Sabina Licursi: “La vita delle aree interne della Calabria è strettamente legata alla restanza dei giovani”
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Nelle nostre ricerche su chi ha deciso di tornare a vivere in Calabria, spesso ci siamo imbattute in persone che hanno scelto di tornare nelle aree interne, quelle che più di altre soffrono lo spopolamento, quelle considerate più marginali e che oggi sono al centro di un dibattito a livello nazionale.
Per questo motivo abbiamo pensato di dedicare un approfondimento proprio alle aree interne e in particolare ai giovani, che decidono di tornare o restare. Ne parliamo con Sabina Licursi, docente di sociologia generale all’Università della Calabria, che assieme al professore Domenico Cersosimo, docente di Economia applicata all’Unical che tempo fa abbiamo intervistato qui su Italia che Cambia, sta coordinando un’indagine proprio su questo tema.
Da circa un anno lei sta coordinando, assieme al professore Domenico Cersosimo, un’indagine che riguarda le aree interne della Calabria, un discorso che si interseca con i giovani, le partenze e la restanza. Ci dica di più su questa ricerca: cosa ha indagato esattamente e con che metodo? Da chi è stata promossa e portata avanti?
Ormai da un anno, nell’ambito di un Accordo di collaborazione tra la Scuola superiore di scienze delle amministrazioni pubbliche (SSSAP) e il Nucleo regionale di valutazione e verifica degli investimenti pubblici (NRVVIP), un gruppo di ricercatori e ricercatrici del Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali dell’Unical sta portando avanti una vasta ricerca sulle quattro aree Snai calabresi: Sila e Presila crotonese e cosentina, Reventino-Savuto, Versante Ionico Serre, Grecanica.
Tra le azioni di ricerca, quella dedicata ai giovani (18-39 anni) che vivono in queste aree si è legata all’indagine nazionale di Riabitare l’Italia Giovani dentro. Le interviste realizzate in Calabria, poco meno di 700, hanno permesso di acquisire conoscenze e informazioni sulle tappe di vita raggiunte, l’attaccamento ai luoghi, la dimensione partecipativa-associativa, la formazione e valutazione dell’esperienza scolastica, il lavoro (che c’è o manca, che è vicino o è lontano), le proiezioni future (di sé e del territorio), la scelta di restare o di partire.
A condurre le interviste sono stati studenti e studentesse dell’Unical provenienti dai comuni delle stesse aree interne, particolarmente motivati rispetto alla finalità conoscitiva e di ricerca. Il loro coinvolgimento ha costituito un valore aggiunto per la ricerca e ha permesso di conoscere meglio le attese dei giovani universitari del margine, potenzialmente la futura classe dirigente di quelle aree.
Nel nostro lavoro ci stiamo concentrando in particolare sui ritorni, quindi sulla storia di persone che sono nate e/o hanno vissuto in Calabria, se ne sono andate e poi hanno deciso di tornare. Nella vostra indagine avete incontrato casi di questo tipo e quanti?
L’indagine ha consentito di conoscere le esperienze di vita dei giovani delle aree interne. Rispetto alla scelta di ritornare a vivere nei luoghi di origine non siamo in grado di ricostruire biografie o di conoscere in maniera approfondita le motivazioni, ma sappiamo che il 64% circa degli intervistati ha trascorso periodi più o meno lunghi in altri comuni italiani e poco meno del 10% all’estero. In entrambe le esperienze di vita fuori dai contesti abituali di residenza, la permanenza è stata lunga: oltre l’anno per il 70% di coloro che hanno vissuto in un altro comune in Italia e per il 62% di quanto hanno vissuto all’estero.
Chi sono i giovani che decidono di vivere nelle aree interne? Che tipo di percorso hanno fatto, che età hanno e che tipo di progetti portano avanti nelle aree interne?
L’età media del campione di giovani intervistati è di 28 anni. Il 62% è composto da donne. Un intervistato su cinque è sposato e una quota di poco inferiore ha figli. Poco meno del 30% ha raggiunto l’autonomia abitativa e circa la metà degli intervistati è entrato nel mondo del lavoro. Il loro livello di istruzione è elevato.
Un terzo degli intervistati è in possesso della laurea e il 60% circa ha il diploma. Si consideri che nel 2020 in Italia è in possesso di questo titolo di studio poco più del 20% dei giovani tra 20-39 anni. Tra i laureati 64 su 100 sono donne e le lauree conseguite appartengono in maggioranza all’area umanistica o a quella sociale. Gli intervistati che hanno già conseguito il titolo o che stanno frequentando l’università scelgono 8 volte su 10 un ateneo calabrese.
Quali sono le motivazioni valoriali che spingono i giovani a restare, secondo i risultati della vostra indagine?
Innanzitutto è opportuno evidenziare che la maggioranza dei giovani intervistati vorrebbe restare a vivere nei luoghi di residenza. Fra quanti hanno scelto la “restanza”, per usare un’immagine-concetto evocativa di Vito Teti, c’è chi è consapevole che questo desiderio si scontra con opportunità di realizzazione personale e di lavoro limitate. Infatti nel 65% dei restanti ci sono quanti comunicano una decisione (il 38% degli intervistati) e quanti esprimono una preferenza, quasi una speranza (il 27% degli intervistati).
Tra i restanti convinti, quanti cioè hanno un progetto di vita da realizzare nell’area interna di residenza, le motivazioni principali attengono alla qualità della vita (86 su 100 considerano questo item molto o abbastanza importante), considerata migliore dal punto di vista ambientale, dei ritmi della quotidianità, del cibo; al legame con la comunità (85 su 100); alla qualità delle relazioni (76 su 100). Contano anche ragioni più strumentali, come il più basso costo della vita o le opportunità di restare che si sono presentate – ad esempio un lavoro o una casa di proprietà – e progettuali, come realizzare un’idea imprenditoriale.
Quali sono i sogni e i bisogni dei giovani che vivono nelle aree interne? Cerchiamo di capire su quali criticità e mancanze è necessario lavorare in Calabria per far sì che questo tipo di scelta sia sempre più accessibile.
La metà degli intervistati guarda al territorio riconoscendone le potenzialità per lo sviluppo economico e imprenditoriale (turismo, agricoltura, allevamento), poco meno di un quarto dei giovani sa che le aree interne richiedono una cura costante e la difesa dai rischi naturali. Sono pochi i giovani residenti che guardano al territorio solo come opportunità per svagarsi o per trovare il benessere interiore.
Contrastare lo spopolamento delle aree interne non è affatto semplice, ma è possibile. Servono politiche pubbliche di lungo periodo su scala nazionale e locale. Interventi che rendano accessibili servizi essenziali e migliorino gli standard di vita medi. Serve anche, moltissimo, ascoltare i residenti e dare voce ai giovani, attraverso approcci che li renda protagonisti e sostegni mirati, in grado di delineare immagini di futuro possibili, fondate su competenze e risorse esistenti, e su nuove capacità che si possono sviluppare.
Occorre accompagnare la realizzazione di progetti su misura per rispondere ai bisogni, ai desideri e ai “sogni” che emergono dal contesto e dai giovani che scelgono di restare. Non ci sono alternative: la vita delle aree interne è intimamente legata alla “restanza” dei ragazzi: un giovane che resta è la premessa indispensabile affinché un altro decida di non partire e semmai che un altro ancora possa arrivare.
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