Ecco cosa manca perché le comunità energetiche siano davvero una rivoluzione
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Immaginate una rete stradale senza segnali né cartelli. Le mete da raggiungere sarebbero innumerevoli, ma in assenza di indicazioni sulla direzione da prendere, come fare per per arrivarci? La situazione attuale delle comunità energetiche in Italia – ma anche in altri paesi europei – è un po’ questa, laddove le strade sono la rete energetica, le mete sono i modelli di produzione e consumo a basso impatto sociale ed ecologico e infine le leggi sono i cartelli che indicano il percorso.
Delle comunità energetiche abbiamo iniziato a parlare dettagliatamente nelle prime puntate del nostro dossier dedicato a questo tema. L’entusiasmo giustificato dalle enormi potenzialità che le CER racchiudono va però bilanciato dalla prudenza necessaria per approcciarsi alla traduzione in fatti di ciò che a volte manca o non è neanche ancora stato messo nero su bianco.
QUALI SONO GLI INTOPPI?
«In tutta Europa ci sono gravi problemi, anche se quello relativo alle CER è un provvedimento che potrebbe dare una svolta significativa all’assetto energetico», spiega Cristiano Bottone, figura di riferimento del movimento delle città in transizione, ricercatore e collaboratore esperto di energia. «Si è arrivati a fare una legge europea con un intento preciso che però, nelle dinamiche di recepimento, ogni paese trasforma attraverso tantissime mediazioni».
Secondo Cristiano quindi, il percorso che porta dal testo di legge che istituisce le comunità energetiche alla loro effettiva realizzazione – passando attraverso decreti che in ogni Stato membro recepiscono e attuano la normativa europea – è particolarmente complesso. A contribuire a tale complessità è un concorso di fattori. Ad esempio, «il nostro sistema elettrico non è stato pensato per le CER e deve subire una articolata evoluzione, che dipende dal mix energetico e da tanti altri aspetti tecnici».
Le criticità sono molteplici e si riferiscono a diversi ambiti, dalla tecnologia alla burocrazia, dalla contabilità alla responsabilità legale. «Dall’altra parte – sottolinea Cristiano Bottone – c’è il fatto che questa novità non è gradita a chi gestisce la produzione centralizzata. Se il modello delle comunità energetiche si sviluppasse nel tempo sarebbe una vera rivoluzione sistemica ed è prevedibile che chi detiene l’egemonia cerchi di ostacolare questo processo o quantomeno di imporvi proprio dominio».
L’INCOGNITA NORMATIVA
Ad oggi uno degli aspetti che suscitano più interrogativi è quello che riguarda il quadro normativo: «In questo momento nessuno è in grado di indicare in modo chiaro quale sarà la meccanica definitiva dei processi di costituzione e funzionamento delle comunità energetiche», denuncia Cristiano. «Ogni volta che il legislatore ci mette le mani cambiano le carte in tavola e per questo motivo non si riesce a programmare nulla con certezza».
Anci, Enea – col progetto GECO –, Aess e molti altri enti lavorano da due anni sul tema delle comunità energetiche, ma non riescono a chiudere i progetti perché ci sono troppi passaggi tecnico-burocratici che rimangono nel limbo. «Arera – Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente – dice che fino a settembre, se non oltre, non si decide nulla, quindi come fai a coinvolgere la gente in queste iniziative? Puoi contare solo su persone disposte a rischiare», osserva Bottone.
A proposito di Arera, Legambiente denuncia che questo ente «con la delibera del 22 marzo 2022 ha prolungato la scadenza per l’adozione dei provvedimenti necessari a garantire l’attuazione delle disposizioni del decreto legislativo dell’8 novembre 2021, n. 199 ( RED II), fissata entro 90 giorni dalla data del decreto stesso. Decreto che ha recepito la Direttiva europea in materia di Comunità Energetiche Rinnovabili, stabilendo che i clienti finali possono organizzarsi secondo le configurazioni di cui agli articoli 30 e 31 (CER e autoconsumo collettivo)».
«Scaduti ampiamente i 90 giorni invece – prosegue Legambiente – Arera comunica di avviare i procedimenti, da completarsi entro la fine del 2023, finalizzati a regolare gli aspetti attinenti ai diritti dei clienti finali rientranti nelle configurazioni di autoconsumo, comprendendo, tra l’altro, le forme di risoluzione stragiudiziale delle controversie e le relative modalità procedimentali, anche tenendo conto di quanto previsto dagli articoli 5, 6 e 7 del decreto legislativo 210/21. Un ritardo inaccettabile che di fatto blocca lo sviluppo di questi nuovi sistemi energetici e tutti i vantaggi a essi connessi, a partire dalla possibilità di ridurre i costi in bolletta per amministrazioni, cittadini e imprese».
COME COMPORTARSI?
Cristiano Bottone conclude lanciando due messaggi forti, uno rivolto a enti e cittadini che in questi mesi si stanno cimentando nella costituzione di progetti di comunità energetiche e l’altro a chi dovrebbe definire un quadro normativo più chiaro. «Il messaggio è che da parte del legislatore e degli enti coinvolti serve uno sforzo di chiarezza e linearità e serve il più in fretta possibile, sennò il provvedimento che istituisce le comunità energetiche rischia di essere completamente depotenziato».
«Da parte dei media e dei protagonisti dei progetti attuati sinora e in via d’attuazione – aggiunge Cristiano – serve invece prudenza, perché c’è un sacco di gente che si innamora dell’idea e poi se ne va delusa dalle troppe incognite ancora irrisolte e il rischio di bruciare questo entusiasmo è alto. Una programmazione attendibile si può fare seriamente solo a bocce ferme, con tutti gli elementi chiari».
Quella che le comunità energetiche rinnovabili racchiudono è dunque una grande potenzialità. Allo stato attuale tuttavia non è ancora possibile sapere con esattezza se essa sarà pienamente sfruttabile e come. «Non dico di non parlarne affatto – conclude Bottone – ma di parlarne nella dimensione giusta».
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