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Metto da parte il mestiere da giornalista per raccontarvi la mia esperienza personale con il Covid, vissuta in contesti e momenti diversi, che mi ha dato la possibilità di riflettere su molti aspetti di questo periodo. La mia esperienza è anche quella di molti e condividerla può essere utile proprio per comprendere e denunciare gli errori, le lacune e le contraddizioni che in questi due anni non ci hanno mai abbandonato.
Nell’ottobre 2020 ero a Milano insieme al mio compagno. Due giorni prima della nostra partenza per la Sicilia compaiono dolori sparsi nel corpo, senso di spossatezza tipico di quando si ha la febbre e temperatura a 38°. Fossero stati altri tempi sarebbe bastata una tachipirina. Questa volta invece no. Chiamo il medico di base di Milano che mi consiglia subito di fare un tampone, «meglio farlo a pagamento altrimenti aspetterà parecchi giorni» mi dice.
Riesco a prenotarlo al prezzo di 92 euro dalla parte opposta della città per il martedì successivo, cinque giorni dopo la comparsa dei primi sintomi. Un’impresa riuscire ad andare non avendo macchina e non potendo prendere nessun mezzo. Chiedo il favore a un amico taxista che, generosamente, mi accompagna prendendosi anche il rischio. Riceverò l’esito al nono giorno della malattia.
Mi avevano assicurato che, in caso di positività, sarei stata informata entro e massimo 48 ore. In realtà di ore ne sono passate 72 prima di ricevere la telefonata “confortante”. La febbre, intanto, dopo il primo giorno era scesa a 37,5° per poi stabilizzarsi a 37,2° per oltre una settimana buona. Ho di fatto ricevuto la telefonata che mi informava dell’esito del tampone quando la febbre era quasi sparita. Se non avessi avuto quel poco di temperatura sarei potuta andare in giro tranquillamente a contagiare chissà quante altre persone.
Non finisce qui. Nonostante il prezzo folle mi informano che non avrebbero avuto modo di caricare online il risultato. Qualcuno sarebbe dovuto andare a ritirare il referto perché, in caso di positività, il medico di base senza un foglio tra le mani non avrebbe potuto proseguire con la burocrazia Covid. E chi andrà, mi chiedevo? Possibile che a Milano non abbiano modo di caricare online un referto? Alla fine è andato il mio compagno, erano passati 9 giorni e non aveva avuto alcun sintomo.
Le chiamate al medico di base per informarla della mia situazione avrei potuto anche risparmiarmele, era come parlare con me stessa dall’altro lato della cornetta. Non mi ha mai consigliato un farmaco, mai una parola di conforto, mai un suggerimento che potesse tirarmi su il morale in giorni che sembravano infiniti e in preda al panico, all’ansia e alla paura più totale. Tutto ciò nonostante di fatto stessi abbastanza bene, senza tachipirina, ma con vigile attesa. Più che le mie condizioni mediche, è stata questa sensazione di sospensione in cui ogni giorno che passava sembrava comparisse un nuovo sintomo a non aiutarmi nella ripresa.
Riusciremo mai a quantificare i danni provocati da una comunicazione spesso strumentale e contraddittoria che ha generato enormi disagi di varia natura in tutte le fasce d’età?
Intanto – e per fortuna – medici dal cuore nobile e dalla vera etica mi chiamavano tutti i giorni senza che glielo chiedessi, per sapere come stessi e consigliarmi le cure più adatte. Uno dalla Sicilia e l’altro da Roma. In una Milano deserta, rinchiusi nelle proprie case per paura e per esigenze politiche e sanitarie, in un’atmosfera vissuta solo in film su apocalissi planetarie ambientate nel futuro, in tanti hanno fatto i conti con loro stessi, con la propria vita e con le proprie paure. Un momento di grande sconforto che ha generato anche tanti cambiamenti positivi e propositivi. Il sistema sanitario lombardo non ha dato con me il meglio di sé, nonostante fossimo già in piena seconda ondata e la malattia non fosse più completamente sconosciuta come nei mesi precedenti.
Dopo un anno e qualche mese il Covid torna a farmi visita a fine gennaio 2022, ma questa volta non mi trova impreparata, da un punto di vista psicologico e farmacologico. Ho studiato molto nell’ultimo anno, per lavoro e per curiosità personale. Solo due giorni di febbre e un raffreddore. In mancanza del tampone sarebbe passata come la solita influenza stagionale. I “soliti” medici dell’anno prima sono stati sempre presenti, anche se non era necessario. Questa volta mi trovavo in Sicilia e devo dire “meno male!”, soprattutto da un punto di vista psicologico. Lo dico nonostante si siano contagiati tutti in famiglia, dalla più grande al più piccolo. Questa volta le avventure sono quelle dei miei parenti.
A Milano, l’anno passato, nessuna indicazione terapeutica; in Sicilia, quest’anno, un protocollo obsoleto: tachipirina e vigile attesa. È il protocollo del Ministero della Sanità suggerito fino a pochissimo tempo fa, lo sappiamo tutti. Mi chiedo come mai non sia stato mai aggiornato tenendo conto delle esperienze vissute in campo dai medici di base e in ospedale.
Come sostiene la Commissione Medico Scientifica Indipendente e come dimostrano alcuni studi, pare che «l’uso degli antinfiammatori possa rivelarsi molto utile nei primi stadi della malattia, a differenza del paracetamolo che ha una bassa attività antinfiammatoria e, secondo alcuni esperti, diminuisce le scorte di glutatione, una sostanza che agisce come antiossidante. La carenza di glutatione potrebbe portare ad un ulteriore peggioramento dei danni causati dalla risposta infiammatoria che si verifica durante l’infezione Covid».
Eppure, mentre lo scorso novembre ero in farmacia a Milano, ho sentito con le mie orecchie un medico dire ad una persona vaccinata e spaventata, con sintomi Covid, di non assumere niente. Avrebbe fatto tutto il vaccino. Nel caso della mia famiglia invece, il medico di base, in totale buona fede, sottolineava l’importanza dell’uso del paracetamolo nonostante ormai la letteratura scientifica sia controversa su questo punto.
Una grande confusione frutto di un’informazione poco chiara e allarmistica. Ci si concentra solo sul tema dei “sì vax” in contrapposizione ai “no vax”. Non sarebbe stato utile invece informare tutti i medici e i cittadini di un protocollo più completo da seguire così da non trovarci impreparati ed evitare un aggravamento della malattia? Non sarebbe stato utile parlare anche di prevenzione? Quante ore in televisione sono quotidianamente dedicate al Covid? Basterebbe davvero poco. Riusciremo mai a quantificare i danni provocati da una comunicazione spesso strumentale e contraddittoria che ha generato enormi disagi di varia natura in tutte le fasce d’età?
Per deformazione professionale quando leggo un articolo non mi fermo mai al primo impatto. Negli stessi giorni in cui la mia famiglia viveva il Covid, ad esempio, su molti giornali impazzava la notizia di una famiglia non vaccinata stroncata dal virus. Un evento così drammatico meriterebbe un approfondimento ulteriore prima che vengano emesse sentenze. Alla luce dell’esperienza personale e familiare, mi chiedo: “Sono morti solo perché non erano vaccinati o anche perché forse non è stata consigliata loro la cura più giusta?”. Non abbiamo ricevuto in merito alcuna informazione dettagliata e puntuale.
A fronte di un medico seguace del protocollo standard, ne ho incontrato molti altri che curano in maniera efficace e immediata proprio perché forti dell’esperienza di questi due anni. Di medici così ce ne sono davvero tantissimi che rassicurano e curano. Mentre scrivo passano in TV messaggi che inneggiano alla paura, emozione che ci domina ormai da parecchio tempo. Quanto questo ci rende vulnerabili e attaccabili? Le strade di molte città e paesi sono state deserte in questi ultimi mesi, sembrava di rivivere le restrizioni degli anni passati. Perché? Perché non si punta a una comunicazione più limpida e chiara incentrata sul confronto?
Mi reputo una persona privilegiata e fortunata, ho a disposizione strumenti di cui purtroppo non tutti possono usufruire. Eppure anche io sono stata vittima di questa morsa tenebrosa e vi assicuro che non ha velocizzato il processo di guarigione, anzi. Figuriamoci per chi ha vissuto una malattia con una gravità maggiore. Una condizione di paura intensa e prolungata abbinata all’isolamento sta contribuendo a fare perdere l’empatia verso il prossimo. Non abbiamo più il controllo delle nostre vite perché non riusciamo, per quanto possibile, a pianificare il nostro futuro e in questo modo si genera così tanta incertezza. E un certo tipo di narrazione ripetuta fino allo sfinimento ogni giorno non può che esasperare tutto.
Condivido con tutti voi le mie perplessità perché non sempre riesco a trovare una logica alle indicazioni e ai comportamenti osservati fino a ora. E invece che dividerci e spaccarci dovremmo cercarci e confrontarci, anche se la si pensa in maniera opposta. L’odio e la disgregazione non hanno mai portato a nulla. Proprio in questi giorni si comincia a parlare di riconciliazione tra “sì vax” e “no vax”. Ma quanto odio è stato generato da entrambe le fazioni?
Quanti pregiudizi e condanne sono arrivati anche da parte di molti giornalisti verso chi la pensava diversamente da loro, perdendo completamente il senso e la deontologia del proprio mestiere? Tutti giudici, tutti pronti a puntare il dito verso l’altro come se, da entrambe le parti, si fosse possessori dell’assoluta verità. Riusciremo a colmare questo profondo divario? Le mie sono solo riflessioni e desideri alla luce di una primavera che, almeno qui in Sicilia, sembra non tardi ad arrivare. Spero porti una vera rinascita culturale e di coscienza in tutti noi.
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