6 Mag 2022

Nuevo Horizonte, la comunità dove ciascuno è titolare di quanto basta per essere felice

Scritto da: Guglielmo Rapino

Dopo più di trent’anni di conflitto armato, nel 1998 un gruppo di ex-guerriglieri guatemaltechi ha deciso di abbandonare le armi per creare una comunità in cui vivere in pace e mettere in pratica gli ideali rivoluzionari. L’esperimento continua ancora oggi nel cuore della foresta del Petén, l’antica regione Maya. Guglielmo Rapino, volontario di AMKA Onlus in Guatemala, ci accompagna a scoprirlo.

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Nuevo Horizonte, a un primo sguardo, assomiglia a un soffice paesino di campagna immerso nella foresta selvaggia, uno come tanti nel cuore del Centro America. Palmeti sterminati che fanno ombra a casette colorate piene di murales; suoni confusi di uccelli tropicali che accompagnano il tiptap dei bambini perennemente di corsa; sguardi larghi e sorrisi aperti, di quelli che ha chi vive nella convinzione che dal domani possa venire solo bene.

Tra le stradine sterrate perfettamente perpendicolari scorrazzano senza sosta frotte di galline e papere, spaventate ciclicamente dal polverone di moto sgangherate che sembrano sbucare fuori da un film in bianco e nero. Le serate sono impregnate di una pace lenta e calda, quasi il tempo si fosse fermato attorno all’ultimo istante della siesta. Ogni cosa è sospesa in un torpore pacifico e denso.

Ci vuole un po’ di tempo per scoprire dietro a quest’apparenza ordinaria la brace di unicità ancora accesa. A me in particolare ci è voluto circa una settimana. L’anima della Cooperativa Nuevo Horizonte mi si è aperta davanti in un pomeriggio di caldo torrido quando, all’ombra dell’albero più alto della piazzetta centrale, qualcosa come una cinquantina di famiglie si sono ritrovate insieme per discutere del piano di redistribuzione dei terreni incolti da destinare alla riforestazione.

Assemblea Horizonte 2 1

Donne, uomini, mamme, cugini e nonne, ventaglio in mano e vestiti estivi addosso, seduti sulle seggiole di plastica da bar disposte a semicerchio. Lì a scambiarsi pareri e punti di vista, accendendo il tono della voce quando l’argomento si faceva più dibattuto e soffocandolo quando bastava un cenno per intendersi. Chi doveva parlare teneva la mano alzata aspettando il proprio turno e quando arrivava il momento, si prendevano le decisioni a maggioranza con l’indice in su.

Alla fine del pomeriggio di Nuevo Horizonte le cinquanta e passa famiglie avevano organizzato il da farsi per qualcosa come sessanta ettari di terra in cui piantare pino, alberi da frutto e cedro. Uno scroscio di risa generale, seguito dal trambusto delle sedie in movimento, segnava la fine dell’assemblea.

«Qui facciamo così», mi racconta Rony, presidente della Cooperativa e referente di AMKA in Guatemala, occhi accesi e cappellino perennemente in testa, quando lo cerco per capire qualcosa in più di quello che era appena successo. «Quando c’è qualcosa di importante da discutere chiamiamo tutte le famiglie e decidiamo insieme. A Nuevo Horizonte nessuno ha nulla e tutti hanno tutto. I terreni, le case, i negozi e i campi appartengono alla Cooperativa e quindi a tutte le famiglie che la compongono. Per questo non esistono questioni private, siamo una comunità».

La rimessa degli attrezzi del vivaio di Horizonte 1

Quando dice la parola comunità alza leggermente la voce e fa roteare la punta del dito a disegnare un cerchio nell’aria appena di fronte al petto. «Dopo la firma degli accordi di pace, al termine della guerra civile, a Nuevo Horizonteabbiamo scelto di non lasciare morire tutto così ma di continuare il nostro sogno rivoluzionario in un’altra maniera, senza le armi, con una comunità in cui vivere nell’uguaglianza».

In queste ultime sillabe di Rony, quasi sussurrate con lo sguardo fisso al di là dei tetti in lamiera, ho trovato il midollo di una storia che spezza ogni parvenza di normalità e dipinge un modo tutto nuovo di farsi condivisa. Nuevo Horizonte, nei suoi lenti ritmi rurali, nella sua apparente tranquillità centroamericana, raccoglie lo spirito di una utopia resa concreta, una utopia di convivenza lunga più di venticinque anni. Non solo un villaggio, non solo una collettività di famiglie, ma un esperimento sociale fuori dagli schemi dello stile cittadino.

Vivere in questo contesto, cooperare alla riuscita dei progetti di AMKA sul territorio significa fare costantemente i conti con la declinazione pratica di una idea che ai nostri occhi europei sembra essersi arenata nella melma della storia. Qui questa idea è viva, in tutte le storture della quotidianità, presente come immagine di una resistenza costante al tempo e allo spazio.

I terreni, le case, i negozi e i campi appartengono alla Cooperativa e quindi a tutte le famiglie che la compongono

È l’idea che l’architettura delle nostre vite non ha bisogno del paradigma mio-tuo per sopravvivere, ma che si sviluppi meglio in un ambiente dove ognuno sia titolare di quanto basta per essere felice e che l’intera comunità sia depositaria del compito di guidare le sorti infinite di una proprietà senza proprietario. È il nostro che esclude il mio, il noi contrapposto all’io. Ora sono poco più di due settimane che vivo questo modo sottosopra di intendere le relazioni e l’altro e comincio appena ad avvertirne il senso più profondo, le implicazioni più delicate e umane.

Quello che mi è già ben chiaro è invece che fare progetti in questo contesto non significa solo garantire l’accesso ai diritti basilari o supportare la crescita sociale di un gruppo di persone; significa ancora prima condividere e contribuire a promuovere un modello di sviluppo che scardina le logiche più diffuse del nostro tempo, andando a ricercare nel cuore dell’empatia la chiave per creare una comunità orizzontale.

In questo percorso AMKA non è solo partner, ma spinta e linfa. Lo è con i progetti agroforestali partecipati e con le attività di sensibilizzazione comunitaria, con il supporto alla scuola popolare e l’accompagnamento dei più giovani alla partecipazione nella vita economica e sociale. Questa consapevolezza riempie di un senso completamente inaspettato il mio contributo quotidiano. Ed è un impulso in più per fare di ogni progetto un cammino capace di unire due continenti, due mondi, un cammino realmente nostro.

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