Nino Sergi di Intersos: “Tre strade per fermare la guerra in Ucraina attraverso il dialogo politico”
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Negli ultimi decenni abbiamo assistito a tante guerre in cui milioni di persone sono state colpite e nulla è stato risolto. Gli effetti sono sotto i nostri occhi e sono sempre gli stessi ovunque domini la prepotenza delle armi. Una politica che non crede più nella forza del dialogo e nell’iniziativa diplomatica è una politica cieca, senza speranza e senza futuro. Per l’Ucraina gennaio sembrava il giusto momento: la tensione tra NATO e Russia era infatti giunta a livelli preoccupanti e pericolosi ed era doveroso intervenire aprendo un dialogo negoziale rispettoso e approfondito.
«L’Ucraina aveva un piede a ovest e l’altro a est, in una duplice tensione con aree sia europee che russe. Avrebbe potuto garantire la propria unità territoriale, la convivenza delle diverse nazionalità, il proprio sviluppo, con ampie collaborazioni sia a ovest che a est, non diventando membro della NATO né dell’Unione eurasiatica trainata dalla Russia, ma vivendo una neutralità attiva riconosciuta», commenta Nino Sergi, fondatore di Intersos, organizzazione umanitaria italiana che si occupa di portare assistenza e aiuto immediato alle vittime di guerre, violenze, disastri naturali ed esclusione estrema.
La realtà è andata in un altro senso, quello di una guerra di invasione e aggressione nemmeno dichiarata. Va ricordato che questa guerra in Ucraina dura da ben otto anni, con l’annessione manu militari della Crimea e la guerra permanente in Donbass. Ciò che non si è voluto fare tra gennaio e febbraio – ma in realtà negli anni tra il 2015 e oggi – occorrerà farlo in condizioni purtroppo ben diverse e svantaggiose per l’Ucraina.
Che Putin mentisse lo sapevamo fin dall’annessione della Crimea, ma qualcuno in quegli anni ha anche mentito all’Ucraina sulla rapida adesione alla NATO e sull’ingresso nell’UE, favorendo così e alimentando la contrapposizione: «L’Occidente dovrebbe ora interrogarsi sul suo porsi troppo spesso con arroganza e supponenza politico-morale di fronte a paesi che non sono più disposti ad accettare ordini e regole di condotta dettate da chi si arroga il potere di farlo, da chi considera di potere – mentendo e fallendo – esportare la democrazia liberale in tutto il mondo, anche con la forza, come è successo. Di fronte alla tensione sull’Ucraina, l’arroganza ha impedito passi intelligenti e forse risolutori», continua Sergi.
Quali vie per fermare la guerra? Secondo Nino Sergi le risposte che si possono abbozzare oggi sono già in parte diverse da quelle che si potevano ipotizzare prima dell’invasione russa. Rimangono però alcune strade fondamentali, premettendo che la principale carta da giocare rimane quella del dialogo politico. Ecco quali:
È proprio così utopico riprendere quell’Agenda per la pace? Forse sì. Ma c’è chi rimane convinto che l’utopia nella politica possa realizzarsi
- Iniziative di carattere straordinario, molto difficili da mettere in atto, che colpiscono e disorientano e proprio per questo possono aprire a nuove prospettive. Immaginate se tra gennaio e febbraio fosse stato convocato il Consiglio di sicurezza a Kiev con l’obiettivo di comprendere e approfondire le intenzioni della Russia, quelle dell’Ucraina e dell’Alleanza atlantica. Oppure immaginate l’effetto di un incontro tra papa Francesco, il patriarca di Mosca Kirill, il primate ortodosso ucraino Epifanij. I danni delle divisioni tra cristiani non riguardano solo il contesto religioso, ma influiscono enormemente anche a livello geopolitico.
- Iniziative possibili e forse efficaci, ma spesso rifiutate anche per arroganza politica e mancanza di visione e di umiltà. La più efficace sarebbe stata un’azione diplomatica con un dialogo politico. Ancora a fine febbraio, il presidente Zelensky si è reso disponibile a parlare della possibilità di uno status neutrale per l’Ucraina, purché ci fossero garanzie da terze parti di sicurezza per il paese. Non ci sono state risposte, solo un’illusoria ipotesi di ingresso nella NATO che nessuno in Occidente aveva mai sostenuto realmente.
Questa via della neutralità è divenuta più complicata perché è tra le richieste di Putin all’Ucraina, accanto alla cessione definitiva della Crimea e altri territori più vicini alla Russia. La neutralità – che molto probabilmente, come la ragione suggeriva, sarà la strada obbligata – può essere un’opzione per l’Ucraina solo se sarà una propria autonoma decisione e non dettata dalla Russia. Ma questo può avvenire solo col negoziato e con lunghe trattative diplomatiche che saranno influenzate dagli esiti della guerra, dagli obiettivi militari raggiunti o dalla indomabile resistenza ucraina e dal peso delle sanzioni alla Russia.
La trattativa potrebbe comportare concessioni dolorose come è successo a Cuba nel 1962. Allora l’accordo tra Kennedy e Kruscev lasciò la possibilità al Cremlino di dire che in cambio del ritiro dei missili da Cuba l’Urss aveva ottenuto la rimozione dei missili Jupiter basati in Turchia. Ma ora per l’Ucraina sarà forse ben peggio. La novità della possibile concessione all’Ucraina – ma anche a Georgia e Moldavia – dello status di Paese candidato all’adesione cambierebbe di molto le carte in tavole e il ruolo dell’UE nei rapporti con Mosca assumerebbe un ben maggiore rilevanza. Ma se Putin conquisterà l’intera Ucraina sarà una disfatta.
Se invece deciderà di non conquistarla pienamente, potrà ottenere di rimanere indefinitamente con proprie truppe in alcuni sue parti, come sta avvenendo dal 2008 in Ossezia del Sud e Abkhazia nella Georgia e dal 1992 in Transnistria, nella Moldavia. A proposito delle armi atomiche, mobilitarsi e combattere per il disarmo nucleare generalizzato e controllato diventa una priorità. Ce ne stavamo dimenticando. Se non si interviene militarmente a sostegno dell’Ucraina, anche solo imponendo una No Fly Zone, è perché Putin ha minacciato l’uso di tali armi in caso di ampliamento del conflitto con altri Stati o alleanze direttamente coinvolti, in caso cioè di un’ipotetica terza guerra mondiale. Putin ce ne ricorda l’esistenza. - Prendendo insegnamento da questa guerra, ma più in generale dalle guerre, dovrebbero essere messe in atto iniziative a livello sovranazionale e internazionale con decisione, senza più tentennamenti. Si tratta del ruolo delle istituzioni sovranazionali, quelle che più di tutto e di tutti potrebbero assicurare la pace e la costruzione. Guardando l’Europa, quanto durerà la spinta al rafforzamento del processo europeo, che non sia solo relativo alla sicurezza comune, ma anche e soprattutto alla visione e realizzazione di un cammino di maggiore unità politica? L’UE appare ancora un soggetto impotente nel contesto geopolitico internazionale. Perfino gli aiuti militari all’Ucraina decisi collettivamente per rafforzare la resistenza di fronte a un’armata imponente sono andati in ordine sparso.
A problemi globali servono risposte globali, multilaterali. Lo sguardo va all’ONU, che sembra essere sparita dalle decisioni che contano, pur rimanendo un fondamentale foro politico per favorire il dialogo, anche tra nemici, la convivenza, l’ampliamento del diritto internazionale e per decidere forze di interposizione per evitare massacri. «I Grandi del mondo non hanno mai voluto cedere spazi di sovranità, mantenendolo debole. Non hanno avuto il coraggio di recepire quanto da loro stessi auspicato il 31 gennaio 1992 nella riunione straordinaria del Consiglio di Sicurezza (per la prima volta al livello di Capi di Stato e di Governo) e successivamente sviluppato dal Segretario Generale Boutros Boutros-Ghali nel rapporto “Un’Agenda per la pace”», ricorda Nino Sergi.
«Il rapporto iniziava così: “Nel corso degli ultimi anni l’immensa barriera ideologica che per decenni ha causato diffidenza e ostilità è crollata. Nel momento in cui le questioni tra gli Stati del nord e del sud crescono più intense e richiedono un’attenzione ai più alti livelli, il miglioramento nelle relazioni tra gli Stati dell’oriente e quelli dell’occidente consente nuove possibilità per contrastare con successo le minacce alla comune sicurezza”. Attualissimo», continua Sergi.
Gli Stati non hanno però voluto cedere alle Nazioni Unite quegli spazi di sovranità e capacità di azione che avrebbero potuto segnare una differente evoluzione nella gestione dei conflitti e nel mantenimento della pace. Hanno prevalso e continuano a prevalere gli interessi particolari, legati a visioni di corto respiro e spesso errate. È proprio così utopico riprendere quell’Agenda per la pace? Forse sì. Ma c’è chi rimane convinto che l’utopia nella politica possa realizzarsi.
Speriamo che queste prese di coscienza non vengano dimenticate. «Quante volte è stato detto “mai più”? Quante volte abbiamo preteso di agire in nome della difesa dei diritti e della dignità umana per poi dimenticarli nel nostro stesso agire e dimenticare le popolazioni in favore delle quali si è preteso di intervenire? Basterebbe pensare alle guerre a cui abbiamo assistito dal crollo dell’URSS, tutte cariche di ipocrisia e incoerenza: dal Golfo, alla Somalia, ai Balcani occidentali, all’Afghanistan, all’Iraq, alla Libia, alla Siria», sottolinea Nino Sergi.
Si ripete quanto già visto e vissuto in tutti i contesti di conflitto con novità importanti. I Governi della regione hanno assicurato l’ingresso a tutti gli arrivi dall’Ucraina e l’UE, con voto unanime dei 27, ha deciso di accogliere i rifugiati ucraini concedendo lo status di rifugiato per la durata di un anno. Non ci sarà una ripartizione per quote nei paesi UE, ma i rifugiati potranno muoversi in tutti i paesi dell’Unione, lavorare, studiare, beneficiare dell’assistenza e di sistemazioni abitative al pari dei cittadini europei. In Italia tutti i partiti sostengono il dovere di questa accoglienza.
L’ONU stima che 12 milioni di persone all’interno avranno bisogno di soccorso e protezione. In Italia potrebbero arrivare 800 mila persone e si sta organizzando un’accoglienza diffusa.
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