli educatori della cooperativa Diana, per poi diventare nel tempo figura di sostegno ad altri ragazzi, in supporto agli educatori. Ad oggi, laureatosi a pieni voti come educatore, si sta affacciando al mondo lavorativo per unire la propria esperienza personale a quella professionale e poter supportare altri ragazzi a uscire da situazioni di disagio e divenire ciò che vorrebbero essere, abbandonando l’immagine limitata di sé conosciuta fino a quel momento.
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