Il dialogo filosofico con la terza età: anche da anziani è giusto continuare a porsi domande?
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Bologna, Emilia-Romagna - Un anno fa io e Gioia, una collega di Filò – il filo del pensiero, ci trovavamo per la prima volta davanti a un gruppo di anziani al quartiere Navile, a Bologna, durante il primo incontro di un percorso di 50 ore sviluppato dalla nostra associazione. «Durante questi incontri faremo dialogo filosofico insieme», abbiamo iniziato a spiegare. Le prime reazioni sono state di esitazione, se non di stupore. «Ma noi non siamo filosofi, la filosofia è una cosa difficile». «Siete voi giovani che dovete insegnarci delle cose che noi non sappiamo, voi che le avete studiate!».
Ma la filosofia è veramente solo una pratica complicata e da studiosi? Noi siamo convinte del contrario e che la terza età sia un ottimo momento per filosofare. Fare pratica di dialogo filosofico in gruppo significa fare una ricerca comune per rispondere a una o più domande. Durante i nostri laboratori proponiamo degli stimoli, che attivano gli stati interiori di dubbio o domanda. Uno stimolo può essere un testo, un video, delle foto, un’esperienza corporea, un’esperienza estetico-creativa, un esperimento mentale… l’elenco potrebbe essere infinito.
In seguito all’esperienza dello stimolo, il facilitatore propone una domanda oppure chiede ai partecipanti di produrne una o più. Una volta scelta una domanda di ricerca, il gruppo coopera al fine di trovare una risposta. Il dialogo attraverso cui si svolge la ricerca è l’unione del filo dei pensieri di ciascun partecipante, un’insieme che, però, non è solo la semplice somma della parti, ma è qualcosa di più. Durante il dialogo il filosofo, o la filosofa, facilitano la tessiture dei fili, da qui il nome “facilitatore” o “facilitatrice” tipico della tradizione della Philosophy for Children.
La filosofia è presente tanto nei contenuti quanto nella forma che prendono i pensieri. E così, durante il dialogo filosofico si praticano il pensiero critico (problematizzazione, concettualizzazione, analisi, ipotesi…), creativo (pensiero divergente, interpretazione, innovazione…) e relazionale (prendere sul serio ciò che viene detto da sé, dall’altro; curarsi di sé, curarsi degli altri…). La filosofia così intesa è una pratica che gli esseri umani di tutte le età possono compiere; non essere in grado di fare qualcosa, non significa non avere le capacità per farlo.
Il viso disegnato dalle rughe degli anni è in molte culture la figura della saggezza e dell’esperienza. Oggi, con la concezione lineare e progressiva del tempo, questo stesso viso è visto spesso come deposito di ritardo, inadeguatezza, ansia per la novità. Sempre meno le generazioni si identificano con gli anziani, anzi, si difendono da tale identificazione, inseguendo il mito della giovinezza.
Una giovinezza che è anche e soprattutto capacità produttiva e desiderio di successo. Ma coloro che sono nella terza età sono esseri umani che hanno vissuto molto più di altri. Sono incarnazione di vissuto, testimoni di esperienze e periodi storici. La terza età è anche, senz’altro, momento di progressiva solitudine, soprattutto nella nostra cultura, e per natura momento di
progressiva decadenza fisico-mentale, in cui i ritmi rallentano. La terza età ha i suoi tempi, ma è giusto anche che abbia i suoi spazi.
Ciascuno degli elementi fondanti del dialogo filosofico (stimolo-domanda-ricerca) può offrire uno spazio che accolga i bisogni e le necessità della terza età e può promuovere momenti che rispondano a questi. Lo stimolo può essere fonte di nuove scoperte, ma anche di condivisione del proprio sapere e della propria esperienza. Da una parte, durante la fase dello stimolo si possono proporre oggetti nuovi e sconosciuti, come manufatti d’arte, narrazioni, fatti di cronaca, scoperte tecnologiche, dilemmi morali, esperienze manuali, etc. Dall’altra, può essere un momento in cui i partecipanti condividono e si scambiano esperienze e testimonianze circa il proprio vissuto.
La domanda mette di fronte al fatto di non conoscere tutto. Può essere una cosa che fa paura, soprattutto all’inizio, o può essere liberatorio: il mondo può ancora sorprendere! Indugiare nello stato del dubbio e della domanda promuove un atteggiamento problematizzante, che invita a interrogarsi sul nuovo e a comprenderlo (si pensi alla novità delle tecnologie) o a mettere in
discussione ciò che si credeva di sapere con certezza. Avere più domande che risposte porta anche a innescare una dinamica di interesse e ricerca che fa sentire vivi, perché, se il mondo è in continua evoluzione, allora anche la nostra conoscenza su esso lo deve essere.
La ricerca è infine il teatro in cui si attiva il pensiero in tutte le sue dimensioni e in cui il gruppo, progressivamente, si trasforma in una comunità di ricerca. Qui, nel vero fulcro della pratica di dialogo filosofico, si attiva il pensiero, che diviene progressivamente più elastico, si esercita la memoria, si nutre la curiosità e… si moltiplicano le domande!
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