Con la pandemia le ecomafie e i reati ambientali sono cresciuti? Ecco cosa ci dicono i dati
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«Va scongiurato in ogni modo il rischio di infiltrazioni ecomafiose nei cantieri del PNRR, opere che servono alla transizione ecologica del Paese». Sono queste le Parole di Legambiente Piemonte e Valle d’Aosta, che a inizio febbraio ha presentato il Rapporto Ecomafia 2021 insieme a Libera Piemonte, per informare e riportare dati aggiornati sulla diffusione delle ecomafie nelle regioni italiane.
Nonostante le drammatiche conseguenze della pandemia Covid-19, i reati ambientali scoperti nel 2020 in Italia hanno toccato quota 34.867 (+ 0,6% rispetto al 2019): in numeri parliamo di oltre 95 reati al giorno, 4 ogni ora. Come ha spiegato Giorgio Prino, Presidente di Legambiente Piemonte e Valle d’Aosta, «la pandemia non ha fermatole attività illegali. In questo periodo le Ecomafie hanno fatto un lavoro “eccezionale”, senza fermarsi. Nel 2020 sono diminuiti del 17% i controlli, eppure sono aumentati del 12% i crimini e del 14% gli arresti per ecoreati».
SCONGIURARE IL RISCHIO DI INFILTRAZIONI MAFIOSE NEI CANTIERI DEL PNRR
Il fatto che nemmeno l’emergenza pandemica sia riuscita a fermare o a far calare l’incidenza delle pratiche delinquenziali è per Legambiente un dato estremamente allarmante. La preoccupazione è rivolta ai soggetti che beneficeranno dei fondi del PNRR e che saranno chiamati a eseguire le opere finanziate.
Parliamo, ad esempio, dei cantieri per la realizzazione di opere ferroviarie e portuali, impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili e di riciclo dei rifiuti, depuratori, interventi di rigenerazione urbana, infrastrutture digitali, ovvero le opere coinvolte nella transizione ecologica del Paese.
Per quanto riguarda i dati, «un elemento di preoccupazione è rappresentato dalla crescita dei reati ambientali accertati nelle quattro regioni a tradizionale presenza mafiosa (Campania, Puglia, Calabria e Sicilia) che corrisponde, per il 2020, al 46,6% del totale nazionale. Il Piemonte si colloca al nono posto nella classifica generale nazionale e al quinto per quanto riguarda l’illegalità nel ciclo di rifiuti».
INSERIRE L’INCENDIO BOSCHIVO E LE AGROMAFIE TRA I DELITTI AMBIENTALI
Dal 1994 Legambiente lavora sul tema degli Ecoreati. Come ha raccontato Stefano Ciafani, «ci abbiamo messo 21 anni a ottenere la legge sugli Ecoreati, legge di cui ancora oggi sottolineiamo la bontà e l’importanza». Come afferma, ora è fondamentale un deciso cambio di passo che porti a completare il sistema normativo inserendo i delitti ambientali e di incendio boschivo tra i reati per cui è possibile, vista la loro particolare gravità e complessità, prorogare i termini di improcedibilità previsti dalla riforma della giustizia, approvata dal Parlamento.
Con Libera condividiamo la volontà di lanciare un segnale forte su come andranno utilizzati i fondi del PNRR
Andrebbe anche aggiornato il Codice penale «inserendo tra i delitti anche le agromafie, il traffico di opere d’arte e di reperti archeologici e il racket degli animali». Risulta poi fondamentale alzare il livello qualitativo dei controlli pubblici ambientali in tutta Italia, a partire dal Centro-Sud. «Servono nuove risorse finalizzate all’aumento del personale per le valutazioni, le ispezioni e all’acquisto della strumentazione innovativa per effettuare i monitoraggi».
LA CRIMINALITÀ DEL CICLO DEI RIFIUTI
Nel 2019 il ciclo dei rifiuti resta il settore maggiormente interessato dai fenomeni più gravi di criminalità ambientale: a guidare la classifica per numero di reati è la Campania, seguita a grande distanza dalla Puglia e dal Lazio (che con 770 reati sale al terzo posto di questa classifica, scavalcando la Calabria). In Italia quasi 2,4 milioni di tonnellate di rifiuti sono finiti sotto sequestro (la stima tiene conto soltanto dei numeri disponibili che contano 27 inchieste), corrispondenti a una colonna di 95.000 tir lunga 1.293 chilometri, poco più della distanza tra Palermo e Bologna.
I DATI PIEMONTESI
Nella classifica dell’attività operativa (in applicazione della l.68/2015 sui reati ambientali) il Piemonte si classifica al quinto posto. La corruzione ambientale è lo strumento principale usato dalle mafie per legarsi al mondo economico, oltre che a quello istituzionale, raggiungendo obiettivi di lungo periodo e garantendosi affari illimitati. Nell’ultimo anno il Piemonte si classifica ottavo (con 14 inchieste che corrispondono al 3,6% sul totale nazionale).
Nel 2020, nella classifica regionale dell’illegalità del ciclo dei rifiuti, il Piemonte si aggiudica la quinta posizione (in classifica con 569 reati accertati, il 6,8% del totale nazionale). La classifica degli incendi negli impianti di trattamento, smaltimento e recupero dei rifiuti conferma anche in questo caso la quinta posizione del Piemonte a livello nazionale (con 101 incendi in corrispondenza degli impianti) mentre nella classifica regionale degli incendi dolosi, colposi e generici il Piemonte si trova al decimo posto (con un totale di 142 reati).
I FANGHI DI DEPURAZIONE CHE AVVELENANO L’AGRICOLTURA
I fanghi di depurazione rimangono uno dei tasti dolenti della gestione dei rifiuti, che molte volte attiva percorsi ecocriminali. Una delle inchieste più importanti è quella che ha riguardato una parte della provincia di Brescia, rivolta ai fanghi prodotti dall’azienda Wte che si sono rivelati contaminati da metalli pesanti, idrocarburi e altre sostanze inquinanti e che sono stati scaricati senza adeguati trattamenti nei campi agricoli di Lombardia, Piemonte, Veneto ed Emilia-Romagna.
IL BUCO NERO DELLE CAVE ILLEGALI
Secondo Legambiente, risale agli ultimi mesi del 2020 una vicenda avvenuta in Piemonte e più precisamente a Romagnano, in provincia di Novara, lungo le sponde del fiume Sesia. In quest’occasione i Carabinieri forestali hanno messo i sigilli a una cava abusiva di materiale litoide e di sabbie che veniva riempita di fanghi. Come emerge, «il proprietario di un impianto di frantumazione di terre e rocce da scavo presente accanto alla cava è stato denunciato per gestione di rifiuti e attività estrattiva non consentita».
IL CAPORALATO NELL’ASTIGIANO
Un’operazione di particolare interesse per quel che riguarda le filiere illecite dell’agroalimentare ha riguardato il Piemonte e in particolare l’area dell’astigiano. «Nel Nord più economicamente sviluppato, con un’agricoltura specializzata e vicina alle grandi vie commerciali europee, venivano praticate forme particolarmente gravi di caporalato e sfruttamento della relativa manodopera».
La manodopera è nella maggior parte dei casi di origine straniera e originaria di paesi come Nigeria, Gambia, Senegal e Mali. «Nello specifico, alcuni criminali sfruttavano braccianti agricoli immigrati, durante la vendemmia nel Monferrato, pagandoli 3 € l’ora e facendoli lavorare fino a dieci ore ininterrotte al giorno, tutti i giorni del mese».
Tutti questi e molti altri dati sono disponibili nel Rapporto Ecomafia 2021 di Legambiente e Libera Piemonte.
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