19 Mag 2022

Vivere in barca vela con tre figli e un cane. Insieme nel bene e nel mare

Scritto da: Benedetta Torsello

Sono trascorsi ormai due anni da quando Sara e Stefano hanno deciso di vendere la propria casa di Milano e trasferirsi in barca vela con i loro tre figli e Pepper, un labrador da salvataggio. Quello di vivere in mare era sempre stato il loro sogno, finché un giorno hanno smesso di chiedersi come sarebbe stato e semplicemente lo hanno fatto, salpando a bordo di Shibumi, la loro casa galleggiante.

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Quando una barca lascia l’ormeggio e viene sciolta l’ultima cima che la tiene legata al porto, a bordo si grida tutti insieme “liberi”. In gergo marinaresco è il segnale per avvisare il timoniere che da quel momento in poi la barca è nelle sue mani, è lui a condurla: alle spalle il porto e davanti a sé tutte le promesse di un nuovo orizzonte.

Per Sara e la sua famiglia quel “liberi” non è solo un segnale da marinai, ma molto di più. Due anni fa sono partiti da quelle sole tre sillabe per scrivere l’incipit della loro nuova vita tra le onde. «In quel grido c’era dentro tutto – ricorda con emozione Sara, ripensando a quando sono salpati alla volta delle Baleari – In quegli istanti sono poche le certezze a cui appigliarsi: è come trovarsi di fronte a un enorme punto interrogativo e ciò che ti attende è tutto da esplorare».

Loro sono la famiglia Barberis: Sara, suo marito Stefano e i loro tre figli Iago, Nina e Timo di tredici, dieci e cinque anni, accompagnati da Pepper, il loro cane. Fisico lui e web designer freelance lei, hanno sempre trovato nella barca a vela un saldo punto d’unione, prima in coppia e con il tempo anche insieme ai loro figli. Da quando nel 2002 hanno scelto di vivere insieme, “nel bene e nel mare”, come recitava uno striscione al loro matrimonio, non hanno mai smesso di viaggiare in barca a vela.

barca a vela

Quello di vivere in barca è sempre stato il loro sogno, non qualcosa da relegare alle vacanze estive, ma un vero e proprio progetto di vita: «Ci siamo chiesti a lungo come fare, finché non abbiamo deciso di vendere la casa a Milano e acquistare la nostra Mikado 56, una barca usata del 1982 che abbiamo completamente rimesso a nuovo», mi spiega Sara. La curiosità di una vita diversa li ha condotti tra le onde, prima verso le Baleari e poi fino alle Canarie.

«Non volevamo arrivare alla fine dei nostri giorni con un tarlo e il dubbio di come sarebbe stato vivere a bordo di una barca a vela con la nostra famiglia. Così abbiamo deciso di farlo – prosegue Sara – perché in fondo abbiamo una vita sola e non la si può sprecare aspettando il momento “migliore” o la pensione».  

Mentre il progetto iniziale era di attraversare l’Atlantico per raggiungere il centro America, l’avvento della pandemia li ha tenuti ormeggiati a Formentera per ben sette mesi, per poi proseguire verso le Canarie, dove si trovano attualmente. «Rivedere i propri piani fa parte della vita di bordo, ma soprattutto ci sentiamo liberi di farlo. Così da ottobre abbiamo deciso di fermarci a Lanzarote, dove i bambini hanno iniziato la scuola e Stefano, finito l’anno di aspettativa dal lavoro, è tornato in ufficio a Milano, alternando settimane di lavoro agile dalla nostra cabina», chiarisce Sara.

barca a vela 1

Occorre senza dubbio una grande preparazione per compiere una scelta come quella di Sara e Stefano. E non solo: «Bisogna avere le idee molto chiare, il coraggio viene da sé. E poi ci vuole un briciolo di incoscienza. Se ripenso ai cinque giorni di traversata dell’oceano per raggiungere le Canarie, stento ancora a crederci. Non è stata affatto una passeggiata con tre bambini – prosegue Sara – e, al contrario di quanto si pensi, per compiere una scelta del genere non si deve essere ricchi. Basta essere pronti a lasciare le proprie sicurezze: ci vuole un grande spirito di sacrificio».

In barca a vela si condividono spazi molto stretti e ci si deve accontentare di poco. Quando sono partiti, mi racconta Sara, ognuno di loro aveva solo una scatola in cui riporre tutti i propri indumenti. Occorreva fare delle scelte e rimodulare la propria vita per sottrazione. Questo ha riservato loro grandi sorprese e nonostante le difficoltà della vita in cabina, in quei pochi metri quadrati hanno scoperto di essere davvero uniti e felici.

Sin da subito Sara e la sua famiglia non hanno voluto che il loro viaggio fosse solo un progetto di vita personale e così, anche un po’ per gioco, è nato lo Shibumi Floating Lab, un vero e proprio laboratorio tra le onde. Con il patrocinio e la collaborazione dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare(INFN), Stefano in qualità di scienziato e i bambini in forma divulgativa, dal loro laboratorio galleggiante parlano di “fisica tra le onde”.

La prima serie di dieci puntate sull’energia da fonti sostenibili a bordo è online sul canale YouTube dell’INFN ed è stata trasmessa anche da RAI Gulp. Il tema della seconda serie invece sono i raggi cosmici, visto che è stato installato a bordo un apparecchio per rilevarli.

«Inizialmente questo ci ha permesso di tenere i ragazzi legati alle loro classi in Italia e dare un valore aggiunto all’esperienza che stiamo vivendo. Oggi continuiamo a entrare nelle scuole di tutta Italia, facendoci testimoni dello stato di salute del mare e spiegando come si possa vivere in barca solo grazie all’energia prodotta dal vento e dal sole e bevendo l’acqua del mare grazie a un processo di dissalazione», spiega Sara.

Sara e Stefano hanno ridisegnato i confini dell’idea di viaggio perché ci fosse abbastanza spazio per tre bambini e un cane

Sul Floating Lab si raccontano le differenze tra la vita sulla terraferma e quella di bordo, si parla di scienza e si promuove uno stile di vita sostenibile. Tutto è a misura di bambino. Infatti sono proprio Iago, Nina e Timo che intervistano gli scienziati che passano a trovarli a bordo e raccontano ai propri coetanei ciò che scoprono ogni giorno con i loro esperimenti.

Il Floating Lab è in continuo fermento: uno spazio aperto a sempre nuovi progetti sui temi ambientali, come quello sull’inquinamento luminoso in collaborazione con il CNR per cui è stato installato a bordo uno speciale “buiometro” o anche quello condotto con la sezione di fisiologia biomedica sullo stato psicofisico degli adulti.  

barca a vela 3

Per il resto è come se Shibumi fosse una casa normale: «I bambini ospitano i loro amici per fare i compiti o giocare. Fanno sport e hanno imparato lo spagnolo nel giro di un mese», racconta Sara. «Credo sia fondamentale come genitori dare loro un esempio costruttivo: lottare nonostante le difficoltà, inseguire i propri sogni e non arrendersi.  Per noi era importante che vedessero che nella vita si può scegliere: puoi decidere in qualunque momento chi essere e cosa fare».

Forse è proprio questa l’ancora più solida per i figli, nonostante si viva in un altro paese o tra le onde. Così, a bordo della loro Mikado 56, Sara e Stefano hanno ridisegnato i confini dell’idea di viaggio perché ci fosse abbastanza spazio per tre bambini e un cane e insegnato loro che è qualcosa che si costruisce giorno dopo giorno, proprio come la vita.

«Perché Shibumi?», le chiedo poco prima di salutarci. «Era il nome che aveva la barca quando l’abbiamo acquistata. È un termine giapponese che significa bellezza che arriva dal cuore: una bellezza pura, non appariscente. Ci piaceva molto e abbiamo deciso di tenerlo. Poi il suono di questa parola ci ricorda il rumore dell’acqua quando si veleggia». E con shibumi ­– nelle orecchie e nel cuore – Sara e la sua famiglia hanno in progetto di navigare ancora per tante e tante rotte. Ma tutto a suo tempo e con il giusto vento.

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