Abitare la montagna nel post Covid: quale futuro per i territori alpini?
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La montagna da meta turistica a luogo in cui abitare, ma anche protagonista del desolante problema del costruito abbandonato: questi i temi del dossier di primavera di Legambiente dal titolo “Abitare la montagna nel post covid”. Proprio il censimento degli edifici fatiscenti, presenti nelle aree montane della Penisola, rappresenta il cuore e la novità di questo report che analizza 66 strutture – da quelle di piccole dimensioni ai complessi significativi – abbandonate a uno stato di degrado, che necessitano di una strategia mirata: edifici legati all’industria dello sci, ma anche hotel, colonie e caserme di confine lasciati senza una prospettiva.
Tra le cause più frequenti dell’abbandono ci sono diversi fattori: il cambiamento della domanda turistica per assenza di neve, la necessità di ingenti reinvestimenti di ammodernamento, mancati adeguamenti tecnici, scelte imponderate rispetto ai flussi turistici o le speculazioni.
Di fronte questa situazione, Legambiente apre una riflessione e un dibattito sul futuro di questi edifici individuando le soluzioni più adeguate che vanno, a seconda dei casi, dalla demolizione al riuso innovativo. Una strategia che privilegi la riqualificazione del costruito esistente può infatti acquistare un importante significato in un contesto post pandemico in cui è evidente uno slancio del mercato immobiliare in montagna.
Di questo slancio però non dobbiamo dimenticare i rischi, prima fra tutte la possibilità di una crescita del consumo di suolo, che invece dovrebbe essere azzerato. Secondo i dati del Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente (SNPA), in Italia, il consumo del suolo infatti continua a crescere e riguarda anche ambiti montani a rischio di frane e alluvioni, le aree protette, le sponde dei corpi idrici, le valli dove il suolo è più fertile.
IL MERCATO IMMOBILIARE SULLE ALPI
Una sezione centrale del dossier è quella intitolata “Il mercato immobiliare sulle alpi: tra turismo e smart working”, in cui Legambiente mette sotto la lente di ingrandimento 303 località alpine italiane, dalla maggiore vocazione turistica o più colpite dallo spopolamento, incrociando gli ultimi dati Istat disponibili per tracciare un quadro del costruito in alta quota e in particolare del fenomeno delle seconde case.
Dai dati emerge che, dopo anni di stagnazione, il mercato delle seconde case in montagna, specialmente sull’arco alpino, sta vivendo una fase di crescita, sia per la vendita sia per l’affitto, complice anche il Superbonus 110% per la riqualificazione energetica e antisismica. Secondo i dati dell’Ufficio Studi Tecnocasa, nel primo semestre del 2021 la percentuale di chi ha acquistato una seconda casa in montagna è stata del 6,4%, mentre il livello pre-pandemia era del 5,5%. I prezzi medi sono poi saliti dello 0,6%, ma si prevede un aumento, legato anche alla richiesta crescente di case in affitto e all’aumento dei relativi canoni.
LA MONTAGNA CHE SI RIPOPOLA
Quello della richiesta crescente di seconde case possiamo considerarlo un effetto in buona parte legato alla pandemia, che ha portato sempre più persone a cercare nella montagna rifugio perfetto per coniugare i doveri professionali dello smart working con i piaceri di stare a contatto con la natura.
Di questo fenomeno abbiamo raccolto in questi anni diverse testimonianze: primo tra tutti il Comune di Borgomezzavalle (VCO) dove, per rendere nuovamente attrattivo il paese, l’amministrazione sta provando a cedere immobili abbandonati alla cifra simbolica di un euro, con l’impegno da parte di chi acquista di iniziare i lavori di ristrutturazione. Proprio come ci hanno raccontato il Sindaco Stefano Bellotti e la Consigliera Raffaela Girlanda, «è solo necessaria la presentazione di un piano di progetto entro due anni per verificare l’interesse di ristrutturare l’immobile acquistato».
Un altro esempio è poi il Comune di Melle (CN), che da diversi anni, grazie al progetto Antagonisti, sta contribuendo al ripopolamento e al rilancio del paese attraverso l’apertura di attività ricettive e servizi come un pub, una gelateria e un ostello, influendo positivamente sul numero di abitanti del paese, tant’è che l’anno scorso Melle ha rilevato un trend di crescita per la prima volta dopo ben 70 anni.
L’EFFETTO SMART WORKING
Ritornando al discorso sulle seconde case, se fino al periodo pre pandemico queste non erano vissute se non per qualche giorno all’anno e per determinati periodi festivi, sovraccaricando infrastrutture e servizi, la diffusione dello smart working sta cambiando le modalità di utilizzo, influendo anche su alcune dinamiche sociali e economiche.
Un dibattito ampio impone di pensare a una nuova dimensione urbanistica della montagna, dove un buon uso dell’esistente e la rigenerazione del patrimonio edilizio dismesso o sottoutilizzato possono diventare elementi fondamentali per una strategia su vasta scala che abbia per scopo una nuova abitabilità del territorio. «Attraverso questo report, che aggiunge la dimensione abitativa al racconto delle infrastrutture abbandonate di Nevediversa, vogliamo rilanciare il dibattito sul vivere in montagna», ha commentato Vanda Bonardo, responsabile nazionale Alpi Legambiente.
«Proprio la ricerca di soluzioni e prospettive future di questo costruito pensiamo possa giocare un ruolo chiave nell’arrestare il crescente consumo di suolo in montagna. Ma c’è di più: il riuso funzionale di queste ampie volumetrie può costituire un’occasione straordinaria per ripensare l’organizzazione delle comunità in un’ottica di sostenibilità e di sviluppo. Per migliorare i servizi e soprattutto per rendere più efficiente questo straordinario patrimonio edilizio in un momento storico dove ogni azione è utile e importante al fine di uscire dall’era delle fonti fossili e dal consumo di risorse».
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