“La tempesta Vaia ci ha lacerato, ma ci ha anche spinto a fare qualcosa per il nostro Pianeta”
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Trento, Trentino Alto Adige - La disastrosa tempesta Vaia, che ha colpito le foreste delle Alpi centro-orientali alla fine di ottobre 2018, ha abbattuto circa 42 milioni di alberi, causato danni per oltre 2,8 miliardi di euro e lasciato solchi eterni nella memoria delle persone che l’hanno vissuta. Il team dell’associazione The Climate Route APS ha deciso di ripercorrere la storia di Vaia attraverso i racconti dei suoi testimoni, le immagini che i loro occhi hanno visto e i rumori che le loro orecchie hanno udito.
IL RUMORE DEL VENTO
Il più ricorrente dei ricordi, per gli abitanti delle valli trentine, è il vento. Tra il 28 e il 30 ottobre di quasi quattro anni fa, le raffiche di scirocco hanno attraversato questi luoghi con velocità massime superiori ai 200 chilometri orari.
«La tempesta ha costretto le persone a chiudersi in casa», racconta Alessandro Baldessari, compositore musicale che ha messo in musica proprio i suoni di Vaia nel brano 4EST Suite. Le sue parole, che potete ascoltare nel breve documentario dell’associazione, sono in grado di rievocare la frustrazione di chi c’era: «Questa catastrofe, mentre accadeva, è stata un’esperienza principalmente sonora, uditiva […]; si immaginava solo quello che stava accadendo tramite i suoni, soprattutto quello del vento».
Vaia non è la prima tempesta di vento che ha creato danni alle foreste italiane – anche nel 1966 il Trentino Alto-Adige era stato colpito da venti a 200 km/h e nel marzo 2015 la Toscana è stata raggiunta da venti con velocità anche superiore ai 160 km/h – ma è stata indubbiamente la più devastante. In poche ore è infatti caduto a terra circa il quintuplo del legname che normalmente viene tagliato ogni anno nell’area colpita.
UNA MONTAGNA FERITA
Placati il vento e la pioggia, gli abitanti delle zone interessate hanno aperto la porta di casa e si sono trovati un paesaggio a cui non erano abituati, uno spettacolo che ancora oggi definiscono spettrale. «Sedie e panchine erano sparse in giro, così come rami e foglie».
Questa è l’immagine di un paese non lontano da Trento che ha più colpito Erica Bastianin, volontaria trentina di The Climate Route APS e testimone diretta della tempesta. A causa del vento, delle forti piogge e delle tempeste di grandine, in provincia di Trento sono stati distrutti quasi 20.000 ettari di bosco (a fronte dei 42.000 totali), abbattuti ponti e scoperchiati i tetti di molte case.
E un anno dopo, racconta Marco Pirovano, altro volontario dell’associazione e assiduo frequentatore della regione, la sensazione di distruzione si avvertiva ancora: «Ho ritrovato posti che conoscevo letteralmente cambiati […]; nel 2019 le piante erano a terra e i sentieri impraticabili. L’aria era quella di un bosco morto, di una montagna ferita».
UNA TEMPESTA, DUE SCELTE
Associare la tempesta Vaia al cambiamento climatico e all’impatto dell’uomo sugli ecosistemi naturali è quasi inevitabile e non privo di basi scientifiche, come potete leggere nel precedente articolo dedicato al tema. Meno diretto è il legame che c’è tra questi disastri ambientali e le emozioni: «Sono riuscita a entrare in contatto col concetto di cambiamento climatico solo quando l’ho inserito in una visione più ampia di crisi non solo ecologica ma anche sociale, spirituale e psicologica», confida Marianna Beltrami a Luca Barani, uno dei fondatori di The Climate Route.
Continua parlando di quanto ha visto dietro casa sua, a Pinè (TN): «Vedere la foresta in cui sei cresciuta distrutta in una sola notte crea un senso di lutto difficile da gestire; è un tipo di lutto mai vissuto prima ma a cui dobbiamo abituarci». E possiamo agire in due modi: pensare di essere troppo piccoli per fare qualcosa oppure cominciare a farlo.
La crisi profonda causata da Vaia nei cuori di chi l’ha vissuta non ha lasciato solo disperazione, ha fatto nascere una motivazione che prima non c’era. L’immagine che descrive Lia Beltrami lo descrive bene: «Questa tempesta mi ha lacerato; ogni volta che torno qui provo una fitta di dolore che però funziona come una molla che mi fa chiedere: “Io cosa posso fare? Realizzare un cambiamento e raccontarlo”». Come d’altronde fa The Climate Route APS.
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