Le mele sono preziose alleate per la salute, ma attenzione a pesticidi, coltivazioni intensive ed “effetto diluizione”
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L’affermarsi della frutticoltura specializzata e intensiva ha consistentemente modificato nella seconda metà del XX secolo l’assortimento varietale dei fruttiferi, sia per la sostituzione delle varietà locali con cultivar avanzate e di elevata produttività e standardizzazione, sia per l’abbandono di molte specie minori, un tempo inserite nei sistemi a conduzione tradizionale come integrazione delle produzioni principali e del consumo domestico.
All’opposto, la domanda crescente di ruralità da parte dei cittadini ha posto le premesse per un arricchimento progressivo dell’attività agricola con una valutazione multidimensionale che include variabili di valore e fattori quali-quantitativi. In tal modo l’agricoltura sta trovando riconoscimento, accanto alla tradizionale funzione economico-produttiva, anche come fattore di sviluppo economico-sociale e strumento di salvaguardia e valorizzazione ambientale e dell’identità del territorio.
BIODIVERSITÀ FRUTTICOLA: ISTRUZIONI PER L’USO
Fino a 40-50 anni fa le varietà locali rappresentavano la base produttiva in gran parte del mondo. Il diffondersi di un’agricoltura più intensiva e l’avvio di vasti programmi di miglioramento hanno portato all’affermazione esclusiva di poche varietà, uniformi per aspetti genetici e sensoriali. Perdere variabilità genetica equivale a perdere per sempre una risorsa non rinnovabile.
Questa perdita può provocare conseguenze negative sul futuro dell’agricoltura, a causa della perdita di caratteri resistenti alle avversità climatiche e parassitarie e dello stato generale della salute umana stessa, per l’impoverimento di principi nutritivi dovuto alla standardizzazione delle cultivar o per il diverso impatto ambientale delle cure colturali che queste ultime richiedono. Nel caso del melo, l’80% dei frutti che mangiamo e coltiviamo sono riconducibili principalmente a tre sole varietà (ISPRA, Quaderni Natura e Biodiversità, 1-2010).
In Italia il valore della produzione ortofrutticola totale è stato nel 2020 di 11,4 miliardi di euro, il 23,2% del totale della ricchezza generata dall’intero settore primario nazionale (F. Ciconte, S. Liberti, Associazione Terra, Siamo alla frutta, 2021). Quasi la metà del valore è stato generato dalla produzione di frutta.
Ci si dà quindi facilmente conto della ragione per cui quanto acquistiamo non può essere considerato semplicemente frutta, ma un prodotto selezionato geneticamente, coltivato, raccolto, passato al vaglio di macchine calibratrici, adatto a lunghi trasferimenti e infine etichettato come prodotto “Extra” o “Categoria 1”. Dimensioni standard, colorazione della buccia, assenza di difetti visibili, qualità organolettiche, grado brix (percentuale di zuccheri presenti): questi i requisiti inappellabili per l’inserimento del prodotto nella catena distributiva nazionale.
Prodotti di minore qualità (Categoria 2) sono invariabilmente destinati all’export verso Paesi con minore potere d’acquisto, alla trasformazione in succhi e puree o a ingrassare i già robusti dati sullo spreco alimentare, che in alcuni casi raggiunge il 60% dei volumi avviati alla distribuzione organizzata. All’interno di un perimetro – che diremo olistico – di riferimento, si sta sviluppando il progetto di reperimento e valorizzazione di coltivazioni frutticole tradizionali dell’azienda agricola Kimamori a Soriano nel Cimino (VT).
Uno studio effettuato sulle realtà spagnola e italiana ha rilevato che le giovani generazioni abbandonano gradualmente e in modo costante la dieta mediterranea a favore di nuove tendenze alimentari caratterizzate da cibi a elevato contenuto di grassi. Sovrappeso e obesità in Italia e Spagna sembrano essere correlate, oltre che alla ridotta attività fisica, all’abbandono della dieta mediterranea (Baldini, 2008).
La ricerca citata ha dimostrato che i vegetali coltivati con le tecniche moderne, che garantiscono raccolti quantitativamente più elevati, hanno un contenuto di vitamine e sali minerali di gran lunga inferiore a quello di cinquant’anni fa, a causa dell’ “effetto diluizione”. Frutta e verdura sono di dimensioni maggiori perché contengono più acqua: il loro valore nutrizionale è proporzionalmente più basso che in passato. Non è una questione tecnica, perché ha delle conseguenze sulla salute.
LA MELA TRADIZIONALE: UN FUNCTIONAL FOOD?
Le componenti bioattive delle mele tradizionali in genere pongono questi frutti in una posizione di estremo interesse per un consumo nell’ambito di diete bilanciate con finalità antiossidante, antitumorale, antidiabetica, antiinfiammatoria e neuroprotettiva. Mele di varietà tradizionali, che per il loro aspetto verrebbero classificate di Categoria 2, hanno dimostrato di contenere elevate quantità di sostanze bioattive con effetto protettivo nei confronti di stress ossidativo e di modulazione della risposta infiammatoria (F. Maggi, Functional Foods, Pharmanutrition V-4, 2020).
Su questa direttrice di indagine si è mossa l’azienda agricola Kimamori: campioni di mele – mela Verdacchia e mela Rosa in pietra – provenienti da un frutteto destinato alla custodia colturale di varietà della dorsale appeninica centrale sono stati avviati a varie prove di determinazione dei contenuti di polifenoli e del potenziale protettivo nei confronti di patologie di origine intestinale.
- Estrazione e quantificazione di composti bioattivi in estratti di Mela Rosa in pietra e Mela Vardacchia mediante HPLC
DILETTA PIATTI, Chemistry Interdisciplinary Project (ChIP), School of Pharmacy, University of Camerino, Via Madonna delle Carceri 9/B, 62032 Camerino, Italy
Lo studio dei campioni freschi di mela Rosa in pietra e di mela Verdacchia dell’azienda agricola Kimamori permette quindi di suggerire l’uso del frutto intero come fonte di integrazione di polifenoli nella dieta quotidiana. - ANTI-INFLAMMATORY EFFECT OF PROBIOTICS ON CO-CULTURE MODELS OF MACROPHAGE-LIKE AND CACO-2 CELLS
(poster presentato a VITAFOODS 2016, GENEVA)
BARBARA DE SERVI e MARISA MELONI – VITROSCREEN In Vitro Research Laboratories, Milano
Le proprietà immunomodulatorie di mela Verdacchia sono state valutate in un modello in vitro realizzato con cellule epiteliali intestinali e cellule immunocompetenti . In questo studio è stata dimostrata anche un’attività anti-infiammatoria della mela.
ALIMENTARSI CON FRUTTA A ELEVATO VALORE BIOLOGICO: EFFETTI SULLA SALUTE
Le sostanze dannose determinate dagli stili di vita inducono infiammazione e produzione di radicali liberi, molecole instabili che aggrediscono con meccanismi di ossidazione le strutture cellulari ed in particolare il DNA, causando danni al patrimonio genetico. È noto che i tumori sono determinati dall’interazione tra suscettibilità genetica, presente solo in parte alla nascita (5-10%), e fattori ambientali. Questi sono da soli responsabili del 70% di tutti i tumori – soprattutto dei più gravi, come il cancro del polmone e dell’apparato digerente –, ma anche di malattie cardio-vascolari e dell’invecchiamento e sono legati agli stili di vita: l’abitudine al fumo, la dieta scorretta, l’alcool e la sedentarietà.
I polifenoli delle mele sono in grado di neutralizzare gli effetti dei radicali liberi, con conseguenze favorevoli sui processi degenerativi delle cellule. Lo sviluppo di cellule tumorali in coltura viene ridotto rispettivamente di circa il 40-60% aggiungendo il frutto intero, del 30-40% aggiungendo solo la polpa.
Una ricerca condotta dai principali Istituti Tumori nazionali, AIRC e Istituto M. Negri sui dati relativi a 8201 pazienti oncologici con varie localizzazioni di tumori, confrontati con 6729 pazienti ospedalieri ricoverati per patologie acute non neoplastiche, viene riferito che il rischio di tumori nei consumatori di mele risultava diminuito significativamente. La sola aggiunta di una porzione di frutta alla dieta abituale equivarrebbe a ridurre di circa il 20% il rischio di contrarre tumore.
ACQUISTARE MELE IN SICUREZZA
I polifenoli, metaboliti secondari prodotti dalle piante come strumento di difesa da aggressioni parassitarie e predatorie esterne, hanno diffusione prevalente nella buccia dei frutti. La stessa buccia che si offre alla nostra alimentazione come prezioso scrigno di fitonutrienti benefici per la salute, è però in grado di assorbire i pesticidi comunemente – e nel caso della melicoltura, abbondantemente – impiegati nelle pratiche di agricoltura convenzionale.
Il riflesso più immediato della combinazione fra interesse economico e delicatezza colturale del prodotto mela è l’impiego di considerevoli quantitativi di sostanze ad attività erbicida, insetticida e fungicida (rapporto EURISTAT, 2007). L’effetto combinato delle somministrazioni di pesticidi rappresenta chiaramente e in forma documentata una minaccia per l’ambiente, a causa della dispersione in acqua e suolo, per la sopravvivenza degli imenotteri impollinatori, e una causa di malattia di lavoro per gli agricoltori e di rischio per la salute dei consumatori.
Queste e altre informazioni su quanto rinvenuto nel maggior distretto di melicoltura italiano sono contenute nel rapporto di Greenpeace del 2015 The bitter taste of Europe’s apple production – and how ecological solutions can bloom.
CONCLUSIONI
È oggi possibile, se non certo, che l’intervento del normatore e la dotazione sempre più raffinata di strumenti di studio e indagine applicati agli alimenti più comuni della nostra dieta possano fornire assistenza e indirizzo a scelte imprenditoriali agricole con una visione di più ampio respiro, promuovere rapporti con il mondo rurale e con l’ambiente sulla base di evidenze scientifiche, incoraggiare consumi responsabili, sostenere la ricerca di equilibrio fra alimentazione, ambiente e salute.
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