29 Apr 2022

Il mondo sta cambiando: siamo più consapevoli del valore delle relazioni, anche sul lavoro

Scritto da: Ilaria Magagna

Ilaria Magagna e Federica Colonna di Tara ci raccontano i cambiamenti in atto nel mondo del lavoro. Un'occasione – in vista del Prima Maggio, ma non solo – per riflettere su com’è strutturato l’ambito lavorativo oggi e su quali strumenti fa affidamento, ma anche per provare a ripensarlo con nuovi modi e nuove visioni, magari più attente ai tempi che cambiano, alle persone, all’etica e alla sostenibilità.

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Le imprese sono foreste, non alberi. Abbiamo deciso di pubblicare il nostro nuovo sito con questa frase in home, con il rischio di sembrare un po’ misteriose. Lo abbiamo fatto per un motivo: sappiamo che le organizzazioni hanno una risorsa abbondante – l’intelligenza dei team – e quando la mettono a frutto possono affrontare sfide complesse in modo originale.

Per noi la trasformazione del mondo del lavoro e delle imprese si trova qui, nella capacità di affrontare la complessità del mondo contemporaneo con la consapevolezza che l’intelligenza del Novecento, organizzata per silos e discipline distinte, non basta più. Ci stiamo confrontando con i nostri limiti e da abitanti della contemporaneità stiamo sperimentando, sul lavoro e fuori, e stiamo provando a camminare strade ancora poco battute ma molto interessanti. 

Non lo diciamo noi facilitatrici, ce lo dice il mondo. Le Grandi Dimissioni, ad esempio, non sono una moda di superficie ma una voce capace di dichiarare quello che non va nei nostri uffici e dentro le sedi delle nostre aziende. Molte persone, soprattutto sotto i 40 anni, riassorbite dalla tradizionale routine nel periodo post-pandemia sentono che il lavoro non è più l’unica metrica con cui misurare la qualità della propria vita. Il successo professionale non è la sola bussola che ci dice dove andare e in che direzione orientare le nostre scelte, il tempo è tornato a essere un bene prezioso da condividere con le persone a cui vogliamo bene. 

tara facilitazione 2
Il team di Tara

Il mondo del lavoro – e non solo quello – sta cambiando perché siamo più consapevoli dell’importanza delle nostre relazioni. Ecco la formula magica della trasformazione: le relazioni contano nell’esperienza quotidiana anche quando siamo davanti a un computer e seduti alla nostra scrivania. Il bisogno di vivere in un ambiente generativo, nutriente, che stimola e che permette allo stesso tempo di sperimentare e di tutelare la propria parte privata, è fondamentale.

La settimana corta è un esempio virtuoso della possibilità di mettere insieme desideri diversi e di coltivare professione, privato e la propria personalità. Scegliere di spendere 4 giorni in ufficio su 7 è la risposta a una crisi che innesca nuovi modi di lavorare resi possibili da una innovazione profonda, culturale prima che tecnologica. E non è banale se a portare questa voce nuova nei luoghi di lavoro siano proprio le donne.

Un esempio? Rosanna Marziale, chef. In una recente intervista ha risposto alle polemiche dei colleghi che si lamentano di non trovare più giovani disposti a fare la gavetta che «non possiamo lavorare 12-14 ore al giorno» tutti i giorni. Semplicemente perché non è sano e la risposta all’esigenza di cucine stellate sempre aperte non è nel sacrificio di pochi ma nel doppio turno. Un modo di lavorare più sostenibile che permette di conciliare, di tenere insieme e non di escludere tutto il resto. Ripensare l’organizzazione del lavoro è la chiave per superare una cultura e una logica che non stupisce provengano da un ambiente prettamente maschile, dal quale le donne per lungo tempo sono rimaste fuori o ai margini

Con la diffusione dello smart working abbiamo affrontato difficoltà, ma anche liberato un potenziale inespresso. Il potenziale della persona. La trasformazione contemporanea però non è solo una questione di genere. Piuttosto è legata all’accelerazione prodotta dall’esperienza pandemica. Il Covid ha costretto tutti e tutte a cambiare abitudini in modo rapido e molto visibile.  I mesi e gli anni di rallentamento del ritmo e di lavoro da remoto ci hanno indotto a riflettere con un impatto diretto sulla vita delle imprese.

Quando abbiamo trasportato il lavoro dai luoghi fisici a quelli virtuali non abbiamo solo cambiato spazio o adattato una scrivania, abbiamo trasformato il nostro approccio, abbiamo affrontato difficoltà profonde, ma anche liberato un potenziale prima inespresso. Il potenziale della persona. Spesso per molti e molte andare in ufficio significa lasciare a casa una parte di sé, la più intima e personale, per indossare solo un vestito professionale, un ruolo. Non è sbagliato farlo, può essere utile. Ma nel tempo creare una scissione così netta tra chi siamo in ufficio e fuori può generare sofferenza, frustrazione, in casi estremi burnout.

lavoro relazioni
relazion

Se siamo scissi ci sentiamo incompleti. Spesso a farne le spese è la parte di noi più sensibile, più creativa ed empatica, più disposta a mettersi in gioco, la nostra parte migliore di cui le imprese avrebbero invece un gran bisogno. Proprio qui infatti troviamo le risorse per relazionarci meglio, per risolvere i problemi in modo più originale, per sperimentare e per collaborare con le altre persone gestendo il conflitto. In fondo non lo facciamo ogni volta quando torniamo a casa, da genitori, e i bambini bisticciano?

Con lo smart working parte di questa frattura si è ricomposta: abbiamo letteralmente portato il lavoro a casa e la casa al lavoro con i figli, i partner o gli animali domestici di passaggio nell’inquadratura delle riunioni. La vita privata è diventata visibile agli occhi di colleghi e colleghe e ne abbiamo cominciato a parlare. Un comportamento che ci ha restituito un maggiore senso di completezza. Possiamo guardare chi collabora con noi con più empatia, tenendo conto anche delle fragilità e dell’umanità celata spesso dietro un ruolo o una job description. 

Ora è il momento di sperimentare nuovi modelli “umanisti” e strumenti capaci di alimentare l’intelligenza collettiva delle imprese. Quale è la conseguenza della trasformazione umana del lavoro? Dobbiamo sperimentare modelli umanisti per creare aziende fondate non sugli organigrammi e sui ruoli, ma sulla bellezza delle persone e sulla totalità della loro esperienza da cui pescare per innovare e crescere come organizzazioni e team.

Le relazioni contano nell’esperienza quotidiana, anche quando siamo davanti a un computer e seduti alla nostra scrivania

Sono numerosi i modelli che stanno nascendo negli ultimi anni: sociocrazia, oclocrazia, aziende Teal, società benefit. A unirli è il filo rosso dell’intelligenza collettiva, quella creatività e capacità di trovare soluzioni, che emerge quando le persone collaborano curando le relazioni e il proprio sviluppo personale. Sappiamo che la complessità in cui viviamo non può essere compresa da una persona sola al comando, o da pochi individui, ma abbiamo bisogno dell’intelligenza di tutte le persone del team.

Abbiamo strumenti concreti per aiutare la trasformazione delle imprese e per alimentare l’intelligenza collettiva: la facilitazione, il design thinking, i processi decisionali partecipati, il modello di governance sociocratico e l’autorganizzazione.  Permettono di far dialogare le diversità invece di appiattirle, di unire le persone e le idee verso un obiettivo comune. Creano spazi, fisici e metaforici, in cui le persone si sentono sicure di potersi esprimere e di condividere. Di cambiare insieme.

Insomma le imprese sono foreste, abbiamo scritto. Sono fatte di connessioni. Saperle curare non è una eventualità, ma l’unico modo di affrontare pienamente la trasformazione del mondo del lavoro già in atto. 

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