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I giornali occidentali riportano di continuo notizie della guerra in Ucraina, in particolare sulle operazioni militari, ma raramente raccontano quello che sta accadendo in Russia e come la guerra venga lì percepita e narrata a livello mediatico e informativo.
È difficile dall’Italia riuscire a farlo: sia perché si dà poco spazio a questo tipo di informazione, legata più all’approfondimento che al sensazionalismo, sia perché è obiettivamente difficile restituire un quadro che possa descrivere ciò che accade in un paese di 17 milioni di chilometri quadrati e abitato da 144 milioni di persone com’è la Russia.
Noi ci abbiamo provato a partire da due punti di vista diversi ma accomunati da alcune esperienze, portate da due persone, entrambe giornaliste ed entrambe legate alla Russia. Uno è Roberto Scarfone, generazione ‘48, ex capo ufficio Ansa, che ha lavorato come giornalista in Russia dal ‘91 al 2002, fino a quando ha intervistato i terroristi ceceni che avevano preso in ostaggio gli spettatori nel teatro Dubrovka di Mosca.
Da quel momento Scarfone ha viaggiato e lavorato in India, Tunisia, Italia per poi tornare a Mosca, dove tuttora vive. L’altra è Ilaria Cozzolino, 28 anni, che ha studiato e lavorato a Mosca nei due anni prima della pandemia. Giornalista e amante della Russia, oggi di professione insegnante, continua a fare informazione nel tempo libero sulla sua pagina Instagram.
Le domande che ci hanno guidato hanno riguardato principalmente il mondo dell’informazione in Russia e la percezione a livello sociale di ciò che sta avvenendo: come viene raccontata la guerra a livello mediatico? C’è la possibilità di accedere a un’informazione indipendente? Com’è schierata l’opinione pubblica russa sulla guerra in Ucraina?
Dal punto di vista della libertà di espressione, la situazione è chiara: ai primi di marzo la Duma ha approvato una modifica al Codice pensale russo, stabilendo che chi diffonde false informazioni sulle forze armate rischia dai 3 ai 15 anni di carcere. All’interno di questo provvedimento rientrano anche i termini che vengono usati: «Si può parlare della guerra in Ucraina solo come operazione speciale, chi parla di guerra viene punito e chi scende in piazza viene portato via», spiega Roberto Scarfone, aggiungendo che dall’inizio della guerra la repressione informativa si è intensificata: molti social – come Facebook e Instagram – sono stati oscurati.
Anche diversi mezzi di informazione sono stati oscurati, come Dozhd, canale televisivo che faceva controinformazione, o Meduza, sito web lettone di informazione in lingua russa, ma anche media internazionali come la BBC e la Deutsche Welle. «Nel mondo dei media hanno spazio solamente i giornali filogovernativi come l’agenzia TASS, che utilizzano il linguaggio che è stato prescritto, parlando di operazione speciale e non di guerra, ad esempio», spiega Ilaria Cozzolino, che continua a seguire anche dall’Italia le vicende in Russia.
«Del resto – prosegue Ilaria – questa legge non riguarda soltanto i mezzi di informazione, ma anche qualsiasi cittadino che scriva sul proprio blog o social il termine guerra: è anche per questo motivo che il dissenso in questo momento ovviamente è molto basso, perché i rischi sono aumentati per chi scende in piazza o protesta».
Una situazione che non è per nulla semplice né semplificabile, in cui «l’unica vittima è la verità: vedo che nei media occidentali c’è una versione – quella ucraina – mentre in quelli russi c’è la versione filogovernativa. Si tratta in entrambi i casi di propaganda», spiega l’ex giornalista dell’Ansa. Se infatti in Russia la propaganda di Stato la fa da padrona, non si può dire molto di diverso dalla gran parte dell’informazione occidentale, nettamente schierata dalla parte del Governo ucraino e spesso appiattita da semplificazioni o estremizzazioni. A tutto ciò si aggiungono le difficoltà obiettive del giornalismo di oggi, che non approfondisce, non conosce, non vive a lungo i luoghi di cui parla, limitandosi spesso soltanto a riportare.
Roberto, che conosce la Russia e ha seguito le vicende di Crimea e Donbass, spiega come sia importante tenere insieme più elementi nell’analisi, andando anche indietro nel tempo: «I popoli russi e ucraini sono molto intrecciati fra di loro e bisogna tenere conto del fatto che nella fascia orientale dell’Ucraina non è tutto bianco o nero: ci sono i filorussi ma anche quelli che vogliono rimanere con Kiev». Questa è una guerra che «è iniziata nel 2014 e che poteva essere fermata già da allora, mentre adesso, con il continuo invio di armi da parte dell’Occidente, non fa che aumentare».
Per quanto riguarda l’opinione pubblica russa, se da un lato c’è da tenere conto del fatto che l’83% della popolazione è a favore di Putin, dall’altro va detto che il livello di repressione incide anche sulla vita e sui discorsi, soprattutto dei giovani: «Nella mia esperienza molti giovani non si espongono in modo diretto sulla questione, anche se so che c’è una parte di loro consapevole e schierata nettamente contro la guerra», racconta Ilaria Cozzolino. «Sono loro infatti a utilizzare il sistema VPN per aggirare l’oscuramento dei social e di altri canali di informazione in Russia».
Nonostante ci siano una forte repressione e censura mediatica, esiste uno strato di popolazione consapevole che rifiuta la guerra e non la interpreta secondo le categorie della propaganda. Eppure, «l’opinione pubblica in Russia non conta niente: è per questo che bisogna auspicare una soluzione internazionale per la fine di questa guerra, che continua a essere fomentata dall’invio di armi e a mietere vittime».
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