Stavolta tocca a noi. Emerging Communities sbarca a Mantova per scoprire Italia che Cambia
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Scampoli di conversazione tratti da tre giorni di incontro a Mantova fra otto organizzazioni provenienti da sei paesi europei differenti. Il progetto si chiama Emerging Communities, è finanziato attraverso il programma europeo Erasmus + e serve proprio a questo: fare rete, scambiarsi esperienze, rinsaldare collaborazioni fra organizzazioni provenienti da paesi diversi dell’Unione.
Sono state giornate al tempo stesso rilassate e intense, di scambio reale e profondo fra persone che provengono da esperienze di vita diverse, da paesi diversi, su temi come la sostenibilità ambientale, l’accoglienza, l’educazione. Tanta diversità, tanta ricchezza, altrettanta unione e comunanza.
Questa volta toccava a noi di Italia che Cambia organizzare l’incontro. Fin qui le altre realtà hanno ospitato questi eventi nella propria sede, per mostrare ai partner in cosa consiste il loro lavoro. A Potsdam e Berlino siamo stati ospiti del co-housing sociale Projekthaus, un centro auto-organizzato per vivere e lavorare, e abbiamo reincontrato ImWandel, il “fratello tedesco” di Italia che Cambia, nato come declinazione oltre i confini nazionali del nostro progetto. Ad Atene abbiamo conosciuto meglio Communitism, che attraverso l’arte e la cultura trasforma edifici abbandonati in beni comuni gestiti da una cittadinanza attiva.
Noi una sede operativa vera e propria non l’abbiamo – ancora per poco, ma questa è un’altra storia –, siamo spalmati in tutto il territorio nazionale, il nostro lavoro si svolge perlopiù in giro per il Paese o alla nostra scrivania. Tutto ciò ha degli indubbi vantaggi, ma anche alcune criticità. Ad esempio: cosa diamine facciamo vedere ai nostri partner europei?
Così, chiacchierando con Lorena, mia compagna di viaggio, ci è venuta l’idea: mostriamo loro un luogo che incarni lo spirito, il “senso” di quello che facciamo. I luoghi papabili in giro per l’Italia erano tanti. Questa volta la nostra scelta è ricaduta su R84, uno spazio condiviso – il termine tecnico è Multifactory – dove professionisti, artigiani e artisti portano avanti la propria professione e collaborano a progetti comuni, di cui avevamo già parlato qui.
A guidarci – vero e proprio Cicerone di queste giornate mantovane – è stato Simone Foscarini di R84, che ringraziamo sentitamente, assieme a Caterina Salvo, per l’ospitalità, l’accoglienza e l’organizzazione che ci ha donato in questi giorni.
COS’È UNA MULTIFACTORY?
La prima giornata, quella di sabato 14 maggio, è stata dedicata a dare il benvenuto ai partecipanti e alla scoperta di R84, il luogo cardine attorno al quale ha ruotato tutta la nostra permanenza. L’appuntamento al mattino era alla Ciclofficina Errante per ritirare le biciclette a noleggio, mezzo di trasporto del gruppo per i successivi tre giorni. Poco dopo, seduti sull’erba nella meravigliosa cornice dei Giardini di Palazzo Te, abbiamo fatto un cerchio di benvenuto in cui ciascun partecipante ha condiviso qualcosa di sé, del proprio stato d’animo, della propria organizzazione.
Per pranzo abbiamo optato per Papacqua, un’associazione culturale olistica che da oltre vent’anni promuove la cultura del benessere tra yoga, reiki, shiatsu e alimentazione. Nel suo ristorante prepara alimenti vegetariani e vegetali. Lavora molto nel sociale, ad esempio con il carcere, e coinvolge i giovani attraverso progetti di Servizio Civile e Servizio Volontario Europeo. Si trova a fianco del Mappamondo, bottega equo e solidale con la quale collabora, e la cooperativa l’Albero, supermercato che vende prodotti naturali.
Dopo l’ottimo pasto ci siamo diretti verso R84, che si trova nella zona ex industriale, negli edifici che un tempo ospitavano i lavoratori della raffineria mantovana, ora chiusa. Qui, da un’idea dei due viaggiatori e ricercatori Lorenza Salati e Giulio Focardi, è nata R84, la prima Multifactory, concetto ombrello con cui vengono indicati degli spazi riqualificati che diventano sede di officine, laboratori, studi professionali e in cui le persone – i soci – oltre a lavorare condividono progetti e valori.
«Nella testa dei mantovani quella zona della città è ancora un buco nero – ci spiegherà Simone la sera, davanti a una birra – che evoca brutti ricordi, fatti di inquinamento e malattie a opera della vecchia raffineria». Il lavoro di R84 perciò è quello di riqualificare non solo uno spazio urbano post-industriale, ma anche una fetta di immaginario della popolazione. E a giudicare dai risultati, lo sta facendo benissimo.
Fortuna ha voluto che nella giornata di sabato R84 avesse organizzato un open day per far conoscere lo spazio ai mantovani. Perciò molti dei soci erano presenti e ben disponibili a spiegare le loro attività. Ci siamo intrufolati molto volentieri, partecipando a un workshop su come si fanno i podcast, tenuto da Gabriele Beretta, che i podcast li produce di mestiere, e scoprendo le attività di Emiliano Fanti, giovanissimo brand designer che ha sviluppato il logo delle multifactory, oltre ad esplorare gli spazi di R84 guidati da Simone.
Abbiamo anche approfittato – abbondantemente! – dell’ottimo buffet offerto dall’organizzazione per mano di La Bottega di Gaia, un panificio di Frassino che produce pane, focacce, dolci, biscotti e molto altro usando materie prime di primissima scelta.
ALLA SCOPERTA DI MANTOVA
Domenica è stata una giornata di scoperta delle bellezze architettoniche e umane di Mantova. Al mattino ci siamo diretti al Parco Lord Baden Powell, nel quartiere di Valletta Valsecchi, dove c’era una festa di quartiere molto partecipata, con un mercatino del broccante in cui tanti abitanti della zona mettevano in vendita gli oggetti che non usavano più, invece di gettarli. Oltre al mercatino c’erano attività per i bambini e un ottimo pranzo con specialità locali come il “riso pilota”.
Dopo il pranzo e l’acquisto di qualche ricordino a bassissimo impatto ambientale – perché usato –, ci siamo nuovamente seduti in cerchio, fra l’erba. Qui i partecipanti hanno fatto domande e chiesto curiosità a me e Lorena sul lavoro di Italia che Cambia. La giornata si è conclusa Poi un giro fra le bellezze del centro storico mantovano e una visita al meraviglioso Palazzo Te.
UNA “MACCHINA FISSA” NELLE CAMPAGNE MANTOVANE
Lunedì siamo montati in sella alle nostre biciclette e abbiamo pedalato alla volta di un progetto immerso nelle campagne mantovane: la Macchina Fissa. Accompagnati lungo tutti il percorso dal fiume Mincio e da campi coltivati, dopo circa un’ora siamo arrivati a destinazione.
Ci siamo resi conto immediatamente che il progetto pronto a ospitarci era ben sopra alle nostre aspettative. Ad accoglierci è stato Clark che ci ha raccontato la sua storia: molti anni fa, dall’America, è arrivato in Italia per studiare. Poi, alla ricerca di una casa dove vivere, è giunto proprio qui, dove sorgeva una vecchia villa del XVII secolo da ristrutturare. Grazie alla sua creatività e alle sue passioni legate all’arte e al giardinaggio, ha trasformato le rovine di questa struttura in un luogo magico.
Durante la visita, Clark ci ha mostrato i quadri che colleziona, provenienti da decine di paesi diversi, che hanno trasformato la casa in una sorta di galleria d’arte. Come ci ha raccontato, è appassionato di animali, come le capre che sono protagoniste di molti quadri che si trovano nella casa, oltre che “inquiline” della Macchina Fissa insieme ai pavoni e ai gatti. La casa, oltre a una galleria, è anche una vera e propria biblioteca: nelle stanze si contano oltre 6.000 libri che fanno di questo posto un luogo di arte e cultura.
Durante la nostra visita abbiamo conosciuto Cecilia, che da anni organizza insieme a Clark eventi culturali, visite alla scoperta delle opere d’arte, momenti in cui dedicarsi alla lettura e alla vita in un ambiente rurale. Il pranzo che ci ha preparato ci ha subito conquistato, tra verdure e prodotti naturali.
Nel pomeriggio di questa calda giornata ci siamo goduti la frescura degli alberi e la vista dell’orto che Clark coltiva. In questa cornice, lontano dalla città e immersi nel silenzio della natura, ci siamo dedicati alle attività di scambio, in preparazione dei saluti prima della partenza.
Nella via verso casa riflettevo sul ruolo che progetti di scambio fra cittadini e organizzazioni europei come questo hanno nel costruire una cultura della pace. La diversità fa paura solo quando non la si conosce, una volta conosciuta diventa arricchimento personale e collettivo. Conoscere culture, usanze, leggi di paesi diversi dal nostro apre la mente a nuove prospettive, fa fiorire nuove idee. Penso che l’Europa l’abbiano fatta più i progetti Erasmus che i trattati internazionali. Forse non ci sarebbe la guerra oggi, se vent’anni fa avessimo incluso di più ragazzi e ragazze provenienti dalla Russia in progetti di scambio europeo.
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