29 Apr 2022

Buona festa dei lavoratori! Ma le lavoratrici? A colloquio con la sociologa Chiara Gius

Scritto da: Francesco Bevilacqua

Il mondo del lavoro è un terreno fertile in cui germogliano facilmente le differenze di genere. Originate da un approccio culturale asimmetrico, danno luogo a gravi scompensi ai danni delle donne in termini economici e occupazionali. Ne abbiamo parlato con la sociologa Chiara Gius, da anni impegnata nel contrasto alla violenza di genere.

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Buon Primo Maggio! Buona festa dei lavoratori! Un attimo… e le lavoratrici? Questa consuetudine radicata di generalizzare il plurale utilizzando sempre la forma maschile esemplifica bene il ritardo culturale che c’è oggi in Italia rispetto alla questione di genere. Non fa eccezione il mondo del lavoro: cogliamo dunque questa occasione per riflettere sul ruolo delle donne insieme a Chiara Gius, sociologa e ricercatrice presso l’Università di Bologna.

Quasi ovunque e quasi sempre si parla di “festa dei lavoratori” e molto meno di “festa delle lavoratrici”. Ma quanto contano le parole nel contrasto alla disparità di genere?

Le parole sono sempre importanti. Parlare di lavoratrici e non solo di lavoratori significa mettere a fuoco l’esistenza di una serie di problematiche legate al mondo del lavoro che investono in maniera diversa le donne rispetto agli uomini. Parlare di donne lavoratrici significa non potersi esimere dal parlare di disuguaglianze, siano esse legate al diverso accesso alle professioni che caratterizza i generi – ad esempio perché ci sono così poche donne occupate nell’industria high-tech e nei STEM –, alle differenze nei livelli occupazionali oppure al disuguale andamento delle carriere – il così detto “soffitto di cristallo” – e delle retribuzioni – il così detto “pay gap”.

chiara gius lavoratrici
Chiara Gius

Inoltre parlare di lavoratrici significa parlare di diritti tenendo in considerazione le esigenze legate alla conciliazione vita-lavoro e come queste impattano in generale sulle politiche di welfare. Dare un nome alle dinamiche che attraversano il lavoro delle donne significa non solo imparare a riconoscerle, ma anche essere in grado di porre in evidenza i problemi che si frappongono alla costruzione di una società più equa così da sollecitare la definizione di policy espressamente mirate alloro superamento.

L’ambito lavorativo e quello economico in generale si fondano su equilibri di potere e, spesso, di sfruttamento e prevaricazione. Storicamente si è sempre insistito sulla lotta fra ricco e povero, padrone e dipendente, ma esiste anche una dicotomia lavoratore e lavoratrice?

Le ricerche che si interrogano sulle modalità attraverso cui uomini e donne ripartiscono il proprio tempo suggeriscono che gli uomini, pur lavorando più delle donne, hanno più tempo libero a loro disposizione. Gli uomini hanno più tempo per praticare sport, per leggere un libro o più semplicemente per riposarsi o svagarsi. Questa maggiore disponibilità temporale si fonda nella sua quasi totalità sul lavoro delle donne, che gestiscono in autonomia i carichi derivanti dal lavoro riproduttivo, da quello di cura, e dal lavoro famigliare.

La maggiore disponibilità temporale di cui godono gli uomini svolge un ruolo fondamentale nel determinare la diversa progressione lavorativa che contraddistingue i lavoratori dalle lavoratrici. Ad esempio, proprio per le ragioni indicate sopra, gli uomini hanno più tempo per dedicarsi ad attività di networking con i colleghi o con i superiori che potrebbero rilevarsi essenziali per sostenere la progressione verticale delle loro carriere. Inoltre, per queste stesse ragioni, gli uomini vengono percepiti in ambito lavorativo come maggiormente disponibili e affidabili. Questa disuguaglianza crea un vantaggio competitivo per i lavoratori impossibile da colmare per qualsiasi lavoratrice.

Com’è uscito il mondo del lavoro femminile dalla pandemia?

Il lavoro femminile è uscito dalla pandemia ulteriormente indebolito. L’epidemia di Covid-19 ha innestato una crisi economica che ha investito in modo particolare il settore dei servizi, un comparto economico fortemente caratterizzato dalla presenza di un elevatissimo numero di lavoratrici. Le donne durante la pandemia hanno perso il lavoro più degli uomini e sono state costrette maggiormente a casa, sia perché chiamate a rispondere alle esigenze di cura di bambini piccoli e anziani, sia in ragione del fatto che molti settori ad alta occupazione femminile non sono stati considerati prioritari nella riapertura del paese. Inoltre, quando al lavoro, le donne hanno ricoperto mansioni che le ha viste maggiormente esposte al rischio sanitario.

La chiave per superare il divario di genere passa esattamente dalla costruzione di una nuova alleanza fra uomini e donne

È importante notare che l’indebolimento dell’occupazione femminile rappresenta una inusuale inversione di tendenza rispetto alle dinamiche che solitamente si innestano nei periodi di crisi economica. Tradizionalmente infatti nei momenti di crisi sono i lavori ad alta occupazione maschile a subire importanti contrazioni da cui generalmente deriva un allargamento dei livelli di occupazione femminile poiché è proprio attraverso il lavoro delle donne che le famiglie trovano il modo di compensare, almeno in parte, le perdite di reddito generate dalla mancata occupazione maschile.

Per dirla in altre parole, se nelle crisi precedenti il lavoro delle donne appariva come una risposta alla crisi, nella crisi pandemica assistiamo esattamente a una importante inversione di tendenza. Ad aggravare ulteriormente il quadro c’è la consapevolezza che, soprattutto in ragione delle disuguaglianze strutturali già presenti ai danni delle lavoratrici, potrebbe volerci molto tempo affinché l’occupazione femminile possa tornare ai livelli pre-pandemici.

Svestendo per un attimo i panni della ricercatrice e indossando quelli della donna che lavora, puoi descriverci le sensazioni che provi nella tua attività professionale rispetto al divario di genere?

È come correre una maratona in cui tutti gli altri concorrenti non portano pesi mentre tu sei costretta a concorrere con uno zaino da venti chili sulle spalle e con le scarpe slacciate e di due numeri più piccoli. Il percorso è lo stesso per tutti, ma le tue possibilità di arrivare in fondo sono poche e la tua probabilità di successo è scarsa. È una sensazione infuriante quella che ti percorre, ma per la maggior parte del tempo è soprattutto sfinente.

Ritieni che il superamento del divario di genere possa passare da una nuova alleanza fra donne e uomini? Se sì, su che basi si dovrebbe fondare?

Per rispondere a questa domanda torno un secondo alla pandemia. Molte studiose femministe hanno infatti visto nella crisi pandemica non solo un momento di grave difficoltà per il lavoro femminile, ma anche una grande e forse irripetibile opportunità per ripensare la distribuzione dei carichi famigliari tra gli uomini e le donne. Intendiamoci, le donne – soprattutto nei periodi di lockdown – hanno sostenuto in larga misura il maggior carico portato dalla crisi pandemica, ma gli uomini, anch’essi spesso rimasti a casa perché impossibilitati a recarsi al lavoro, non hanno potuto sottrarsi a loro volta dall’ampliare la loro partecipazione al lavoro domestico.

lavoratrici

Questo per dire che la chiave per superare il divario di genere passa esattamente dalla costruzione di una nuova alleanza fra uomini e donne che si fonda sull’assunzione di una nuova consapevolezza, soprattutto da parte degli uomini, delle ragioni che sottostanno ai vari privilegi e della volontà di, almeno in parte, rinunciarvi.

I modelli educativi attuali sono spesso caratterizzati da approcci discutibili sia al lavoro che alle tematiche di genere. Su cosa si dovrebbe investire a tua avviso per crescere bambini e bambine consapevoli rispetto a queste due tematiche cardinali?

È un argomento molto complesso. Quello che è necessario apportare è un cambiamento culturale che vada nella direzione di una revisione degli stereotipi di genere in grado di sovvertire l’immaginario tradizionale che vede inevitabilmente il femminile legato a determinati ruoli e il maschile ad altri.

È necessario uno sforzo collettivo per rivedere tali immaginari. Tale sforzo investe i modelli educativi, ma anche il mondo dei media, del giornalismo e le pratiche che caratterizzano la nostra quotidianità. È sullo svelare quello che diamo per scontato in particolare, che è necessario lavorare per promuovere alternative che siano credibili ed efficaci. Banalmente, se una persona piccola sentirà parlare di parità tra i generi ma tale principio non verrà tradotto in gesti concreti e riconoscibili all’interno della sua esperienza di vita, tale idea difficilmente verrà considerata rilevante o praticabile.

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