Gaia e The Climate Route: 18000 chilometri per il clima, dalle Dolomiti allo Stretto di Bering
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«Spesso ci chiedono perché vogliamo andare così lontano: in Italia i segni della crisi climatica ci sono, ma sono poco evidenti e quando si vedono, come gli incendi in Sicilia, restano circoscritti a livello locale; per questo abbiamo deciso di spingerci dove i cambiamenti sono già forti e stanno stravolgendo la vita delle persone». Gaia ha 24 anni e ha fatto in fretta a realizzare che il suo non è un semplice nome proprio: Gaia è Gea e Gea è la Terra, un bene comune senza il quale, semplicemente, nulla potrebbe esistere.
A 8 anni sapeva già di voler proteggere le risorse del Pianeta che ci accoglie e alla domanda “cosa vuoi fare da grande?” rispondeva “salvare le tartarughe!”. Un obiettivo un po’ ambizioso, lo ammette, che però non ha mai abbandonato. Col tempo e con gli studi – un indispensabile mix di biologia ed economia – ha solamente cambiato forma: ora che grande lo è diventata, Gaia è attivista di The Climate Route e per far sentire la sua voce e il suo impegno è pronta a percorrere scomodamente 18mila chilometri.
La spedizione per il clima, ideata dai fondatori dell’associazione Luca, Giorgio, Andrea e Alberto, partirà a maggio dalle Dolomiti italiane e terminerà a settembre nel punto più orientale dell’Asia e più occidentale dell’America, lo Stretto di Bering attraversando Paesi difficili da pronunciare e localizzare, come l’Azerbaijan e il Kirghizistan.
Inoltre si affiderà a mezzi di trasporto che generano tanto stupore quanta inquietudine – chi non ha mai immaginato di essere inghiottito dall’immensità dei paesaggi che attraversa la Transiberiana? Pensando a tale impresa e allo sforzo fisico ed emotivo che richiederà, abbiamo chiesto a Gaia di raccontarci paure e speranze che animeranno la sua avventura e soprattutto cosa vuol dire per lei essere un’attivista.
Hai deciso di abbracciare una forma piuttosto estrema di attivismo: che significato dai alle scelte e alle azioni dei singoli individui? Insomma, il modo in cui viviamo, pensiamo e ci relazioniamo con gli altri e con l’ambiente, ogni singolo giorno… hanno un effetto anche al di là del nostro naso?
Innanzitutto senza le scelte e le azioni di singoli attivisti The Climate Route non esisterebbe! Le radici di questo progetto dicono tantissimo su quanto crediamo nella politica fatta dal basso: tutto è iniziato grazie alle manifestazioni Fridays For Future di Rimini, dove sia io che i fondatori dell’associazione studiavamo e/o vivevamo. Mi hanno raccontato che l’idea pazza di organizzare una spedizione attraverso ben due continenti è venuta fuori proprio dopo una di queste manifestazioni per il futuro: quattro semplicissime persone erano sedute al tavolo di un bar e stavano bevendo uno (o più) spritz!
Mi viene da pensare alle Suffragette: erano due, tre, cinque, dieci, venti le persone presenti in piazza, eppure hanno cambiato il pensiero di un intero Paese. La storia ci dà esempi positivi, ma anche il presente non ne è privo: The Climate Route in pochissimo tempo ha raccolto l’appoggio di tantissimi giovani e non giovani!
È proprio questa la forza dell’attivismo: i singoli piano piano diventano una comunità che può crescere anche rapidamente. Citando, o meglio semi-citando, Zero Calcare potremmo dire che tanti fili d’erba insieme formano un prato.
Quello che la crisi climatica ci impone di cambiare è il nostro modello economico. E, che ci piaccia o no, è una cosa di cui tutti facciamo parte. È vero, ci vuole un movimento dall’alto: tanti studi dimostrano che senza un’inversione di rotta a quei livelli non possiamo raggiungere gli obiettivi di sostenibilità europei e globali. Però è sbagliato non sentirci stakeholder, cioè soggetti interessati e coinvolti, tanto quando le grandi aziende. E così come è vero che la domanda dipende dall’offerta, è vero anche che l’offerta dipende dalla domanda.
L’inazione nei confronti del cambiamento climatico rappresenta un danno economico, una perdita monetaria che coinvolgono proprio tutti; quindi ci conviene iniziare ad agire e a farlo in fretta. È un circolo vizioso e da qualche parte bisogna romperlo. Dal 2017 le aziende, non tutte ovviamente, hanno l’obbligo di redigere report di sostenibilità e se scrivono qualcosa poi hanno il dovere di farlo [il sorriso di Gaia, che ha lavorato nel settore, è tanto sarcastico quanto confortante, ndr].
Si tratta sicuramente di un passo in avanti, anche se quello più grande resta ancora incompiuto e l’attivismo per il clima è appena iniziato. Bisogna arrivare a livelli profondi: la conoscenza è un punto fondamentale, ma non basta. Dal piano della ragione ci dobbiamo spostare a quello delle emozioni, dove non esistono regole e i dati hanno poca presa. Per questo The Climate Route ha scelto l’empatia. E le storie quotidiane di persone come me e te.
Avete scelto la realtà di ogni giorno come espediente narrativo e lo utilizzerete in due modi: racconterete il vostro viaggio (che immaginiamo non sarà privo di disagio) e le esperienze di chi già adesso sta affrontando situazioni che presto potrebbero presentarsi anche a noi qui in Italia.
La paura fossilizza, avventura e alternative possono essere invece un motore positivo. È vero, saremmo potuti restare entro i confini nazionali – ce ne sono di cose di cui parlare qui! Però pensa al Lago d’Aral, che si trova al confine tra l’Uzbekistan e il Kazakistan: le popolazioni locali hanno visto il lago ritirarsi in meno di 60 anni a causa di piantagioni intensive di cotone e siccità e ora lo vedono riempirsi nuovamente. Il Governo infatti ha promosso la costruzione di una diga con l’obiettivo di trattenere le acque dell’affluente più settentrionale, il fiume Syr Darya. A sud, invece, c’è una zona praticamente deserta e molte barche sono lì, piantate nella sabbia, da decenni. Almeno fanno un po’ di ombra ai cammelli!
Ecco, vogliamo andare a parlare con queste persone. Chiedere ai pescatori, per esempio, cosa hanno fatto quando è venuta a mancare la loro principale fonte di sostentamento, come si sono sentiti, cosa pensano di fare adesso che un po’ di acqua è tornata. Possiamo imparare qualcosa dai loro racconti? Forse sì, forse no, non lo sappiamo. Sicuramente è un modo per acquisire consapevolezza dei nostri futuri possibili. Perché in primis si tratta di questo: del destino prossimo del genere umano e della sua salute.
The Climate Route porterà alla realizzazione di un documentario sulla crisi climatica attraverso le alternative e le soluzioni adottate da chi ne sta subendo le conseguenze più gravi e attraverso gli occhi di attivisti e attiviste che, come te, non hanno nessuna intenzione di arrendersi. Sarà un momento di comunità e di condivisione, non solo tra i presenti: sostenitori, curiosi e speranzosi potranno seguire chilometro dopo chilometro le avventure (e disavventure) dei viaggiatori attraverso i social dell’associazione. Inoltre centinaia di persone, attraverso un crowdfunding, hanno contribuito all’acquisto dell’attrezzatura e contribuiranno alle spese di vitto, alloggio e movimento. A proposito della spedizione in sé: c’è qualcosa che ti preoccupa? E se invece potessi esprimere i tre desideri della lampada, cosa chiederesti?
Da viaggiatrice e campeggiatrice so bene che il cibo è sempre il punto debole delle avventure! E in questo caso lo è ancora di più: in Italia è facile, un po’ di pasta e la faccenda è risolta; ma cosa troveremo nelle zone rurali della Mongolia? E in Siberia? Spero in nessuna intossicazione, anche perché se stai male non vai avanti!
Quello che la crisi climatica ci impone di cambiare è il nostro modello economico. E, che ci piaccia o no, è una cosa di cui tutti facciamo parte
E arriviamo ai miei desideri, che in realtà preferirei condensare in uno per avere più probabilità che si avveri: vorrei che i mezzi di trasporto (rigorosamente scomodi e di ultima classe) arrivino tutti e che lo facciano in orario! L’unico modo per arrivare allo Stretto di Bering è prendere un aereo – anche se ne avremmo fatto volentieri a meno – ed è un aereo che decolla solo poche volte l’anno. Dobbiamo per forza arrivare in tempo!
Aspettiamo una foto dall’estremissimo oriente allora! Prima di salutarci: c’è un messaggio che, in quanto abitante di un Pianeta che porta il tuo stesso nome, vorresti condividere con i tuoi coinquilini terrestri, presenti e futuri?
“Lascia il mondo un po’ migliore di come l’hai trovato”. Questa frase, pronunciata da Robert Baden-Powell, è stata molto importate per la mia crescita e il mio senso civico. Ho frequentato gli scout fino a 17 anni e la cura degli spazi pubblici e comuni è sempre stata una mia abitudine, ben prima che le campagne di pulizia di spiagge, parchi e strade diventassero mainstream. Alla fine dei campi o delle escursioni, i capi facevano formare a noi bambini una catena, a quel punto iniziavamo a camminare lungo il prato e raccoglievamo tutto quello che si trovava lungo il nostro breve percorso.
Facevamo un lavoro maniacale e per quanto piccolo potesse sembrare lo sforzo il risultato era incredibile: ognuno aveva raccolto poche cose e pensava di non aver fatto niente, poi però ci guardavamo intorno… Siccome avevamo fatto tutti lo stesso semplice gesto, il prato era completamente pulito.
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