18 Mar 2022

Movimenti internazionali contro la guerra: con le armi non vince nessuno

Scritto da: Benedetta Torsello

La guerra è sempre un errore, a prescindere da chi l’abbia causata e a che latitudine si stia combattendo. Questa ferma convinzione dovrebbe far leva sulle coscienze collettive e dimostrare che un’altra soluzione all’abominio della guerra è possibile. Schierarsi, in questi casi, non serve a nulla, se non ad alimentare odio e intolleranza. Se ne è parlato mercoledì sera nel corso del webinar organizzato da PeaceLink, dal titolo “Voci del movimento internazionale contro la guerra”.

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«Viviamo l’11 settembre da tre settimane»: così si è espresso mercoledì Zelensky, al Congresso degli Stati Uniti d’America. In collegamento da Kiev, il suo volto e la guerra in Ucraina erano poco più che immagini, trasmesse a tutto schermo. La guerra non la si può mai capire fino in fondo se non sulla propria pelle. Forse per questo ricorda ai suoi interlocutori quanto faccia ancora male, nonostante siano trascorsi più di vent’anni, quella ferita all’America e all’Occidente, convinto di poter tenere la guerra lontana dalle proprie case.

Il presidente Zelensky ha chiesto ancora una volta di imporre una no-fly-zone sui cieli ucraini, decisione insidiosa che la NATO tarda ad attuare per le conseguenze disastrose che potrebbe innescare. Washington ha comunque garantito il proprio sostegno e nuovi aiuti per un valore di 800 milioni di dollari: ancora armi, ancora guerra.

I movimenti contro la guerra devono cogliere quest’opportunità storica per diffondere la cultura della pace e la consapevolezza che nessuna guerra è degna di essere combattuta. Ne hanno parlato mercoledì sera l’attivista e giornalista David Swanson e il docente universitario David Vine, entrambi in collegamento dagli Stati Uniti in occasione del webinar “Voci del movimento internazionale contro la guerra”, organizzato da PeaceLink, la rete telematica per la pace nata trentuno anni fa ispirandosi ai movimenti pacifisti americani.

LA GUERRA È SEMPRE UNA MENZOGNA

«Se la guerra può essere innescata dalle bugie, la pace può avere inizio con la verità»: questa la ferma convinzione di Julian Assange, a cui è stata dedicata un’attenta riflessione in apertura di serata a cura di Sara Chessa, in collegamento dal Regno Unito. Giornalista per Independent Australia e ricercatrice nell’ambito dei diritti umani e della difesa della libertà di informazione e di pensiero, Sara Chessa si occupa da anni del caso Assange. La battaglia giudiziaria del giornalista australiano è purtroppo ancora molto lontana dal potersi considerare conclusa, a maggior ragione dopo che la Corte suprema britannica gli ha negato pochi giorni fa il diritto di appello.

L’ombra dell’estradizione si allunga sulla vicenda di Assange, ma il suo team legale tenterà ancora di rivolgersi alla Corte europea per i diritti dell’uomo. «In tal caso – conclude Chessa – vi sarebbero ottime probabilità di assoluzione per Assange, ma tempi lunghissimi, scoraggianti: nel frattempo potrebbe essere persino estradato».

COME CI VIENE RACCONTATA LA GUERRA

Della guerra viene fatta una narrazione distorta. Su questo non ha dubbi David Swanson, fondatore della ONG World Beyond War, impegnata da anni a immaginare e quindi costruire «un mondo senza guerra e senza pensieri di guerra». È possibile, certo. Ma bisogna innanzitutto convincersi che le guerre non vanno giustificate in nessun caso, in qualunque parte del mondo si stiano combattendo.

La sua è una critica amara ai media occidentali, americani in primis, che per la prima volta negli ultimi trent’anni raccontano la distruzione e la carneficina della guerra. Sulle colonne dei giornali statunitensi, le vittime delle guerre americane sono rimaste a lungo nascoste tra le righe. «All’indomani dello scoppio della guerra in Ucraina ho provato una profonda tristezza – racconta Swanson –, il rischio che si arrivasse a tanto era altissimo. Washington e la NATO non hanno certo fatto il possibile per contenerlo, anzi. E poi ho provato una strana incredulità: per la prima volta nella mia vita i giornali americani, la TV, davano importanza alle vittime della guerra».

guerra ucraina
INCOLPARE QUALCUNO NON ASSOLVE LA CONTROPARTE

L’opinione pubblica tende sempre di più a polarizzarsi, dimenticando che di fronte alla complessità «la colpa non è un’etichetta da affibbiare», prosegue Swanson. Il Cremlino tanto quanto il blocco NATO non hanno fatto il possibile per evitare questa guerra, che si combatte da otto anni, esasperata dal nazionalismo militante del governo di Kiev e quello degli indipendentisti filo-russi.

In guerra siamo tutti vittime, in un modo o nell’altro. «Un’apocalisse nucleare è uno scenario futuro non così difficile da immaginare, nonostante quarant’anni fa facesse molta più paura di oggi. Forse non dovremmo dimenticarcene», sostiene Swanson. Per non parlare dei rischi climatici e ambientali a cui ci stiamo esponendo noi e le generazioni future: la morte ecologica del nostro pianeta sarà accelerata da questo conflitto.

La condanna della guerra dovrebbe essere unanime e soprattutto senza ipocrisie. «Anche nei movimenti pacifisti – prosegue Swanson – bisogna restare compatti. Ci sono molti russi che sono scesi in piazza e che con coraggio si stanno opponendo alla guerra e altri che, pur ritenendosi contrari a ogni guerra, sentono di giustificarla, perché russa. E questo è un fenomeno perverso, ricorrente anche negli Stati Uniti e in tanti altri paesi del mondo»

CI SONO GUERRE E GUERRE

Lo scoppio della guerra in Ucraina ha fatto piombare l’Occidente in un incubo. Eravamo troppo lontani eppure ci è parso di sentire quelle sirene antiaeree nelle nostre case, a migliaia di chilometri di distanza. E poi ci sono guerre invisibili «in corso da anni, che per questioni geopolitiche, economiche e razziste, non hanno la stessa valenza e visibilità. Guerre che vedono direttamente coinvolto il governo degli Stati Uniti d’America, il mio paese. Mi riferisco alle guerre in Siria, Somalia, Iraq, Yemen», esordisce David Vin.

I movimenti contro la guerra devono cogliere quest’opportunità storica per diffondere la cultura della pace e la consapevolezza che nessuna guerra è degna di essere combattuta

Vine scrive da oltre vent’anni di guerra. Con i suoi sforzi accademici e la militanza pacifista è impegnato da sempre a provare a rendere questo mondo, un posto migliore, oltre la guerra. In particolare ha supportato negli anni i movimenti di popoli indigeni privati della propria terra in seguito alla realizzazione di basi militari. Come il caso dell’atollo Diego Garcia nell’Oceano Indiano, dove Regno Unito e Usa, tra il 1960 e il 1970, decisero di costruire una base militare congiunta, costringendo la popolazione a un esodo di massa. Alla vicenda ha dedicato un libro, Island of Shame.

NON ESISTONO SOLUZIONI MILITARI CHE POSSANO RISOLVERE LA GUERRA

Non ci sono guerre giuste e soprattutto non ci sono guerre da combattere. Incoraggiare il taglio ai finanziamenti e alle forniture belliche è forse ciò che ci resta da fare per scongiurare il rischio incauto che stiamo tutti correndo con la guerra in Ucraina. «Dobbiamo enfatizzare il fatto che non esistono soluzioni militari alla guerra», interviene David Vine. «Fornire più armi o imporre la no fly zone non farà finire questa guerra. E per quanto si pensi che quest’ultima soluzione possa salvare delle vite, di fatto non lo farà mai. È un provvedimento suicida».

Da questa guerra si stanno traendo grossi profitti, ma le spese militari, come afferma giustamente Swanson, non fanno altro che distogliere sforzi economici e attenzione dalle reali emergenze: «Basti pensare che solo il 3% della sola spesa militare statunitense potrebbe porre fine alla fama nel mondo».

Le sanzioni economiche attuate fino ad ora non faranno altro che peggiorare la situazione dei civili: «Sono i veri responsabili dei crimini di guerra a dover pagare in tribunale», aggiunge Swanson. La via dei negoziati e della diplomazia è l’unica che può metterci al riparo da questo insensato spargimento di sangue. E poi bloccare l’invio di armamenti: bisogna sempre cercare un’alternativa alla guerra, mai legittimarla.

RESTARE PACIFISTI ANCHE SOTTO LE BOMBE DI KIEV

Durante la serata è stato più volte ricordato l’impegno di Yurii Sheliazhenko, docente alla KROK University in Ucraina, obiettore di coscienza ed esponente di spicco del movimento nonviolento del suo paese. «Nessun conflitto ha solo due facce, noi e loro, c’è sempre un terzo lato, quello della verità», ha dichiarato Sheliazhenko in un’intervista. «Invece si mandano armi, il che è pura follia».

La militarizzazione totale della popolazione e la propaganda veicolata dai media ci stanno portando a pochi passi dal baratro. Dobbiamo invertire la rotta, finché c’è ancora tempo. «Spesso – commenta Swanson – mi è stato detto che non avevo il diritto di parlare di pace, a migliaia di chilometri della guerra. Poi penso a Yurii, che continua a opporsi alla guerra con grande intelligenza, mentre vive in una Kiev sotto attacco».

guerra Ucraina
CONTINUARE A PARLARE DI PACE MENTRE ATTORNO SI FA LA GUERRA

Da dove iniziare a costruire la pace? Dagli altri. Curare le ferite lasciate dalla guerra è forse il primo passo. «L’accoglienza dei rifugiati è fondamentale – prosegue Vine – e non solo di quelli che scappano dall’Ucraina. Credo che questo sia un momento cruciale per cambiare la consapevolezza delle persone, il modo in cui percepiscono la guerra, e ribaltarlo facendo leva sull’empatia e sulla solidarietà».

Un mondo oltre la guerra è possibile, dobbiamo immaginarlo «in modo che le future generazioni possano trovare inconcepibile anche solo il pensiero stesso della guerra e non dobbiamo mai dimenticare che in questo momento, mentre parliamo al sicuro nelle nostre case, ci sono persone che stanno morendo, altre che sono state ferite. Persone che stanno abbandonando le loro case senza nulla addosso». Purtroppo, non solo in Ucraina.

In chiusura si ricorda l’interessante iniziativa di PeaceLink di mappare associazioni e comitati italiani per la pace. Se volete segnalare iniziative e progetti da condurre nelle scuole e le università, potete farlo sul loro sito.

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