Big Quit: in Italia nel 2021 almeno 777.000 persone hanno lasciato il lavoro
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Big Quit, Great Resignation, alcuni la chiamano anche Great Attrition: si tratta di un fenomeno mondiale che vede come protagonisti lavoratori e lavoratrici che, con un contratto e uno stipendio, decidono di lasciare il lavoro, spesso per fare un salto nel vuoto. Il termine è stato coniato da Anthony Klotz, professore associato di Management alla May Business School della Texas A&M University, e infatti si è cominciato a parlare di Big Quit a partire dagli Stati Uniti. Secondo la McKinsey, dall’aprile 2021 a oggi più di 19 milioni di lavoratori hanno dato le loro dimissioni, volontariamente, negli USA.
Sempre la stessa compagnia ha portato avanti un sondaggio che ha coinvolto persone negli USA, in Canada, UK, Singapore e Australia, facendo notare come il 36% delle persone che si è licenziata lo ha fatto senza avere un’altra occasione di lavoro. Questo dibattito è arrivato anche in Italia, dove già da qualche mese si parla di Big Quit – anche se con numeri ridotti – collegato al mondo del lavoro e in particolare alla pandemia come evento scatenante, che in molti casi può aver portato a maturazione riflessioni e desideri di cambiare vita.
Il fenomeno è entrato anche nella comunicazione istituzionale, tanto che il report Il mercato del lavoro: dati e analisi, prodotto dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e pubblicato nell’ottobre 2021, dedica una parte del documento a rispondere alla domanda: “Perché stanno aumentando le dimissioni?”. Nei primi dieci mesi del 2021 infatti, 777.000 persone hanno lasciato volontariamente il posto di lavoro, 40.000 in più rispetto agli stessi mesi del 2020. Fra questi ultimi, il 90% (e cioè 36.000) sono lavoratori occupati nell’industria, prevalentemente nel Nord Italia.
Secondo i dati del Ministero, «Da una parte i lavoratori dipendenti potrebbero essere meno disponibili a lavorare alle condizioni prevalenti, anche per ridurre il rischio di contagio in una fase di progressivo ridimensionamento del ricorso al lavoro in remoto. Dall’altra è possibile che, grazie alla ripresa della domanda di lavoro, un numero crescente di persone occupate lasci la propria occupazione stabile per un’altra». I dati del Ministero infatti, al contrario di quello che sembrerebbe caratterizzare il fenomeno Big Quit, sembra suggerire una correlazione fra dimissioni volontarie e assunzione con un nuovo impiego.
Non ci sono ancora dati in Italia che indaghino una correlazione fra abbandono del posto fisso e cambio vita, ma sicuramente esistono già decine e decine di storie che in parte sono esemplificative del malessere diffuso che persiste nel mondo del lavoro tradizionale e del desiderio di lavorare per vivere e non il contrario.
Secondo la ricerca Employer Brand Research infatti, la scelta del lavoro è sempre più subordinata alla sua sostenibilità: quanto incide sulla vita privata e sulla cura di sé, del proprio tempo libero e delle proprie relazioni? Il benessere psico-fisico sembra essere l’indicatore principale nella ricerca del lavoro, al primo posto rispetto al semplice benessere economico.
Insomma, rispetto alle generazioni precedenti, i Millennials potrebbero aver cambiato parametri di misura: il lavoro non sarebbe più la realizzazione principale nella vita, ma uno degli elementi che contribuisce a mantenerne l’equilibrio. Si parla di questa categoria nello specifico perché secondo l’AIDP (Associazione Italiana Direzione Personale) le dimissioni volontarie riguardano al 70% i giovani fra i 26 e i 35 anni, seguiti subito dopo dalla fascia 36-45. Secondo l’AIDP, questo boom di dimissioni è collegato però non soltanto alle scelte individuali dei singoli, ma anche a una ripresa del mercato del lavoro e alla ricerca di condizioni economiche più favorevoli in altre aziende.
Ad ogni modo i dati, almeno per ciò che riguarda l’Italia, sembrerebbero suggerire cautela: se da un lato è vero che 777.000 persone hanno abbandonato il posto di lavoro, dall’altro va anche detto che in molti casi si è trattato soltanto di un cambio di impiego. Senza contare che si tratta di una dinamica che riguarda prevalentemente il mondo del lavoro del Nord Italia, costringendo dunque a restringere il campo di indagine.
Cambiare lavoro non sempre significa cambiare vita, anche se sempre più persone stanno facendo questa scelta. Sarà importante però monitorare il fenomeno negli anni a venire, quando gli effetti di due anni di pandemia saranno più evidenti e forse porteranno a completa maturazione nuove scelte e futuri prossimi.
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