C’era una volta l’Adriatico, il mare più ricco e più sfruttato al mondo
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C’era una volta l’Adriatico, custode di grande abbondanza e ricchezza. Fino agli anni ’50 questo mare era costellato di banchi di ostriche che rappresentavamo un habitat per la vita e la riproduzione di molte specie. Andando ancora indietro nel tempo, all’inizio del secolo scorso, in questo ecosistema vivevano e prosperavano numerose specie che sono oggi ormai drasticamente diminuite: squali, delfini, grandi cetacei come il capodoglio e mante giganti. Si tratta di una delle aree con la maggiore diversità di specie marine di tutto il Mediterraneo, nonostante rappresenti appena il 5% della superficie di quest’ultimo.
Oggi questa ricchezza è quasi totalmente scomparsa e l’Adriatico è sempre più triste e malato. Non è un caso che la Convenzione sulla Diversità Biologica abbia individuato in questo bacino una delle zone più critiche per gli ecosistemi marini del Mediterraneo. I motivi di questo impoverimento sono più di uno; il principale è l’eccessivo impatto esercitato dalla pesca intensiva e da metodi di pesca aggressivi, come lo strascico di fondo che provoca, secondo gli esperti, effetti sugli ambienti marini paragonabili al disboscamento delle foreste sulla terraferma.
Nella pesca a strascico infatti, le reti prelevano non solo le specie bersaglio – cioè quelle che consumiamo –, ma anche molti altri organismi che formano l’habitat, le risorse e il futuro di queste popolazioni. Senza contare le catture accidentali di specie vulnerabili come le tartarughe marine, le cui morti, dovute appunto alla pesca a strascico, sono circa 200.000 all’anno in tutto il Mediterraneo.
La pesca industriale ha causato lo sfruttamento eccessivo degli stock ittici, oggi in forte declino in tutto il Mediterraneo, e l’alterazione degli ecosistemi marini, provocando di conseguenza anche una profonda crisi nel comparto della pesca. L’Adriatico infatti sostiene da solo il 50% della pesca italiana, la più importante nel Mediterraneo, ma dal 2007 le catture sono diminuite del 21%. Per l’elevato sfruttamento delle sue risorse ittiche questo mare è considerato tra i più sfruttati al mondo.
MedReAct, sin dalla sua nascita nel 2014, si adopera per l’adozione di misure che possano contribuire al recupero dei suoi ecosistemi e delle sue risorse, attraverso la tutela di alcune zone in alto mare particolarmente importanti per la riproduzione e l’accrescimento delle specie ittiche e per la presenza di habitat vulnerabili. Si tratta di istituire delle zone di restrizione alle pesca – le Fisheries Ricovery Areas, FRA – dove proibire la pesca di fondo con l’obiettivo di ripristinare la biodiversità e ripopolare gli stock sovrasfruttati.
Il primo importante obiettivo raggiunto da MedReAct su questo fronte è stata l’istituzione, nell’ottobre 2017, di una FRA nell’area della Fossa di Pomo, tra l’Italia e la Croazia, fortemente soggetta alla pesca a strascico. Un risultato storico arrivato dopo oltre 15 anni di richieste di tutela da parte dei ricercatori, che dimostra la possibilità di raggiungere progressi importanti nella tutela del mare anche in aree pesantemente sfruttate dalla pesca industriale.
La Fossa di Pomo ospita habitat importantissimi per specie commerciali come scampi e naselli. I suoi fondali racchiudono molti ecosistemi marini vulnerabili: prati di pennatule, giardini di spugne, vulcani di fango, rocce sparse nei fondali sabbiosi, resti di coralli profondi morti, indicatori di antiche comunità che popolavano il bacino in epoche lontane e ora fossilizzate. Sono ambienti particolarmente sensibili all’impatto delle attività di pesca che, essendo continua e ubiquitaria, ne rende impossibile il recupero.
La FRA della Fossa di Pomo ha prodotto in poco tempo risultati sorprendenti con un aumento vertiginoso della biomassa di scampi e naselli e il ritorno degli squali di fondo. Oggi è considerata un modello da replicare in altre aree vulnerabili come quelle dell’Adriatico meridionale.
Nell’area di fronte alle coste pugliesi la profondità dei fondali aumenta rapidamente raggiungendo anche i 1200 metri e lo stretto di Otranto rappresenta il punto di scambio tra le acque del bacino dell’Adriatico e quelle del resto del Mediterraneo. In quest’area di mare si trovano infatti importanti habitat per diverse specie commerciali, come il gambero rosso, il gambero rosa, il nasello e il gattuccio boccanera, alcune fortemente sovrasfruttate, e rare specie vulnerabili, come i coralli bianchi e il corallo bamboo che, se tutelati, potrebbero contribuire al ripopolamento dell’Adriatico.
MedReAct ha proposto di istituire proprio nel Canale di Otranto una nuova FRA, ma purtroppo la politica italiana ancora non ha risposto a questa richiesta sulla quale convergono non solo ricercatori e ambientalisti, ma anche gli stessi pescatori che lamentano il rischio imminente di una desertificazione dell’Adriatico – come documentato dal film Anche i pesci piangono, prodotto da MedReAct e firmato dai registi Francesco Cabras e Alberto Molinari.
Sull’istituzione di una nuova FRA MedReAct ha inoltre lanciato una petizione, indirizzata al Ministro Stefano Patuanelli e aperta a tutti, che ha già raccolto quasi 6000 sottoscrizioni. Per firmare anche tu l’appello e contribuire alla guarigione del nostro mare clicca qui
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