MedReAct: “Ecco come difendiamo il Mediterraneo dalla pesca intensiva e dai cambiamenti climatici”
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Il Mar Mediterraneo è un piccolo bacino – lo 0,82% della superficie oceanica mondiale e lo 0,3% del volume oceanico mondiale – che ospita circa il 7,5% di tutte le specie marine esistenti, con un’alta percentuale di specie endemiche. Un vero e proprio scrigno di biodiversità che però purtroppo è sempre più in sofferenza.
I suoi ecosistemi profondi, quelli che si trovano almeno 200 metri sotto la superficie, sono caratterizzati da complesse strutture topografiche, come canyons e montagne sottomarine, e rappresentano habitat vitali per organismi bentonici e specie demersali.
Questi ambienti sono definiti climate refugia perché la temperatura delle loro acque è più fredda rispetto alla temperatura media del mare, che invece si sta sempre più pericolosamente surriscaldando. A seguito di particolari fenomeni legati alle correnti e al trasporto dei nutrienti, queste aree ospitano specie rare e vulnerabili che sono sempre più a rischio a causa dei cambiamenti climatici.
Esse offrono substrati a cui le diverse specie possono ancorarsi e forniscono cibo per molti tipi di organismi, poiché il plankton resta intrappolato dalle correnti sui ripidi pendii dei canyon. Inoltre, la presenza di specie che popolano queste profondità crea tridimensionalità – come barriere di coralli profondi, campi di pennatule, giardini di spugne –, fornisce rifugio e risorse per molti abitanti del mare, anche pesci demersali, e influenza il funzionamento oceanico attraverso il sequestro di CO2.
Ma la sopravvivenza di questi “rifugi climatici” è sempre più a rischio perché gli impatti sugli ambienti profondi sono in continuo aumento. Tra le cause principali c’è senz’altro la pesca intensiva e invasiva, come quella a strascico. A questa si aggiungono le attività di estrazione di gas e petrolio e, naturalmente, i cambiamenti climatici.
A lanciare l’allarme, nella Giornata Mondiale della Biodiversità, è MedReAct, organizzazione che dal 2014 è impegnata nel contrastare gli impatti della pesca indiscriminata sulle risorse marine del Mediterraneo, il mare più sovrasfruttato al mondo. MedReAct lavora per il recupero degli stock ittici e la tutela degli habitat e delle specie vulnerabili del Mar Mediterraneo, operando a diretto contatto con le comunità locali, con il mondo scientifico, con attivisti e operatori del mare. Collabora e fa rete con altre organizzazioni impegnate nella salvaguardia del nostro pianeta.
Grazie a un costante lavoro, nel 2017 viene istituita la prima zona di restrizione alla pesca – Fisheries Restricted Area, FRA – nella Fossa di Pomo, nata con l’obiettivo di recupero degli stock ittici del mar Adriatico, fortemente impattati dalla pesca a strascico. Una tutela invocata da oltre 15 anni da ricercatori italiani e croati, che con l’istituzione della FRA ha prodotto risultati straordinari non solo sulle specie ittiche, ma su tutta la biodiversità dell’Adriatico.
Da allora MedReAct lavora ogni giorno per promuovere nuove FRA nel Mediterraneo, per rafforzare le misure di gestione e controllo sulla pesca e per la tutela di specie vulnerabili. Oggi l’organizzazione opera in Spagna, Italia e Francia e per allargare il raggio delle sue campagne nel 2020 ha promosso la costituzione della Med Sea Alliance, una coalizione di organizzazioni della società civile per la difesa del Mar Mediterraneo.
Tra le aree che spiccano per importanza nel recupero della biodiversità nel Mediterraneo, MedReAct ha individuato il Canale di Otranto, tra la Puglia e l’Albania, dove sono presenti habitat vulnerabili di profondità come il corallo bamboo (Isidella elongata), il Golfo del Leone, in Francia, e il Delta dell’Ebro, in Spagna. Queste ultime due località sono anche rifugi climatici per molte specie del Mediterraneo.
Per queste aree il gruppo di ricercatori dell’associazione ha chiesto l’istituzione di Fisheries Restricted Areas (FRAs) chiuse alla pesca di fondo. Si tratta, secondo MedReAct, dell’unica misura che può garantire la tutela di aree vulnerabili, ricche di specie e, proprio per questo, sfruttate in maniera indiscriminata.
Oltre a consumare grandi quantità di carburante, la pesca a strascico distrugge gli habitat dei fondali marini e ha un fortissimo impatto su specie protette come le tartarughe marine. Se non bastasse, le pesanti reti da traino, mentre arano i fondali, sollevano il carbonio che viene naturalmente immagazzinato nei sedimenti marini nel corso dei millenni, contribuendo al rilascio di enormi quantità di CO2 in mare che favorisce l’acidificazione e aggrava la crisi climatica nell’atmosfera.
«Di questo passo la biodiversità del Mediterraneo rischia il collasso», ha dichiarato Domitilla Senni, responsabile di MedReact. La creazione di nuove FRA chiuse alla pesca sarebbe un passo importante per la tutela dei rifugi climatici e di hotspot per la biodiversità di cui il Mediterraneo è ancora ricco, ma è necessario agire in fretta e senza esitazioni».
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