16 Mag 2022

Le persone piccole: come crescono i bambini e le bambine nella comunità educante di un ecovillaggio

Scritto da: Daniela De Angelis

Sperimentare, imparare dal contesto, sentirsi parte di qualcosa di più di una semplice aggregazione di persone che vivono vicine. Una comunità educante è tutto questo, ma come crescono i suoi piccoli membri? Ce lo racconta Daniela De Angelis, che da un po' di tempo vive con la sua famiglia in un ecovillaggio in Portogallo.

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La maternità cambia tutte le donne. Dal momento in cui si acquista consapevolezza che nel proprio corpo sta crescendo una nuova vita non si può fare a meno di augurarle il meglio. Per me, come per il mio compagno Tomas, quel meglio significava una vita sana, felice e un percorso di crescita gioioso e arricchente all’interno di una comunità educante, nel quale riuscire sempre a esprimere la parte migliore di sé.

Quando, ormai dieci anni fa, sono rimasta incinta del mio primo figlio Federico, ho cominciato a chiedermi quali fossero le scelte che come genitore avrei voluto affrontare per accompagnarlo e per essere facilitatrice di un percorso alla scoperta di sé stesso e del mondo. Alcuni libri e persone care sono stati fondamentali per sostenermi, mentre sceglievo per i miei figli un accudimento, nei primi anni di vita, basato sulla costruzione di un attaccamento sicuro, sull’allattamento a richiesta e sul co-sleeping.

Fin dai primi mesi della nostra nuova vita da genitori, io e Tomas ci siamo resi conto della grande importanza che assumeva per noi il circondarci di persone che condividessero uno sguardo critico e non fossilizzato sul tema dell’infanzia, che contribuissero al confronto su un tema complesso e sfaccettato come quello dell’educazione e che arricchissero la nostra vita con una presenza di cuore e di affetto.

comunita educante

“Per crescere un bambino ci vuole un villaggio” recita il famosissimo proverbio africano spesse volte citato per richiamare l’attenzione sull’importanza di un tessuto sociale vario e armonico e interconnesso intorno alle persone piccole. Noi però lo volevamo veramente un villaggio: un luogo reale, fatto di persone legate da una quotidianità in cui i bambini sarebbero cresciuti insieme condividendo momenti di apprendimento e gioco e intorno al quale si creasse un ambiente di genitorialità condivisa, in cui i bambini piano piano allargassero la rete dei loro punti di riferimento, affidandosi e fidandosi anche di persone esterne al nucleo familiare e con cui intrattenessero un rapporto di affetto e scambio.

A nostro parere una “comunità educante” sarebbe stato l’ambiente migliore in cui i nostri figli potessero crescere. Uno spazio in cui tutte le persone imparassero una dall’altra e in cui ci fosse una visione del bambino – ma anche dell’uomo e della donna – come di un apprendista alla ricerca di domande e risposte per capire come funziona il mondo, in un processo di educazione ed evoluzione continui. Dopo molti sforzi e molti tentativi, dopo sette anni dall’inizio della nostra avventura da genitori, la nostra visione si è fatta reale quando abbiamo iniziato la convivenza con altre famiglie in una piccola comunità spontanea nella campagna algervense del Portogallo.

Ciò che Federico e Pietro vivono, insieme agli altri bambini della comunità, è una quotidianità collettiva, nella quale sono in relazione con gli adulti che lavorano e agiscono intorno a loro e in cui possono osservare, interrogarsi, sperimentare, sull’ambiente naturale e urbano nel quale vivono. Le persone piccole, nella libertà di seguire la loro curiosità e di approfondire i loro interessi, hanno a disposizione persone adulte con differenti abilità, passioni e conoscenze, da cui possono attingere spunti e passaggi importanti per proseguire nel progetto che in quel momento è di loro interesse.

I miei figli hanno la libertà di giocare dall’alba al tramonto, organizzare picnic improvvisati sotto un albero, mettere in pratica progetti autogestiti

La varietà in cui sono immersi non è solo nozionistica e di saperi, ma anche caratteriale: le persone grandi – così come quelle piccole – hanno personalità differenti, agiscono nella vita in modi diversi e con molteplici strategie, hanno bisogni diversi e reagiscono alle sorprese belle e brutte della quotidianità ognuno a suo modo. Il messaggio prezioso che trasuda è che siamo tutti diversi, nessuno sbagliato, ognuno con il suo percorso, con le sue fragilità e i suoi punti di forza, con lati di luce e ombra.

Vivere insieme e condividere il mondo significa accettare gli altri per ciò che sono, rapportarsi con persone che non seguono un manuale di istruzioni sul corretto comportamento da avere con i bambini, ma che semplicemente provano sincero affetto per loro e fanno il possibile per essere coerenti con la visione che hanno di apprendimento e relazione interpersonale.

Mettersi in gioco e sentirsi essi stessi in uno stato di ricerca porta i bambini e le bambine a sentirsi parte di un viaggio metaforico in cui tutti siamo in cambiamento e in evoluzione. Fanno esperienza del fatto che per stare bene è importante trovare il proprio centro interiore, con il quale ci relazioniamo con gli altri, ma che rimane il punto di equilibrio che è solo nostro, indipendentemente dal carattere e dal comportamento delle persone che abbiamo intorno.

Per i miei figli e gli altri fortunati bambini e bambine del nostro gruppo, “casa” significa un terreno di più di tre ettari, in cui convivono una ventina di esseri umani, animali domestici e non, piante da frutto e selvatiche. Hanno la libertà di giocare dall’alba al tramonto, organizzare picnic improvvisati sotto un albero, mettere in pratica progetti autogestiti che per giorni, settimane o mesi prendono forma, evolvono e si trasformano.

comunita educante 1

Li ho visti scavare gallerie nella terra argillosa per dare forma a delle tane, costruire forni in terra, sassi e canne di bambù e accenderci dentro un fuocherello, organizzare esplorazioni per inseguire impronte di animali selvatici, trasformare bastoni e fronde in scope volanti immaginando di essere alla scuola di magia e stregoneria di Hogwarts, andare alla ricerca di minerali e rocce, allestire spettacoli esilaranti con biglietti all’ingresso e scenografie spaziali.

Il sentire che intorno a loro c’è sempre un adulto di riferimento a cui possono appoggiarsi dà loro la sicurezza e la sensazione di un porto sicuro da cui poter partire verso il mondo. Quando invece ne hanno bisogno, ecco che vanno alla ricerca di qualcuno con cui condividere pensieri, stati d’animo, ipotesi, conquiste e sconfitte, da cui attingere informazioni o semplicemente da cui ricevere un abbraccio o una carezza dopo una brutta caduta.

Spero che il crescere in una dimensione come la nostra attuale mostri ai miei figli che gli esseri umani sono animali sociali, che possono scegliere se lasciare che le differenze dividano e portino allo scontro oppure lavorare per costruire, non senza difficoltà ed energie, mondi in cui le diversità sono ricchezze, a cui dare valore e da rispettare.

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