Pierpaolo: “Nel giorno della festa del lavoro vi racconto la mia vita da rider”
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La Spezia - Lavorano sotto pioggia, neve e grandine. Durante il lockdown, insieme ai corrieri, erano tra i pochi a poter uscire. Ma come si svolge il turno di lavoro di un rider e in che modo questa categoria è tutelata? Abbiamo parlato della situazione e della quotidianità dei rider con Pierpaolo Ritrovati, il sindacalista e rider di La Spezia che qualche tempo fa ci aveva raccontato dell’imminente apertura di Casa Riders.
Pierpaolo, raccontaci: com’è la vita di un rider oggi?
Innanzitutto bisogna fare una precisazione, perché al momento ci sono tre tipologie di rider: chi lavora per Just Eat, come noi, assunti con contratto nazionale; rider che lavorano per pizzerie e ristoranti che si appoggiano alla piattaforma, per inserirsi nel mercato e che quindi hanno un contratto differente dal nostro, solitamente legato al commercio; rider che lavorano per piattaforme che non hanno ancora firmato il contratto e quindi lavorano a cottimo.
La differenza sostanziale è la categoria in cui si è inquadrati e la proprietà dei mezzi: chi è assunto da un ristorante solitamente ha a disposizione uno “scooter aziendale”, quindi anche i costi di gestione sono a carico del ristoratore. Nel nostro caso invece la responsabilità dei mezzi di trasporto, così come i costi di manutenzione ed eventuali multe, ricadono sul rider.
E quindi anche la benzina, che con i rincari di questo ultimo periodo ha un peso sulla busta paga.
Infatti. Per il mese di aprile il sindacato ha firmato un accordo per la maggiorazione del 12% sul rimborso chilometrico. Per ovviare definitamente a questo, ci vorrebbe anche qui un parco motorini, un hub come quelli di Roma e Milano: in queste città Just Eat ha messo a disposizione dei suoi fattorini mezzi elettrici con i cui muoversi lungo le vie della città. Con la propria tessera si accede alla struttura, si sceglie il motorino, si indossa la divisa e si riconsegna tutto a fine turno.
Una svolta green, quindi.
Sulla mobilità sostenibile assolutamente. Il punto però è che facendo un bilancio di tutto ciò che consegniamo c’è più packaging che contenuto. Ci sono tantissimi imballaggi: pensiamo al panino, che viene avvolto nella carta la quale viene poi a sua volta inserita dentro un portavivande di cartoncino. Ci sono poi le bibite, con le relative cannucce. Andando a vedere, si producono molti più rifiuti mangiando a casa che al ristorante.
Tornando ai contratti: a parte Just Eat, che ha aderito al contratto nazionale, come funzionano le altre piattaforme?
Le altre funzionano ancora col cottimo e non considerano lavoro subordinato quello che nei fatti è subordinato. Per ridurre al massimo i costi, i rider lavorano sostanzialmente come autonomi, ma hanno un numero definito di ore al giorno. Spero davvero che tutto questo finisca presto, perché questa modalità spinge i ragazzi a lavorare sempre di più e a correre più veloce per le strade.
Lo scorso sabato, per esempio, ho assistito a un incidente: un’auto ha tagliato la strada a un rider. Ho accompagnato il ragazzo in ospedale e aveva paura a farsi firmare il foglio infortunio, perché senza contratto, quando non lavori non ti pagano, resti a casa e basta. E per molti questo è un problema.
Perché allora continuano a optare per queste piattaforme che offrono precarietà mascherata da flessibilità?
Molti colleghi della mia città che lavorano per altre piattaforme studiano all’università di Pisa e lavorano part-time 30 ore alla settimana, che nei fatti è quasi un full time. Oltre a questo la differenza fondamentale è che un lavoro non regolamentato ti nega l’accesso a una serie di possibilità, come un mutuo. Lo stipendio base, per quel numero di ore, è 1200 euro. Certo, il lavoro a cottimo è economicamente più vantaggioso, ma sul piano di contributi pensionistici, mutua e ferie non c’è nulla di nulla.
Insomma, non è detto che il lavoro subordinato non possa prevedere comunque una certa flessibilità: si può studiare tutti insieme – in concerto con i sindacati – un modo, magari aumentando la retribuzione oraria. Qualche soluzione ci vuole e non deve essere il cottimo. Certo è che questo è un bacino di lavoro per moltissime persone che non hanno documenti in regola ed è quindi un ancoraggio, ma alla lunga non è conveniente, soprattutto per il lavoratore.
D’altronde, in caso di infortunio, chi sta a casa un mese resta senza stipendio. Le tutele crescenti riducono i soldi in busta paga, ma sono tutti passi in avanti per non considerarlo un “lavoretto”. Affinché i rider non vengano considerati lavoratori di serie B, una catena di responsabilità ci deve essere, mentre sulla tutela si è investito ben poco. Il mio auspicio è che anche le altre piattaforme aderiscano al contratto nazionale.
Come si svolgono i vostri turni di lavoro?
Non ci sono badge da passare, ma un tornello virtuale all’aperto – solitamente una piazza – presso cui presentarsi un quarto d’ora prima dell’inizio turno. Il mio, per esempio, è 18:30-21:30. Si accede allo starting point, dove si effettua un controllo del veicolo – luci clacson, ruote, pneumatici –, compilando un google form. Quando il timer segnala l’inizio del turno, si clicca sul pulsante Play e semplicemente si aspettano pizze, sushi, pinse e hamburger da consegnare. Se non arrivano ordini si resta allo starting point e si chiacchiera con i colleghi. E se piove ci si bagna.
La quotidianità è un po’ diversa per chi lavora per le altre piattaforme, che non hanno la certezza di una retribuzione. Si può lavorare ininterrottamente dalle 11 alle 23 e verso la bella stagione si prosegue fino a mezzanotte, l’una. Loro restano online e si posizionano più vicino possibile all’ingresso dei ristoranti dove c’è più affluenza.
Nella loro app sono evidenziate le zone più “calde”. E vederli tutti lì vicini uno all’altro in attesa del sacchetto da consegnare dà l’idea di come si combatta per un pezzo di pane. Il punto è che è l’algoritmo che comanda: più consegne fai più te ne vengono assegnate. Se ne fai poche, te ne arrivano meno. Se resti online 12 ore sei in posizione alta in classifica. Ma questo sistema un po’ di frenesia te la mette, ne va della qualità della vita.
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