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Da quando, oltre un anno fa, ha ricevuto la fiducia di Camera e Senato, il Governo Draghi è circondato da un’aura di infallibilità. Forte dell’appoggio di quasi tutto l’emiciclo parlamentare, nonché di buona parte della stampa nazionale, e in assenza di una opposizione vera e propria, in pochi sembrano nella posizione di criticare l’esecutivo o di contestarne l’operato. D’altronde, come si fa ad attaccare il “Governo dei migliori”, “di unità nazionale”, dei “salvatori della patria”?
Eppure, decreto dopo decreto, fiducia dopo fiducia, un tarlo ha iniziato a farsi strada in alcuni pensatori: e se i migliori non fossero tali nel gioco più importante, quello della democrazia? Già, la democrazia: sulle pagine di Italia che Cambia abbiamo spesso criticato – in primis chi scrive – il modello della democrazia rappresentativa elettorale, in quanto poco adatto a gestire la complessità. Ma non saranno di certo queste “scorciatoie” a guarire i problemi della nostra democrazia.
Pochi giorni fa è uscito Eclissi di Costituzione. Il governo Draghi e la democrazia, di Tomaso Montanari, edito da Chiarelettere. Montanari, per chi non lo conoscesse, è uno storico dell’arte. E “come ogni storico dell’arte che si rispetti” – ci dirà lui stesso – è uno studioso e appassionato della Costituzione. Montanari sembra dar voce a un sentire sempre più diffuso e non ha timore di affermare, senza mezzi termini, che questo Governo vede la democrazia come un ostacolo. Lo abbiamo intervistato.
Il tuo libro sembra scritto per un’urgenza comunicativa, è così?
Sì. L’urgenza è che pochissime sono le voci critiche verso le azioni di questo Governo. C’è un problema di conformismo, una sorta di aurea di intoccabilità dell’esecutivo, che per la verità da quando ho iniziato a scrivere questo libro a oggi è diminuita, ma comunque permane. C’è una retorica da ultima spiaggia, da padri della patria in azione che “si degnano” di salvare il paese.
Il dibattito sul conflitto in Ucraina sembra seguire il solco di questa tendenza…
Mi ha molto colpito che in queste settimane terribili di guerra, in molti si siano stupiti che soggetti politici come i sindacati, che cercano il conflitto sociale, si siano detti contrari al conflitto armato. Mi ha lasciato basito perché le due cose sono alternative: mettere in azione un conflitto sociale pacifico è proprio il mezzo per evitare conflitti armati o cruenti. All’opposto, la rimozione del conflitto sociale, la retorica dell’unità, è invece sintomo del fatto che siamo in guerra. Lo si diceva già ai tempi della pandemia, adesso la guerra è arrivata davvero e siamo in guerra anche noi, anche se non viene detto.
Quali conseguenze politiche ha questa situazione?
Questa retorica dell’unità agisce come tappo su una pentola a pressione, una cappa che impedisce al conflitto tra gli interessi di pochissimi e l’interesse generale di esprimersi. Con esiti come l’astensione di massa dalle elezioni. Questo è in un certo senso un Governo dei migliori: un Governo aristocratico che incarna gli interessi dei migliori, dei più ricchi. Dire questo è ovvio? Sì, me ne rendo conto, ma nella favola di Hans Christian Andersen I vestiti nuovi dell’imperatore, quando il bambino grida “Il re è nudo!”, anche se è ovvio, viene preso a mazzate lo stesso.
Nel libro parli anche del Pnrr, il piano della ripresa post pandemica, in chiave ecologica. Qualcosa è andato o sta andando storto anche lì?
Il Pnrr nasce, nelle intenzioni dell’Europa, per rendere in grado gli Stati di essere più resilienti rispetto al ritorno della pandemia. Quindi mi sarei aspettato un investimento importante, di almeno la metà dei soldi, nella sanità. Invece alla sanità è stata destinata una frazione molto piccola e la previsione della spesa sanitaria per il 2024 rispetto al PIL è persino minore rispetto a prima della pandemia. Basterebbe questo a dire che ci stanno prendendo in giro, che il Pnrr nasce per un motivo e in realtà ne persegue un altro.
Quale?
Di fatto il Pnrr in Italia non è stato inteso come una leva di cambiamento, ma come una leva – ancora una volta – di finanziamento pubblico dello stato delle cose. Io lo vedo come rettore di un’Università: questi soldi andranno a finanziare posti precari, di ricercatori che non potranno essere confermati nel ruolo definitivamente, creando una nuova sacca di precarietà. Ci sono soldi pubblici che passano alle università private che guidano le cordate della ricerca, diamo soldi alle multinazionali per fare ricerca.
Quale idea c’è della transizione ecologica dietro a queste operazioni?
C’è un’idea di ambientalismo industriale – molto ben incarnato da Cingolani – che non pratica una vera transizione ecologica, la quale invece inevitabilmente comporta anche una transizione di mentalità, culturale, credo necessariamente di riduzione, di decrescita. Draghi, nel discorso a Rimini del 2020, dice – parafrasando – che la crescita è ancora l’unico imperativo assoluto. Poi aggiunge anche che questa avverrà nel rispetto dell’ambiente e senza umiliare le persone, ma oggi sappiamo benissimo che questa cosa è impossibile, che una crescita continua crea disuguaglianza, distruzione dell’ambiente, e anche lui lo sa.
Eppure la difesa dell’ambiente è stata inserita anche in Costituzione. Questo è positivo, no?
Non proprio. La modifica all’art 9 della costituzione, di cui poco si parla, è stato uno schiaffo terrificante, un precedente mostruoso, di modifica di uno dei principi fondamentali. Voglio vedere chi fermerà la destra estrema quando metterà le mani sull’articolo 3, dopo questo precedente.
In che senso sarebbe sbagliato?
La Corte Costituzionale ha già chiarito più volte che che l’ambiente stava dentro la nozione del paesaggio. Mettere, come si è fatto, l’ambiente contro il paesaggio ha uno scopo molto chiaro: favorire l’ambientalismo industriale, poter mettere le pale eoliche o i pannelli fotovoltaici anche in luoghi dove non andrebbero.
Intendiamoci, le rinnovabili sono fondamentali e mai come oggi con Putin lo vediamo, ma il problema è dove si mettono in un paese come l’Italia. In Sicilia stanno vendendo terreni agricoli in quantità mostruosa per fare pannelli fotovoltaici ed è un problema. Non si mettono sui tetti delle periferie, ma si mettono consumando suolo agricolo, campagna. Non vedo una transizione, vedo una grande speculazione sull’ambiente, un’operazione di greenwashing con i soldi pubblici.
Parli di gerontocrazia. C’è anche un tema anagrafico in questa crisi di democrazia?
È un tema scivoloso perché si cade nella retorica della “rottamazione” usata da Renzi. Eppure c’è un tema generazionale. Io, che ho 50 anni, sono vecchio per governare questo paese perché bisogna avere uno sguardo lungo, non miope ma presbite, che porti a vedere male gli interessi vicini e bene gli interessi lontani, come si diceva ai tempi della costituzione. Gli orizzonti di vita molto brevi, salvo pochi casi profetici come quello del Papa – che ha 86 anni e parla come un ventenne – non garantiscono uno sguardo lungo.
L’urgenza della salvezza del pianeta non è così chiara a chi ha 70 anni. Non per caso il fatto politico più rilevante del mondo in questi anni è, mi pare, il movimento Fridays for Future, iniziato da Greta Thunberg. Mia figlia a 12 anni non sapeva chi fosse il Presidente della Repubblica, ma faceva i cartelloni e andava in piazza per dirci che il suo futuro è massacrato.
Ti occupi di Costituzione e sei un esperto di bellezza. È vero che la nostra Costituzione è la più bella del mondo?
Chi l’ha detto l’ha anche massacrata, quindi bisogna guardarsi dalla retorica. Io sono uno storico dell’arte. Ogni storico dell’arte che abbia consapevolezza di sé finisce per occuparsi della Costituzione, perché l’art. 9 basa il nostro Paese anche sul patrimonio storico-artistico e sul paesaggio. Credo che la Costituzione sia straordinariamente attuale, anche bella se vuoi. Calamandrei nel ‘55 parlando ai giovani diceva che la Costituzione è una polemica contro lo stato delle cose, è un invito a cambiare tutto, è dalla parte dei più giovani.
Un’idea diversa da quella di Draghi…
Draghi dice che “capiamo le proteste ma bisogna evitare che si trasformino in una contestazione di tutto l’ordine esistente”. Capiamo come siano visioni molto distanti. Per Calamandrei la costituzione era una leva per cambiare tutto. È il progetto di un paese giusto, che non aveva mai avuto una rivoluzione e sperava di farla pacificamente attuando la carta costituzionale. Se la Costituzione fosse attuata ci sarebbe l’eguaglianza sostanziale, almeno tendenzialmente. Invece la diseguaglianza aumenta.
La nostra Costituzione è bella perché ha dentro tutti gli strumenti per trasformare la società nell’interesse generale e invece viene negata a massacrata a favore di pochi. Togliatti diceva, citando Dante, noi siamo quelli che camminano al buio, ma portano dietro le spalle una lanterna per illuminare chi vorrà. Quella lanterna era la Costituzione, loro avevano camminato nel buio e la lampada serviva a noi. Questo progetto è stato sentito come un progetto prima pericoloso, oggi inattuale, invece è attualissimo. È bella, ma soprattutto giusta.
Di fronte a processi di portata storica come quelli che descrivi, una persona che legge il tuo libro, cosa può fare? Cosa possiamo fare come individui e società?
Io non sono un leader politico, né un profeta. Non vorrei dire agli altri cosa devono fare. Provo a fare la mia parte, a proporre un punto di vista critico. Ecco, forse sviluppare il pensiero critico è la risposta migliore che posso immaginare. Stiamo per spendere nelle armi il 2% del PIL. Nell’università, nella ricerca, in cui risiede il pensiero critico, spendiamo lo 0,3%.
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