30 Mag 2022

A I(n)spira-Azioni arrivano i pirati che difendono il mare: a tu per tu con Enrico Salierno di Sea Sheperd – #8

Scritto da: Salvina Elisa Cutuli

Salvare il mondo è una questione di sopravvivenza oltre che atto morale di compassione. Sono le parole del “pirata” Enrico Salierno, che racconta la sua esperienza di volontario per Sea Shepherd nella puntata di questa settimana del podcast di I(n)spira-Azioni, condotto da Daniel Tarozzi e Darinka Montico.

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Questa settimana, nella nuova puntata del podcast I(n)spira-Azioni, Darinka e Daniel si sono imbarcati sulla nave dei pirati di Sea Shepherd, i pastori del mare. Lo hanno fatto in compagnia di Enrico Salierno, un volontario dell’associazione, che da anni dedica la sua vita a difendere e proteggere il mare da tutte le attività illegali che minano lo stato di salute degli oceani, dei pesci e, inevitabilmente, anche quello dell’essere umano.  

Da 45 anni Sea Shepherd, grazie a una flotta di 15 navi e numerosi volontari, interrompe tutte le attività di pesca illegale, bracconaggio e in generale ciò che danneggia il mare perché preservare il nostro pianeta vuol dire preservare la nostra vita. Più che Terra dovremmo chiamarlo pianeta blu o pianeta mare: come per il nostro corpo infatti la percentuale di acqua sulla Terra si aggira al 71%. «Spesso si fa l’errore di pensare che qualcuno salverà il mondo al nostro posto, ma dovremmo capire che siamo noi come specie umana a doverci salvare. È una questione di sopravvivenza oltre ad un atto morale e di compassione» racconta Enrico.

Sea Shepherd è nata grazie a Paul Watson, all’epoca volontario di Greenpeace. Stava partecipando a una delle campagne per la protezione delle foche. Di fronte ai cacciatori muniti di bastoni appuntiti pronti a uccidere e a scuoiare gli animali, Paul ha reagito prendendo e lanciando sul ghiaccio uno di questi bastoni. Per Greenpeace si trattò di un’azione violenta, per nulla in linea con l’idea dell’associazione che si limitava a manifestare senza mai intervenire. Proprio in quel momento invece Watson capì che se avessimo aspettato il momento in cui la società civile avrebbe compreso quanto stava accadendo, non avremmo più avuto alcun animale da difendere.

Il motto di Sea Shepherd è “Proteggere, difendere e conservare”. Watson ha comprato una nave e da allora è iniziata l’avventura. «La bandiera di Sea Shepherd riassume l’anima e la passione che ci spinge ad andare in mare a speronare tante navi. Lo sfondo nero rappresenta l’estinzione, la fine della vita, la morte dell’oceano. Il cranio umano simboleggia l’umanità, la causa del declino e dell’estinzione delle specie marine. Sulla fronte del teschio un delfino e una balena nella posizione dello yin e dello yang, due forze che cooperano per ristabilire l’equilibrio e l’armonia negli oceani».

È proprio questa armonia dell’oceano la base di tutta la vita sul pianeta: «In altre parole, se l’oceano muore, tutti noi moriamo. Sotto al teschio vediamo incrociati un bastone da pastore, che indica la protezione, con un tridente, simbolo dell’intransigenza e dell’azione diretta. Insieme rappresentano la nostra filosofia di “azione diretta non violenta”», continua Enrico.

Dalle sue parole ci si rende conto di quanto sia insufficiente la tutela che i paesi riservano al mare: non c’è nessuno che abbia le risorse e il desiderio di controllarlo, tutto ciò che noi riceviamo attraverso canali illegali passa da qui, ma ogni paese si occupa della propria area di competenza vicino alla costa. Essa tuttavia rappresenta una piccolissima parte, il resto non è “proprietà” di nessuno. Studi e documentazioni testimoniano numerosi atti criminali che si svolgono in mare aperto: sfruttamento delle persone sulle navi da pesca, schiavitù, gente che non ritorna mai più a casa, nessun diritto garantito.

Il mare è sempre stato luogo di preda, commercio e sfruttamento e lo sarà fino a quando ci sarà qualcosa da sfruttare. Il pesce, che di norma si trova vicino alle coste, è finito. Le compagnie di pesca hanno svuotato il Mediterraneo, il mare più sfruttato al mondo, e si stanno dirigendo verso luoghi fuori dalla loro competenza. È la legge della natura, tutto è interconnesso e tutto dipende dalla biodiversità, dalla ricchezza di vita. Più un sistema è ricco più verrà sfruttato, ma bisogna ricordarsi che le risorse non sono infinite.

sea sheperd 1

Anche il tempo a disposizione è limitato: l’uomo ha sempre perseguito il proprio utile mirando a un guadagno economico. Siamo in tempo per cambiare la rotta? Ognuno di noi ha il proprio percorso evolutivo e cognitivo. Trent’anni fa parlare di ecologia era anacronistico, oggi non è più così. «È la mentalità che va cambiata. Non possiamo pensare di avere in tutte le nostre città e nei luoghi di montagna grandi quantità di pesce a disposizione. Un tempo era un lusso sfrenato mangiare pesce, oggi troviamo sushi con la formula all you can eat a 19 euro ovunque. Dobbiamo capire che il pesce ha un costo carissimo».

Chi vive in città non si rende conto, non ha la percezione di un mondo che si sta esaurendo. La pesca di oggi non è sostenibile: abbiamo ridotto del 75% le popolazioni delle specie ittiche del Mediterraneo. Alcune sono già collassate, altre irrecuperabili, altre a rischio di estinzione, altre estinte: «Uccidiamo una grandissima quantità di pesce che poi non viene consumata e questo è anche alla radice del disastro ecologico della plastica in mare. Ci sono 640.000 tonnellate di sistemi e attrezzature di pesca abbandonati in mare ogni anno».

Daniel e Darinka concordano con Enrico: essere consapevoli è una scelta impegnativa, richiede passione, impegno e tempo. In passato le popolazioni hanno vissuto in perfetto equilibrio con la natura. Con l’avvento della plastica e dell’usa e getta abbiamo iniziato a produrre una enorme quantità di rifiuti. Se per una settimana non venisse raccolta la spazzatura prodotta da ognuno di noi saremmo già sommersi. La campagna Ghostnet di Sea Shepherd, grazie a subacquei volontari di grande esperienza e alle barche veloci della stessa associazione, ricerca attrezzi da pesca scartati e abbandonati e li recupera per uno smaltimento sicuro o il riciclaggio. Si stima che oltre 150.00 foche e cetacei vengono uccisi ogni anno dalla perdita di attrezzi da pesca insieme a migliaia di uccelli marini, tartarughe e squali.

sea sheperd 2

«L’anno scorso, per la prima volta dopo anni, nessun capodoglio è rimasto intrappolato nelle spadare tra le isole Eolie. In passato mi è capitato di vivere un’emozione unica con un capodoglio, Furia, rimasto imbrigliato nella rete lasciata in mare dai pescatori. Aveva la coda bloccata e non riusciva a immergersi. Un capodoglio lungo 10 metri arriva anche a 3000 metri di profondità. Ho sentito il suo respiro, la sua difficoltà. Ti sale addosso tanta rabbia. Possibile che non ci rendiamo conto di ciò che facciamo? Per avere del pesce in tavola sono tantissime le specie che muoiono». 

Sicuramente c’è in atto un miglioramento, lo racconta anche Enrico. La pesca di balene nel mare in Giappone ha subito un netto rallentamento grazie alle nuove regole imposte che non permettono il business economico a cui erano abituate le flotte negli anni precedenti. Nel Mediterraneo i problemi sono principalmente la pesca illegale e la collisione, la causa principale di morte o di danni permanenti agli animali: «Da otto anni esiste l’area marina protetta del Plemmirio, vicino Siracusa. Una settimana al mese siamo presenti con le nostre campagne. All’inizio di aprile, dopo 60 anni, una foca monaca è stata avvistata nell’area, ha trovato in questa zona un corridoio salvo in cui poter nuotare. Il lavoro che abbiamo fatto in questi anni ha dato i suoi risultati». 

Se vogliamo invertire l’andamento della scomparsa delle specie marine bisogna, entro il 2030, destinare il 30% dei mari in aree marine protette. Al momento in Italia è stato istituito solo il 10%. Bisognava arrivare al 20% nel 2020. Secondo Enrico servono impegno e partecipazione anche da parte delle popolazioni locali, che oggi non ne comprendono il vantaggio. I giovani pescatori che hanno ricevuto in eredità le barche dai propri genitori si rendono conto della mancanza del pesce e hanno compreso che la presenza di un’area marina potrebbe salvargli la vita.

Spesso si fa l’errore di pensare che qualcuno salverà il mondo al nostro posto, ma dovremmo capire che siamo noi come specie umana a doverci salvare

«Si è abituati a volere un tornaconto immediato, ma non funziona così. Anni fa incontrai un signore di 80 anni che aveva piantato un bosco di castagni 40 anni prima. Lo aveva fatto per chi sarebbe venuto dopo di lui. Questo dovrebbe essere il pensiero fondante, ma né la politica, né l’essere umano sono capaci di pensarlo. Anche il tempo è una risorsa importante: la passione, la fatica, decidere di dedicare la propria vita per qualcosa che non è nostro ma di tutti hanno un grande valore».

Enrico suggerisce, soprattutto ai giovani, di vivere e impegnarsi in esperienze di questo tipo. «I ragazzi hanno l’energia giusta, possono imparare e capire in maniera più immediata rispetto alle generazioni precedenti. Sono la nostra speranza e noi dobbiamo fare da modello e dargli la possibilità di nuove alternative. Tutto ciò che si fa con amore e passione ti riporterà ciò di cui hai bisogno». 

Mare, pesca, cetacei, rifiuti… bisogna essere un po’ “pirati” per affrontare certe illegalità e avere il coraggio di buttarsi nella mischia. Solo comprendendo la vera interdipendenza che ci lega l’uno all’altro, arricchendoci con e nelle diversità, si può sperare di invertire la rotta sempre alla ricerca di nuove I(n)spira-Azioni!

Segui I(n)spira-Azioni su youtubefacebookspreaker o spotify. Il prossimo appuntamento è per mercoledì 1° giugno alle ore 19 con Armanda Salvucci.

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