6 Mag 2022

Le conseguenze della guerra in Ucraina

Scritto da: Francesco Bevilacqua

La guerra in Ucraina ha "compiuto" due mesi. Non smettiamo però di interrogarci sul senso di tutto ciò che sta accadendo a poche centinaia di chilometri dai nostri confini. Quali sono le conseguenza di questo conflitto? In che modo potrebbe cambiare le nostre vite? Quali saranno i suoi effetti sugli equilibri globali e quali ambiti andrà a intaccare?

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“Che differenza fa per i morti, gli orfani e i senzatetto, se la folle distruzione è perpetrata sotto il nome del totalitarismo o sotto il santo nome della libertà e della democrazia?”, scrisse Gandhi. Provando ad analizzare alcune delle conseguenze della guerra in Ucraina non si può dunque non partire da chi questo conflitto lo sta vivendo sulla propria pelle.

In Italia, in Europa, nel resto del mondo subiremo delle conseguenze, forse anche gravi, in termini di disponibilità delle materie prime, prezzi dell’energia, ricadute politiche e sociali. Ma i nostri patimenti non potranno mai essere neanche lontanamente paragonabili a quelli delle persone le cui case, le cui famiglie, le cui vite sono state colpite e, troppe volte, distrutte dal fuoco di questa guerra.

Dopo questa doverosa premessa, proviamo a esaminare le conseguenze della guerra in Ucraina in questo approfondimento, in cui affronteremo i seguenti punti:

Flussi migratori
Energia
Finanza
Alimentazione
Informazione

FLUSSI MIGRATORI

Dopo la riflessione condivisa in apertura di questo articolo, è naturale pensare per prima cosa a quali sono state le conseguenze della guerra in Ucraina sui flussi migratori verso il resto dell’Europa. Secondo l’UNHCR, l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, sono attualmente più di 5.130.000 i cittadini Ucraini che hanno lasciato il loro Paese, a cui vanno aggiunte circa 105.000 persone che dal Donbass hanno riparato in Russia.

Conseguenze della guerra in Ucraina

Naturalmente queste statistiche non possono essere esaustive poiché sono state ricavate incrociando i dati provenienti da diverse fonti – polizia di frontiera, hub di accoglienza, servizi sociali e altre –, riguardano una situazione caotica e spesso fuori controllo e sono in costante evoluzione.

Stando ai dati governativi, la Polonia è il Paese che ospita il numero maggiore di profughi, circa 2,8 milioni, seguito da Romania e Federazione Russa. E in Italia? Secondo un aggiornamento fornito dal Viminale il 17 aprile, a quella data erano 95.952 le persone arrivate finora in Italia: 49.588 donne, 11.343 uomini e 35.021 minori. L’incremento è di più di 1000 nuovi arrivi al giorno, quindi è facile che il muro dei 100.000 profughi accolti sia già stato sorpassato.

ENERGIA

Secondo Eurostat, l’Italia importa il 23,8% delle proprie risorse energetiche dalla Russia – la media europea è del 24,5%. La nostra dipendenza è particolarmente alta per quanto riguarda il carbone – la metà esatta della quantità che consumiamo arriva dalla federazione russa – e per il gas (40,4%), mentre scende al 17,4% per il petrolio.

Come ha spiegato il nostro Andrea Degl’Innocenti nella rassegna stampa del 14 aprile scorso, la situazione è molto fluida e caotica, ma si percepisce molta prudenza da parte dei leader europei nel rapportarsi con il loro omologo russo, dettata probabilmente proprio dalla consapevolezza di una forte dipendenza energetica che si riflette inevitabilmente sulle conseguenze della guerra in Ucraina.

“Putin non sta perdendo”, ha osservato il nostro collaboratore Filippo Bozotti in un editoriale datato 11 aprile. “Il prezzo del gas è passato da 18 euro a 295 euro al mw/h in un anno, aumentando di sedici volte il suo valore. Il paradosso è che con la guerra, Putin guadagna molto più di prima e può continuare a finanziare il suo arsenale militare. L’Unione Europa importa quasi il 40% del suo gas dalla Russia. Nel 2010 era il 20%. Questo è il risultato di una strategia energetica scellerata e miope: siamo alla mercé di Putin e abbiamo degli enormi conflitti di interessi”.

Che questa sia l’occasione per ripensare il nostro modello di approvvigionamento energetico è fuori di dubbio. Lo sostiene, fra gli altri, anche Andrea Cavalleroni, dell’associazione Cittadini Sostenibili di Genova, a cui abbiamo chiesto un parere sulle azioni che come cittadini e cittadine possiamo compiere in prima persona per emanciparci dai combustibili fossili, frenare la crisi ambientale e arginare una delle conseguenze dalla guerra in Ucraina.

Conseguenze della guerra in Ucraina
FINANZA

Non vanno ovviamente sottovalutate le conseguenze della guerra in Ucraina sul mondo finanziario. Anche qua regna l’incertezza più completa, con un grande dubbio che riguarda soprattutto la durata del conflitto. In questo senso le borse danno indicazioni poco rassicuranti: dopo notevoli alti e bassi nei primi giorni di guerra, a seguito del duello mediatico Biden-Putin e dello stallo dei negoziati ile borse europee si sono attestate su valori moderatamente negativi.

Se cambiamo però livello e proviamo a capire cosa può fare ciascuno di noi per favorire un’economica florida e al tempo stesso incidere positivamente sulla situazione geopolitica internazionale, uno strumento utile ci arriva dalla campagna Banche Armate, che fornisce una serie di indicazioni ai risparmiatori per gestire i propri fondi e affidarli a banche che non siano compromesse con aziende dell’industria bellica. Anche questo è un modo per provare a mitigare, magari a lungo le termine, le conseguenze della guerra in Ucraina.

ALIMENTAZIONE

Le conseguenze della guerra in Ucraina cominciano a sentirsi anche sulle nostre tavole. Anche in questo caso, come quando abbiamo parlato di energia, la crisi delle materie prime è uno spunto che non possiamo ignorare e che ci invita a riflettere sul modello di produzione alimentare nel mercato globale e globalizzato.

L’Italia è nel mezzo del guado, almeno per quanto riguarda il grano, forse il bene più colpito. Il 30% della produzione mondiale arriva infatti da Ucraina e Russia, ma il nostro Paese importa da questi due produttori solo il 6% del fabbisogno nazionale. Questo è un bene? Fino a un certo punto, visto che comunque produciamo meno del 35% del grano che consumiamo all’interno dei nostri confini e il restante 65% proviene dall’export.

Una testimonianza interessante ce l’ha fornita il coltivatore biologico piemontese Roberto Ferrari, che in occasione di un’intervista che gli abbiamo fatto ha sottolineato come questa crisi debba essere vista come un’opportunità per potenziare alcune buone pratiche come la riduzione di scala, la vendita diretta e la diffusione di un’agricoltura biologica e non intensiva, oltre a una modifica delle nostre abitudini alimentari, oggi decisamente poco attente alla sostenibilità.

L’Ucraina è anche un importante produttore di semi oleosi e di loro derivati. Per esempio, rileva Coldiretti, il prezzo dell’olio di semi di girasole – l’Ucraina è il maggior esportatore mondiale di questo bene, detenendo il 50% del mercato – ha subito un aumento del 23% del suo prezzo pre-guerra. Fa riflettere anche il fatto che questo paese è anche uno dei maggiori esportatori di fertilizzanti: per esempio, l’urea – uno dei concimi azotati più diffusi – ha subito un aumento del prezzo del 245% rispetto allo scorso anno.

INFORMAZIONE

Da ultimo, è doveroso insistere sulle modalità attraverso le quali questo conflitto viene raccontato. In questo caso si tratta di una delle conseguenze della guerra in Ucraina, che però per certi versi può essere vista anche come una causa, laddove la propaganda può essere considerata un’efficace arma per combattere – su altri campi che non siano quelli di battaglia – il conflitto.

È naturale pensare per prima cosa a quali sono state le conseguenze della guerra in Ucraina sui flussi migratori verso il resto dell’Europa

Parlando di propaganda viene subito in mente quella russa ovviamente – secondo Reporters Senza Frontiere la Russia occupa il 150° posto al mondo per libertà di stampa –, ma anche in Italia si assiste a una trattazione mediatica quantomeno discutibile, che non riscatta – anzi, aggrava – l’eredità lasciata dai due anni di pandemia.

“In questo contesto desolante – ha scritto il nostro direttore Daniel Tarozzi in un editoriale di qualche giorno fa – non si può parlare solo di guerra e di geopolitica come fossero chiacchiere ‘da bar’. Allo stesso tempo tuttavia, anche una ‘occasione’ mostruosa come una guerra può diventare, quantomeno, uno stimolo per realizzare quei cambiamenti sistemici che da tanto invochiamo e che davvero oggi sarebbero alla portata di mano”.

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