21 Apr 2022

Riccarda Zezza: la maternità è il master più qualificante – Io Faccio Così #350

Scritto da: Daniel Tarozzi
Riprese di: PAOLO CIGNINI
Montaggio di: EZIO MAISTO

Riccarda Zezza è un’imprenditrice che sta cercando di rivoluzionare il mondo del lavoro attraverso una formazione che permette di concepire la maternità come un momento in cui si acquisiscono nuove competenze utili non solo nella vita privata, ma anche nella vita lavorativa. Partendo da questa riflessione ha creato una serie di progetti finalizzati a generare un cambiamento culturale e professionale profondo.

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Sento parlare di Riccarda Zezza da molti anni, ma finalmente – in occasione dell’incontro organizzato da Ashoka a Torino lo scorso dicembre – ho l’occasione di incontrarla e di intervistarla. Amo il mio mestiere perché mi permette di fare tutte le domande che uno spesso vorrebbe porre ma non può per timore di essere invadente. Domande che, allo stesso tempo, consentono di conoscere almeno un po’ una persona in un tempo ridotto.

Riccarda è una potenza. Lo avverto subito e quando mi presenta il suo progetto capisco che con quella determinazione avrebbe potuto realizzare qualsiasi cosa. Riccarda è imprenditrice sociale, innovatrice e mamma, nonché fondatrice di Lifeed, la società di education technology a impatto sociale che dal 2015 attraverso un metodo di apprendimento proprietario, il Life Based Learning, trasforma le transizioni di vita e le relazioni di cura in momenti di apprendimento e di sviluppo delle competenze soft. I due ruoli – madre e imprenditrice o professionista – vengono spesso messi in contrapposizione.

Riccarda non si è limitata a trovare una conciliazione tra questi due mondi ma, come insegna la permacultura, ha deciso di trasformare un apparente “problema” – la maternità – in una “soluzione”. Si è infatti resa conto che poche cose portano l’essere umano a sviluppare competenze come la maternità e ha deciso di mettere questa intuizione a sistema.

TUTTO HA INIZIO DURANTE IL CONGEDO DI MATERNITÀ

Durante il suo congedo di maternità, Riccarda aveva notato di aver migliorato e accelerato alcune abilità relazionali come l’empatia, la capacità di ascolto, la capacità di cogliere dettagli, piccoli cambiamenti nonché l’abilità di motivare gli altri. Aveva anche acquisito competenze organizzative, una migliore gestione dei tempi e dei momenti di cambiamento e la capacità di sviluppare una visione per il futuro: competenze creative, di comprensione e di gestione del cambiamento necessarie oggi per far fronte alla complessità della realtà e della vita.

Le competenze acquisite durante i congedi di maternità avevano superato quelle acquisite durante le formazioni aziendali alle quali aveva partecipato e lo stesso valeva per le altre donne con cui si era confrontata. Queste nuove qualità inoltre erano essenziali anche all’interno dell’azienda. Riccarda ha quindi deciso di licenziarsi, confrontarsi con altre mamme lavoratrici e intraprendere un lavoro di ricerca che facesse emergere le numerose evidenze scientifiche che testimoniano quanto siano evidenti le competenze acquisite quando si diventa madri.

riccarda zezza

Nasce così MaaM, la Maternità è come un Master, una formazione per il mondo aziendale e per i datori di lavoro che permette di considerare il congedo di maternità e l’assistenza dei genitori non come un peso, ma come un periodo utile a sviluppare competenze necessarie per lo sviluppo personale e professionale. «Ho sempre pensato che la maternità potesse essere vista come un master. Avevo voglia di disinnescare questa visione obsoleta della maternità come problema».

La tecnologia mi ha aiutato molto, perché mi ha consentito di raggiungere numeri ragguardevoli: 30.000 partecipanti, 80 aziende in tutto il mondo. Lavoriamo affinché momenti di transizione della propria vita – cambio di lavoro, casa, separazione, maternità, paternità – possano essere vissuti come un’opportunità per allenare delle competenze importanti» racconta Riccarda.

Tra gli obiettivi c’è anche quello di stravolgere il modo di pensare delle imprese riguardo al congedo parentale. Le donne che vivono un congedo di maternità positivo saranno di maggiore supporto all’azienda, manifestando un morale alto e una maggiore produttività. È una maniera diversa di concepire un equilibrio tra lavoro e vita personale. Una strategia che è rivolta non solo al ruolo delle donne, ma anche a quello degli uomini.

OLTRE IL CONGEDO DI MATERNITÀ

«Il congedo di maternità è troppo poco oggetto di dibattito. In Italia la durata è di 5 mesi, vissuti come un’assenza e un costo insostenibile. Il congedo di paternità è più breve e questo lo rende meno difficoltoso. Una maggiore condivisione dei tempi di congedo di madre e padre renderebbe il problema universale, ma anche un’opportunità universale. C’è un dibattito in corso per l’estensione di questo diritto. Si può evitare che venga percepito come un’assenza», ci racconta Riccarda Zezza durante l’intervista che potete trovare qui sotto.

La pandemia ci ha insegnato molto sotto questo punto di vista: «Lavorare in un luogo che non sia l’ufficio – spiega Riccarda Zezza – è stato come un grande congedo di maternità collettivo, globale e condiviso. Improvvisamente abbiamo visto le case delle persone, le loro dinamiche familiari, ci siamo resi conto che tutti, e non solo le neomamme, abbiamo famiglie e siamo carichi di “cura”, responsabilità, gioie e dolori. La prospettiva sta cambiando, non tanto verso la maternità di per sé, ma verso un concetto più ampio della relazione vita/lavoro».

Le donne continuano a condividere un peso maggiore nel lavoro domestico e nell’assistenza all’infanzia rispetto ai padri, con grandi implicazioni sulle opportunità di carriera. Il World Economic Forum’s Global Gender Gap Index colloca l’Italia alla 110esima posizione per la partecipazione delle donne nella società e nell’economia. Le ragioni sono molteplici e intricate e dimostrano l’inefficienza e l’inadeguatezza del sistema che non è sostenibile per tutti.

Secondo Riccarda, un maggior utilizzo di MaaM nella cultura aziendale permetterà anche agli uomini di essere “mandati a casa” per esercitare quelle “soft skills” manageriali a cui attualmente i dipendenti vengono formati attraverso esperienze di vita artificiali fatte in corsi di formazione professionale (corso di sopravvivenza, simulatori di volo, ecc.). Durante i suoi seminari gli uomini spesso si alzano e dicono: “Vorrei avere il tempo di prendere un Master in Paternità”.

Se solo il sistema lo permettesse e i loro datori di lavoro non si aspettassero automaticamente che sia la madre a distaccarsi dal lavoro, sarebbero tanti gli uomini a fare questa scelta. Se donne e uomini lavorassero per una più equa condivisione dei doveri, del piacere e dell’apprendimento che deriva dalla cura di un bambino, un cambiamento nella legislazione sarebbe più accessibile.

E LA PATERNITÀ?

Per questo Riccarda ha iniziato a includere gli uomini non solo nei suoi programmi genitoriali, ma anche nel suo spazio di co-working. Subito dopo aver lasciato l’azienda in cui lavorava, ha creato il primo spazio di co-working in Italia con area bambini: Piano C a Milano1.

Avevo voglia di disinnescare questa visione obsoleta della maternità come problema

Un’alternativa tra il piano A, la carriera, e il piano B, la famiglia. Un luogo dove le madri potessero condividere le loro esperienze, lavorando anche a nuovi progetti innovativi. La presenza di un asilo nido ha consentito alle donne di alternare lavoro e assistenza al proprio figlio. Il modello è stato replicato anche in altre città.

«Quando ho pensato a Piano C mi sono domandata come mai non ci avesse pensato qualcun altro. In seguito ho capito le difficoltà: è molto costoso mettere insieme due business, il co-working e il co-baby. È difficile trovare la stabilità economica per rendere questo servizio accessibile, senza costi esagerati e sostenibile nel tempo. Dopo dieci anni Piano C esiste ancora, anche se ho lasciato il ruolo di presidente perché credo sia giusto così».

Per questo suo impegno, Ashoka l’ha selezionata tra i migliori innovatori sociali del mondo. «In uno dei miei lavori precedenti mi occupavo di progetti sociali in Europa, Medio Oriente e Africa. Conoscevo e ammiravo moltissimo Ashoka, mi sembravano eroici e mai avrei immaginato di farne parte. Da manager di una multinazionale ad Ashoka fellow! Un’organizzazione internazionale così riconosciuta e importante ti mette in rete con altri pazzi come te e aiuta moltissimo, con risorse e iniziative. Porta il tuo progetto in giro per il mondo, dandogli credibilità».

«Se non uniamo le forze siamo solo belle storie da raccontare», conclude Riccarda Zezza. «Ashoka mi fa sentire meno sola e ha contribuito ad accelerare il processo. È un momento difficile, perché vedo i limiti di questo paese: noi adulti siamo chiamati a prenderci la responsabilità del futuro da lasciare alle nuove generazioni. Spero in un’Italia che riesca a sviluppare un modo nuovo di guardare all’educazione, all’istruzione, ai bambini e ai ragazzi. E siamo noi adulti a doverlo fare».

1 – Riccarda Zezza ha lasciato Piano C a inizio 2019. Oggi l’associazione, con la sua presidente Sofia Borri, non è più un co-working, ma continua il suo lavoro a fianco delle donne, occupandosi di empowerment femminile, riprogettazione professionale, formazione e sviluppo di carriera.

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