Guerra, nonviolenza, decrescita: 11 punti da cui partire per costruire un mondo migliore
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Il 24 febbraio siamo ripiombati in un incubo. Come ha scritto Claudio Magris, “per molti anni si dava più o meno per scontato che a Occidente la guerra restasse sempre fredda e giocasse con la pelle di altri continenti, come è accaduto in quella che dobbiamo e possiamo chiamare la Terza guerra mondiale, combattuta per così dire per procura fuori dall’Europa, ma che è costata 45 milioni di morti, sino alla caduta dell’Urss e del suo impero”. (Le tre guerre mondiali, Corriere della sera, 24 aprile 2022)
La “terza guerra mondiale a pezzi” – come l’ha chiamata papa Bergoglio – è rientrata dentro l’Europa. E nessuno sa prevedere quale sarà l’ampiezza, la intensità e la durata del suo portato di morte. La prima potenza nucleare del mondo, la Federazione russa, ha invaso una nazione autonoma, l’Ucraina, che si difende con l’aiuto militare ed economico degli Stati della più grande organizzazione miliare del mondo, la Nato. Questa guerra segna un altro passo verso il baratro autodistruttivo dell’umanità.
SI PUÒ FARE A MENO DELLA GUERRA?
Diciamolo subito e chiaramente: le guerre – tutte le guerre, tutti gli eserciti, tutte le forme di violenza fisica immaginabili – sono conseguenze dirette di relazioni di potere fondate sulla supremazia, sulla dominazione, sulla inferiorizzazione, sull’umiliazione e l’annichilimento dell’altro diverso da sé, percepito come nemico esistenziale.
Sradicare la guerra dal novero delle opzioni politiche significa perciò bonificare il modo di pensare sé stessi in relazione con i propri simili e con l’intero mondo naturale. La pace è possibile. Liberarci per sempre dalle guerre non è un obiettivo utopico irraggiungibile.
La civilizzazione non è altro che la costruzione di un ordine mondiale fondato sulla pace, sulla convivenza nonviolenta, sulla equa condivisione dei beni della Terra, sulla loro responsabile presa in cura, sul rispetto della vita umana e non umana. Questi profondi valori comuni possono diventare norme condivise, codici di comportamento morali socialmente riconosciuti e apprezzati, unici veri antidoti alle cause che scatenano le guerre – l’odio, l’avidità, l’indifferenza.
LA VIA PER LA PACE
Dalla notte dei tempi in cui una parte del genere umano ha cercato di imporre il proprio dominio, c’è chi giustifica la violenza fisica come connaturata alla “natura umana” – come se esistesse un codice genetico del male o una sindrome psicotica aggressiva che colpisce le masse. Partendo da questo assurdo assunto molti sostengono che eserciti e guerre sono non solo inevitabili, ma necessari a regolare le relazioni tra le comunità umane.
Siamo così giunti all’illusorio paradosso di promuovere il riarmo con l’intento di difendere la pace. In tal modo viene giustificata la produzione di strumenti di sterminio sempre più sofisticati, micidiali, costosi, indistinguibili nel loro uso di difesa o di offesa, a bassa o ad alta intensità, da impiegare in scenari locali o globali. Il “complesso militare-industriale”, che già spaventava un presidente degli Stati Uniti in piena guerra fredda (Dwight Eisenhower), è oggi più che mai potente e in grado di determinare le relazioni internazionali tra gli stati e di indirizzare l’evoluzione tecnologica (geoingegneria, editing genetico, telecomunicazioni, controllo dello spazio).
La pace non può essere mantenuta sotto la minaccia del terrore, pensava Albert Einstein. La pace può essere raggiunta solo attraverso la comprensione, la condivisione, la compassione. Come disse il Mahatma Gandhi, «non c’è via per la pace, la pace è l’unica via». I conflitti vanno risolti con mezzi pacifici. C’è sempre una alternativa negoziale a qualsiasi guerra.
LA GUERRA COME CONSEGUENZA SISTEMICA
Noi pensiamo che non vi sia nulla di congenito nell’istinto di sopraffazione, di distruzione e di morte che spinge alcuni esseri umani – generalmente maschi e collocati nei ranghi sociali privilegiati – a esercitare ruoli di potere attraverso la violenza. Non crediamo corretta nemmeno la metafora del virus che saltuariamente colpirebbe l’homo sapiens portandolo alla pazzia. La guerra non è una patologia. Al contrario riteniamo che sia il portato logico, deliberato e strutturato di organizzazioni sociali che fondano la loro esistenza sulla predazione, sull’appropriazione, sullo sfruttamento, sulla colonizzazione dei più deboli.
All’indomani della invasione della Federazione russa dell’Ucraina, come Associazione per la decrescita abbiamo scritto che «la guerra è solo l’esito più evidentemente catastrofico di un sistema sociale, culturale ed economico intrinsecamente distruttivo e biocida. Un sistema malato di avidità, ossessionato dalla crescita dei valori economici e che spinge alla competizione permanente per l’accaparramento delle risorse e dei mercati, provocando, oltre alle guerre, il surriscaldamento globale, la distruzione della biodiversità, l’avvelenamento dei mari, dell’aria e della terra, le pandemie da zoonosi, ecc.».
UN SISTEMA ECONOMICO VIOLENTO
Il sistema socioeconomico che si è affermato con l’avvento del capitalismo industriale – concentrazione e gerarchizzazione del comando, universalizzazione e accrescimento infinito dei sistemi di sfruttamento delle risorse, ricerca dei massimi rendimenti attraverso la competizione tra imprese, territori, individui – ha introiettato ed elevato alla massima potenza le modalità d’azione improntate sul paradigma del dominio e della violenza.
«Questa economia uccide – ha affermato papa Bergoglio – ed è la continuazione della guerra con altri mezzi. D’altra parte, molte banche, molti fondi di investimento e molte aziende “civili” nel settore tecnologico, meccanico, energetico, informatico, automobilistico e aerospaziale sono fortemente coinvolte in finanziamenti, produzioni e commerci di armi e componentistica militare. L’economia di guerra diventa la continuazione e il prolungamento dell’economia di mercato. Si evidenzia così sempre più l’integrazione tra e la connessione tra sistemi di “produzione” e sistemi di “distruzione” in una logica di competizione sempre più distruttiva.
Lo diciamo chiaro: non ci potrà mai essere “ripudio” della guerra senza vera emancipazione da tutto ciò che genera la guerra. La guerra non è addomesticabile, regolamentabile, giurisdizionabile. Non è accettabile alcuna jus ad bellum. La guerra è in sé un crimine. La guerra va abolita in radice, attraverso il completo disarmo, a partire dalle armi nucleari, antiuomo, chimiche, batteriologiche, robotizzate… al fosforo bianco, all’uranio impoverito ecc.
La sola forma efficace di dissuasione, di “deterrenza” e di prevenzione della guerra è la proibizione dell’uso delle armi. Ogni Stato faccia il proprio passo, unilateralmente, per proprio conto e, assieme agli altri, cerchi di ricreare una autorità mondale in grado di imporsi sui singoli Stati e di interporsi tra gli Stati belligeranti, come avrebbe dovuto essere l’Onu secondo la sua carta istitutiva.
DISINVESTIRE NELLE ARMI
Aumentare oggi le spese militari – in pieno collasso del sistema sanitario provocato dall’epidemia da Sars-Cov19, dopo ripetute crisi economiche e a fronte dell’urgenza del contrasto ai cambiamenti climatici – è pura follia. Quarant’anni fa Petra Kelly, femminista, ecopacifista, fondatrice dei Verdi in Germania disse: «In questo momento, non solo l’amministrazione Reagan, ma tutte le amministrazioni dei paesi del mondo che chiedono un aumento delle spese militari, stanno commettendo un atto di aggressione che equivale a un crimine, perché anche quando non vengono utilizzati, solo per il loro costo, gli armamenti uccidono i poveri causando miseria e privazioni».
Scrisse Martin Luther King: «Una nazione che continua anno dopo anno a spendere più soldi per la difesa militare che per programmi di elevazione sociale, si sta avvicinando alla morte spirituale». Nel 2021 le spese militari degli Stati ammontavano a più di 2 mila miliardi di dollari pari al 2,2% del Pil mondiale (dati Peace Research Institute). Per avere un’idea del loro peso basti pensare che le spese per l’istruzione nel mondo coprono il 3,5% del Pil. In Italia le spese militari persano 80 milioni di euro al giorno.
LE PRIME VITTIME? LE PERSONE E GLI ECOSISTEMI
Come stiamo vedendo oggi, annichiliti, in Ucraina, la “guerra moderna” coinvolge, colpisce e uccide soprattutto i “civili”, gli abitanti rimasti intrappolati nelle città, le persone intente nelle attività quotidiane di sussistenza e di assistenza. Ai morti si aggiungono i feriti e i profughi. L’obiettivo delle guerre, così come delle ritorsioni (embarghi), non sono i militari e nemmeno i loro governi, ma le popolazioni. Oltre a ciò, le guerre operano una distruzione sistematica delle strutture e delle infrastrutture, compresi depositi, fabbriche, centrali energetiche, generando ogni tipo di inquinamento.
La presenza di centrali nucleari attive e dismesse (Chernobyl) sul terreno della guerra costituisce di per sé un pericolo a scala continentale. Nemmeno le campagne e gli ecosistemi naturali vengono risparmiati dalla furia della guerra. La fauna selvatica viene sterminata. La biodiversità azzerata. Le guerre sono un olocausto di vite umane e non umane, uno spreco gigantesco di beni economici e di risorse pubbliche, un aggravamento indicibile delle condizioni ambientali naturali, un fattore determinate del biocidio in atto, del superamento dei limiti ecologici planetari del sistema Terra.
QUANTO INQUINA LA GUERRA?
Le forze armate non sono tenute a fornire dati sulle emissioni di gas climalteranti – gentilmente tenute fuori dagli obblighi degli Accordi di Parigi. Ma secondo alcune stime, il “carbon boot-print” – letteralmente “l’impronta degli stivali militari” – del comparto della difesa a livello mondiale, anche quando non è impegnato in azioni di guerra (attività di routine, equipaggiamenti, esercitazioni, trasporti, ecc.), contribuirebbe con il 5% delle emissioni di CO2 di origine antropica. Secondo Raffaele Crocco (direttore dell’Atlante delle guerre e dei conflitti) il 20% del degrado ambientale nel mondo è dovuto alle attività militari. Il Dipartimento della difesa degli Stati Uniti è il più grande consumatore istituzionale di petrolio.
GLOBALIZZAZIONE O SOVRANITÀ
In particolare, lo scontro in atto tra Federazione Russa e paesi della Nato, che si sta giocando in terra ucraina, sta modificando la geopolitica energetica mondiale. L’Europa non potrà più contare sui rifornimenti di petrolio e di gas naturale a basso costo dalla Russia e dovrà diversificare le fonti di approvvigionamento. Germania e Italia dovranno uscire da una situazione di imbarazzante ipocrisia, trovandosi a finanziare contemporaneamente tutti e due in contendenti in guerra: il governo ucraino, con pesanti aiuti militari, e le imprese di stato energetiche russe.
Più in generale la guerra scatenata dalla Federazione russa contro l’Ucraina obbligherà i Governi a un ripensamento delle politiche economiche della globalizzazione, sostenute dalle principali agenzie transnazionali (WTO, Banca Mondiale, FMI) e implementate da svariati accordi tra stati sul libero scambio, che hanno favorito l’allungamento delle filiere produttive, la libera circolazione di capitali e di merci, il dumping sociale a scala planetaria e lo sfruttamento indiscriminato delle risorse naturali in ogni regione del mondo.
Una situazione che consiglierebbe agli Stati di intraprendere percorsi di deglobalizzazione e di ri-territorializzazione dei propri apparati produttivi, distributivi e di consumo a partire dalle filiere agroalimentari ed energetiche nell’intento di realizzare la autonomia maggiore possibile e di esercitare una sovranità economica nei confronti delle compagnie transnazionali.
QUANTO È VICINO IL COLLASSO?
Nello specifico, l’interruzione dei rifornimenti di gas dalla Russia dovrebbe accelerare il percorso di fuoriuscita dai combustibili fossili e stabilire finalmente piani energetici nazionali davvero “ambiziosi”, almeno in linea con gli obiettivi dell’Accordo di Parigi (emissioni nette zero entro il 2050). Invece le prime decisioni dei Governi europei, presi dal panico dall’eventualità di dover razionare le fonti energetiche primarie, prevedono il ritorno al carbone, la riattivazione e la nuova ricerca di giacimenti di metano, il potenziamento e la costruzione di nuovi gasdotti e nuovi rigassificatori, l’importazione di maggiori quantità di combustibili fossili da altri paesi non certo più affidabili della Russia.
Se non ora, quando? Se nemmeno di fronte a tali precipizi umanitari e ambientali i popoli della Terra non riusciranno ad intraprendere il sentiero della pace, nella giustizia sociale e nella sostenibilità ambientale, allora davvero il crollo incontrollato e catastrofico della civiltà occidentale potrebbe risultare lo scenario più probabile. Eventualità che non ci rammaricherebbe se non fosse che a pagarne le conseguenze più dure sarebbero i gruppi sociali più fragili e con meno possibilità di sopravvivenza.
DECRESCERE PER COSTRUIRE UN MONDO PIÙ LIBERO
Il sentiero indicato dal pensiero della decrescita emerge sempre più come realista e ragionevole. Perché capace di tenere assieme ogni dimensione della vita, individuale e collettiva, in un progetto di futuro desiderabile oltre che necessario. Il progetto politico e sociale della decrescita fa innanzitutto appello alle risorse etiche di ciascun individuo.
Come scriveva Petra Kelly, «mentre combattiamo contro la guerra più grande, la guerra A, B o C, dobbiamo, allo stesso tempo, combattere anche contro le piccole guerre, le guerre di violenza che si svolgono ogni giorno nelle nostre strade dove le donne temono di camminare da sole di notte, che si verificano ogni volta che una donna viene violentata o picchiata, che si verificano ogni volta che un bambino viene colpito. Non solo dobbiamo cambiare lo status quo della cosiddetta violenza istituzionalizzata, ma dobbiamo anche cambiare noi stessi fondamentalmente prima di poter cambiare la vita sociale e politica».
La decrescita mira a trovare una relazione risanata, mutuale e solidale tra le persone e tra loro e l’ambiente naturale. Decrescita significa de-militarizzare i conflitti, de-colonizzare le menti, de-economicizzare la società, disconoscere ogni forma di potere costituito centralmente e gerarchicamente. In altri termini la decrescita si inscrive nel più largo movimento plurale e pluralistico di liberazione della condizione umana da ogni tipo di costrizione ed eterodirezione. Un mondo di altri mondi.
DISERTARE DAGLI AUTOMASTISMI
Come parte del movimento internazionale per la giustizia ecologica e sociale ci sentiamo parte del movimento di disobbedienza civile nonviolento contro la guerra, il riarmo, il nucleare. Riteniamo che il terreno dello scontro violento contro le forze brute dominanti sia quello più sfavorevole alle popolazioni tenute sotto schiaffo dalla prepotenza del potere costituito. Al contrario riteniamo che il campo più favorevole alle forze che si battono per la pace sia quello che fa leva sulle risorse culturali, sulla ragionevolezza, sull’ethos democratico, sulla volontà di giustizia che animano le persone e che persistono anche quando vengono oppresse.
Ha scritto il filosofo Franco Berardi: “La forza capace di sottrarsi alla psicosi di massa [sia quella aggressiva, sia quella depressiva] è la diserzione da tutti gli ordini automatici: dall’ordine automatico della guerra, prima di tutto. Ma anche dall’ordine automatico della competizione, del lavoro salariato e del consumismo. E anche dall’ordine automatico della crescita economica che distrugge l’ambiente e il cervello per produrre profitto”. (www.comune-info.net, 24 aprile 2022).
Di questi e altri temi si parlerà in occasione dell’evento Dall’illusione della crescita verde ad una democrazia della Terra in programma a Venezia il 7-8-9 settembre 2022.
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