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Palermo - Quelli nell’immagine di questo articolo sono sua nipote con suo figlio e per lei rappresentano un simbolo di pace in Ucraina. Lara Krekun ha 48 anni, è ucraina e vive in Italia dal 2002. «Sono arrivata qui lasciando mio figlio con i miei genitori nel mio paese natale – racconta –, ero divorziata e dovevo trovare un lavoro per poterlo crescere».
Lara arriva a Rimini e comincia a lavorare come cameriera per una famiglia; negli anni poi si sposta in un albergo dove prima fa la cameriera poi la segretaria. A un certo punto decide di mettersi in proprio e apre una ditta di pulizie che gestisce per dodici anni. Con la pandemia purtroppo è costretta a chiudere e con il suo compagno siciliano decide di trasferirsi sull’isola e precisamente a Monreale dove lui ha casa.
«Ci siamo spostati a luglio del 2020 – continua –, mio figlio è rimasto a Rimini e mio padre, che ha vissuto con me per cinque anni, è tornato in Ucraina, nella nostra città: Sumy sulla linea di confine con la Russia. Oggi penso che praticamente l’ho mandato in guerra – racconta con la voce rotta dal pianto – ma allora non potevo saperlo, volevo preservarlo dal Covid».
A quanto sostiene Lara, le notizie che arrivano qui in Italia non sono le stesse che circolano in Ucraina: «Da tempo dicevo ai miei di scappare, io ho tutta la mia famiglia lì – mio padre, le mie sorelle, le mie nipotine – ma loro non mi credevano, nessuno si aspettava una cosa del genere. Sono stati presi alla sprovvista. Noi siamo cresciuti con la Russia come nostra grande sorella, mia madre è russa, un sacco di nostri parenti sono russi e alcuni sono anche dei militari, altri sono i nonni di bambini cresciuti in Ucraina. È un’assurdità questa guerra».
«L’Ucraina vuole entrare in Europa e Putin non vuole accettarlo, vuole che rimaniamo sotto il controllo della Russia come la Bielorussia – continua –, non vuole la NATO al confine. Quando sono cominciati i bombardamenti i miei familiari mi hanno chiamato e mi hanno detto che tantissimi carri armati avevano attraversato la frontiera per tutta la notte: entravano a cento a cento a intervalli di tredici minuti».
I primi giorni la gente si è spaventata perché non era preparata, ma adesso donne e uomini si sono uniti tutti per andare a combattere: «Le donne in casa costruiscono le molotov, la gente disarmata si mette davanti ai carrarmati, i miei nipoti vanno di notte a chiudere le strade con gli alberi, mia sorella ammazza polli e cucina per i soldati, insieme a suo marito vanno a cacciare i russi, che però sono ragazzini giovanissimi».
«Oggi ho chiamato i miei – prosegue Lara –, è stata la prima notte, dopo cinque, di silenzio, senza bombardamenti, ma dormono vestiti, i bambini sono spaventati non vogliono andare nel sotterraneo. Io chiamo sempre anche durante la notte e sento sparare, ieri hanno ucciso un mio amico di infanzia. Guardo dalle foto le strade della mia città con i palazzi sventrati e i carri armati bruciati e non la riconosco, non riesco a darmi pace e realizzare che sta accadendo sul serio».
Noi siamo cresciuti con la Russia come nostra grande sorella, mia madre è russa, un sacco di nostri parenti sono russi e alcuni sono anche dei militari, altri sono i nonni di bambini cresciuti in Ucraina. È un’assurdità questa guerra
Per fortuna tantissima solidarietà da parte di tutto il mondo sta abbracciando l’Ucraina. «Mio figlio che è a Rimini – racconta ancora – mi dice che ogni giorno raccolgono in un magazzino grandissimo tanti beni di prima necessità poi li caricano sui pulmini e li portano fino al confine. Adesso gli uomini dai 18 ai 60 anni non possono uscire dal Paese perché possono essere chiamati a combattere. Anche a Palermo si sono attivate tante raccolte, una delle più grandi è al Mix Markt che si trova di fronte alla Stazione Centrale».
«Siamo tutti uniti e sosteniamo il nostro presidente – conclude –, stiamo tutti difendendo il Paese. Zelens’kyj è un patriota e siamo tutti con lui. La sera dalla sua pagina facebook fa una diretta in cui racconta tutto quello che è accaduto, avrebbe anche avuto la possibilità di abbandonare il Paese ma non l’ha fatto. È bravo, prima di lui la classe politica era pessima, mio figlio è tornato dall’Ucraina tre giorni prima della guerra e mi ha raccontato che costruiscono nuove scuole, strade e ospedali, che gli stipendi aumentano, la gente vede tanti miglioramenti. Il mio unico figlio Victor vorrebbe andare a combattere, ma io da madre sono molto preoccupata, penso che forse è meglio aiutare da qui, organizzando raccolte di medicinali e di quello che può servire».
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