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In questi giorni concitati di cronaca di guerra, invio di armamenti e negoziati, è difficile parlare di ciò che sta avvenendo in Ucraina, dando anche uno sguardo al passato e contestualizzando un conflitto che sta mietendo centinaia di vittime civili. Eppure è necessario, così come è fondamentale una riflessione sul ruolo delle spese militari da parte degli Stati-nazione all’interno di questo conflitto.
La guerra in Ucraina non nasce dal nulla. Sappiamo che dalla caduta dell’URSS in poi la NATO si è espansa nell’est Europa, estendendosi da 16 a 30 paesi e creando un senso di accerchiamento nei confronti della Russia. Dall’altro lato, neanche la Russia è stata da meno: dal 1999 fino al 2020 la spesa militare del paese si è più che triplicata, passando da 17 miliardi di dollari annui a 61 circa (dati SIPRI – Istituto Internazionale di Ricerche sulla Pace di Stoccolma). E, da quando è scoppiata la crisi in Crimea e in Donbass nel 2014, la tensione è rimasta alta fra le due potenze. Nel frattempo poco è stato fatto, se non investire in modo ingente in spese militari.
La reazione dei paesi europei è una risposta muscolare e banalizzante che vuole agire nell’immediato, ma che è insensata e inutile per risolvere il conflitto
Anche in questo momento la risposta dei paesi europei è bellicista: diversi, fra cui l’Italia, hanno annunciato l’invio di armi e mezzi militari all’Ucraina. La stessa UE, in un discorso della presidente della Commissione Ursula Von der Leyen, ha annunciato una decisione storica: «Per la prima volta in assoluto l’Unione Europea finanzierà l’acquisto e la consegna di armi ed equipaggi per un Paese sotto attacco».
Pochi parlano di pace e pensano a risposte che non siano l’invio di armi. «Non è vero che maggiore spesa militare corrisponde a maggiore sicurezza», commenta Francesco Vignarca, Coordinatore delle Campagne della Rete Italia Pace e Disarmo. «Basti pensare che nel 2020 la NATO ha investito 18 volte di più rispetto alla Russia in spese militari, eppure non mi sembra che questo stia portando alla pace». E poi aggiunge: «Guardiamo all’esperienza di altri conflitti per capire che questi non si risolvono con le armi: pensiamo all’Afghanistan, alla Siria, all’Iraq, tutti paesi dove si è intervenuti militarmente eppure non si è arrivati a una soluzione».
La pace, al contrario, va preparata e costruita nel tempo con politiche adeguate: «Bisognerebbe investire di più nella cooperazione, nella riduzione delle disuguaglianze e nei corpi civili di pace, mentre i dati ci dicono che le spese militari globali sono aumentate dell’87% dal 2001 al 2020 e i fatturati delle aziende che producono armi del 70%, sottraendo risorse al resto», continua Vignarca.
E questo riguarda strettamente anche l’Unione Europea: «La decisione di finanziare l’acquisto di armi da inviare all’Ucraina da parte dell’UE è un punto di non ritorno, ma è stata preparata nel tempo da una continua militarizzazione, come ad esempio è stato fatto con lo European Peace Facility». L’EPF è un sistema di finanziamento militare istituito dal Consiglio Europeo nel marzo 2021 ed è un’evoluzione e ampliamento dei precedenti sistemi (Athena e African Peace Facility). Dispone di 5 miliardi di euro per gli anni 2021-2027 ed è finanziato da contributi annuali degli Stati membri.
La differenza è che per la prima volta l’UE può, grazie a questo fondo, intervenire fornendo armi e assistenza militare su richiesta di paesi terzi. «L’Unione Europea non ha una politica estera e di difesa, eppure in questi anni ha incentivato la produzione di armi, anche perché i produttori ne traggono un grande vantaggio: per l’Ucraina si parla di un giro di 500 milioni di euro legato alle spese militari».
La reazione dei paesi europei «è una risposta muscolare e banalizzante che vuole agire nell’immediato, ma che è insensata e inutile per risolvere il conflitto», aggiunge Francesco Vignarca. E se dietro ci sono diverse motivazioni (geopolitiche e di politica interna), bisogna guardare anche agli interessi economici in ballo collegati all’aumento delle spese militari.
Guardando all’Italia, ad esempio, «ci sono delle vulnerabilità sistemiche e possibili percorsi attraverso i quali l’industria italiana della difesa può esercitare un’influenza indebita sull’agenda politica nazionale in materia di difesa e sicurezza», secondo il report Defence Industry Influence in Italy redatto da Transparency International con il supporto di CILD e Osservatorio Mil€x.
Tutto questo può avvenire grazie a falle normative e in diversi modi: attività di lobbying, think thank, fondazioni e intrecci fra personaggi politici e dell’industria militare. I dati ci dicono inoltre che dal 2015 a oggi l’Italia ha aumentato il budget delle spese militari, arrivando a 26 miliardi stanziati per il 2022, e in questi anni ha partecipato a missioni NATO nell’Est Europa spendendo un totale di 78 milioni di euro.
Un piccolo spaccato di come non si sia seminato per la pace, anche perché adesso si rischia un’escalation. «Bisogna andare a fare protezione diretta e salvare i civili ucraini, non fare finta di averlo fatto», conclude Francesco Vignarca. «Come Rete Italia Pace e Disarmo abbiamo organizzato una manifestazione per la pace che si è tenuto lo scorso sabato 5 marzo e stiamo continuando a fare la nostra parte per ribadire i nostri ragionamenti e fare pressione sulla politica affinché faccia scelte differenti».
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