Dario Tamburrano: “Vi racconto com’è nata la rivoluzione delle comunità energetiche”
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La scorsa settimana abbiamo inaugurato il nostro dossier sulle Comunità Energetiche Rinnovabili (CER) con un’intervista a Sergio Ferraris, giornalista tra i più esperti in questo ambito. Questa settimana torniamo ad approfondire il tema interpellando l’uomo grazie al quale oggi sono possibili queste Comunità nel nostro Paese: Dario Tamburrano.
Impossibile descrivere Dario in poche righe. Io lo conosco fin dal 2007 e ho seguito da vicino tutto il suo percorso politico sia fuori che dentro le istituzioni. Per saperne di più su di lui potete guardare il suo sito, seguirlo sui social o leggere la pagina wikipedia a lui dedicata. Quello che qui importa, per questo articolo, è che Dario è stato parlamentare europeo tra il 2014 e il 2019 e in quegli anni è stato protagonista di diverse iniziative importantissime sul tema energetico. Tra queste, le Comunità Energetiche.
Prima di entrare nel vivo della nostra conversazione, vi invito a leggere il pezzo su Sergio Ferraris in modo da avere le informazioni di contesto sull’argomento che qui non staremo a ripetere.
TUTTO EBBE INIZIO CON UN FOTOVOLTAICO MANCATO
Dario mi racconta che l’iter che poi lo portò a proporre le Comunità Energetiche in Parlamento ebbe inizio quando – circa 15 anni fa – voleva installare un impianto fotovoltaico sul tetto del condominio del palazzo romano in cui abitava e tutt’ora abita. Dario era cresciuto con lo spettro della guerra fredda – che proprio in queste settimane è tornata drammaticamente di attualità – ed è stato quindi fortemente influenzato dal tema delle possibili emergenze.
Mosso da questo spirito, una volta adulto, ha cercato di mettere in pratica alcune soluzioni che permettessero una maggiore autosufficienza. «Mi dicevo: mettiamo il fotovoltaico sul tetto. Non sarà tanto, ma ci permetterà almeno di coprire le utenze condominiali. Non me lo fecero installare né per uso collettivo né per uso personale. La legge lo vietava. La cosa non mi andò giù».
IL PERCORSO LEGISLATIVO
«Qualche anno dopo sedevo al Parlamento Europeo e mi trovai coinvolto nella revisione dei quadri legislativi per i nuovi obiettivi del 2030, il cosiddetto “pacchetto energia pulita”. In questo contesto, in alcuni di questi documenti, si citava la parola “prosumer” (con questo termine si identifica un destinatario di beni e di servizi che non si limiti al ruolo passivo di consumatore, ma partecipi attivamente alle diverse fasi del processo produttivo) e si leggevano delle cose che noi dicevamo da anni in Italia, sentendoci dare dei “matti”».
In altre parti dello stesso documento purtroppo si sostenevano invece i fautori del gas e del nucleare: «Devi sapere che in seno alla Commissione c’è una sorta di dicotomia tra chi la pensa in un modo e chi la pensa in un altro e questo traspare. In molti pensano che il Parlamento Europeo non conti nulla nel processo legislativo, ma questo è falso. In molti casi, ad esempio, un parlamentare realizza dei report su determinati temi esprimendo una visione o una proposta e tutti i processi legislativi successivi vengono comunque elaborati all’interno dei gruppi politici. È un percorso collettivo, lungo, burocratico che ha anche il suo significato».
In questo contesto avvenne l’impensabile: in un report New Deal di iniziativa parlamentare, redatto da una socialista, laburista molto attenta al sociale – Theresa Griffin – Dario Tamburrano propose un emendamento che conteneva una definizione di prosumer per normare il concetto e farlo diventare portatore di conseguenze reali.
Racconta Dario: «A cavallo tra il 2015 e il 2016, avevo appena cominciato a imparare a mettere a frutto l’esperienza parlamentare europea e creammo quella che pensavo sarebbe rimasta una provocazione. “Intanto vediamo chi ci sta”, ci dicevamo. E invece questi emendamenti vennero votati, il report passò e fu poi approvato a Strasburgo! E così, si cominciò ad affermare non solo il tema dei prosumer singoli, ma anche quello della produzione collettiva».
In questo processo si tentò di far approvare anche la definizione di energia rinnovabile come bene comune, ma questa non passò per pochi voti. In seguito iniziò una vera e propria battaglia politica perché, mi spiega Dario, «l’affermazione di principio magari te la votano, ma poi quando questa diventa direttiva, cominciano le telefonate…». Alla fine, la battaglia fu vinta.
Dario: «Io sono stato il garante del processo legislativo, ma mi hanno supportato vari attori nei vari gruppi parlamentari». Fu comunque un percorso complesso e accidentato: «A un certo punto si cercò di tassare l’energia autoprodotta, invalidando così l’intero sistema… Ricordo che cominciai a fare il paragone con l’acqua che cade dal cielo raccolta nella cisterna, perché l’energia del fotovoltaico è tale, non ha dei costi di trasporto. “Come vi permettete di tassare l’energia autoprodotta che non è stata trasportata da nessuno?”. E l’avemmo vinta».
Ovviamente ci furono tante modifiche ed emendamenti. Lo stesso termine prosumer, ad esempio, fu cambiato in “self consumer”: autoconsumatori che agiscono collettivamente. «La locuzione “self consumer” – mi spiega Dario – non contiene la parola producer: un’operazione semantica necessaria per scardinare tentativi di attacco delle varie lobby».
Nel giugno 2018 quindi viene emanata la direttiva con l’obbligo di recepimento da parte degli stati membri entro giugno 2021. L’Italia non ha perso tempo, anzi è stata rapida, recependo la direttiva con un decreto di novembre, diventato operativo il 15 dicembre 2021. In questo percorso – come afferma Dario – un ruolo fondamentale lo ha avuto il Senatore Gianni Girotto.
UN SISTEMA DI CONDIVISIONE CHE FA INCONTRARE TRADIZIONI ANTICHE E MODERNE TECNOLOGIE
«Le Comunità Energetiche – afferma Dario Tamburrano – sono un sistema per permettere anche a chi non ha la possibilità di installare il proprio impianto fotovoltaico singolo di autoprodurre e autoconsumare energia secondo un modello cooperativo. La condivisione dell’utilizzo delle fonti di energie è percorso che ha radici lontane e si rifà ai forni collettivi del paese, dove si cucinava il pane e la pizza in maniera collettiva, o al sistema degli usi civici».
Le CER inoltre sono un modello nuovo che usa tecnologie all’avanguardia, tra cui anche in parte i sistemi di gestione digitale dell’energia. «Si tratta di recuperare i modelli e le sapienze del passato coniugandole con l’innovazione sociale e le nuove tecnologie. Nel preparare questo dossier, ho chiesto a molti “non addetti al settore” che cosa fossero le CER. E moltissime persone le hanno interpretate come uno strumento di indipendenza, identità, con un pizzico di autarchia. In realtà non è proprio così».
Mi spiega Dario che per diventare autarchici e staccarsi dalla rete non c’era bisogno dell’avvio delle comunità energetiche. L’innovazione di tipo legislativo invece è data dalla trasformazione di un precedente divieto in qualche cosa di incentivato: la possibilità di autoprodursi e autoaccumularsi energia in forma cooperativa. «Faccio l’esempio classico del condominio – aggiunge Dario – che può essere esteso a un Comune o più condomini».
Prima avere un impianto di proprietà collettiva collegato a diversi contatori era vietato, oggi invece questo percorso viene anche incentivato. In questo modo si aprono tutta una serie di opportunità: «Un conto è realizzare un impianto singolo, che comporta delle scale di investimento di un certo tipo, un altro conto è acquistare un impianto più grande destinato all’utilizzo collettivo, cooperativo, che rifornisce più utenze e ottimizza il consumo in loco dell’energia autoprodotta. I consumi delle singole famiglie attaccate a uno stesso impianto infatti raramente coincidono: non tutti accendono il forno nello stesso momento! In questo modo la produzione e il consumo sul luogo vengono sfruttati al massimo e viene anche immessa energia in rete».
I BENEFICI DELLE COMUNITÀ ENERGETICHE RINNOVABILI
Questo modello, oltre ai benefici sociali, economici e ambientali che può apportare alla comunità locale e globale, ha ricadute positive anche nell’ottica del “buon governo”. Considerando che per ridurre i cambiamenti climatici e l’inquinamento dovremo elettrificare buona parte dei nostri consumi, il modello delle CER diventa fondamentale. Se mantenessimo una produzione di energia centralizzata infatti dovremmo installare dei cavi grandi e molto costosi per aumentare la rete di distribuzione nazionale».
Detto questo, sottolinea Dario, non possiamo realizzare una vera transizione energetica e rinnovabile senza pensare a una forma di innovazione sociale di comportamento che comporti una diminuzione di consumi e sprechi e una grande attenzione al valore delle energie.
Ancora una volta, il paragone con i processi naturali è particolarmente efficace: «Così come dobbiamo rimparare a consumare “frutti di stagione”, così dobbiamo cominciare a “consumare energia” nel momento in cui questa viene più facilmente prodotta. Nel caso del fotovoltaico in pieno giorno». Esattamente il contrario della vecchia tariffa bioraria che era stata concepita per il vecchio sistema energetico.
I GRUPPI DI AUTOCONSUMO COLLETTIVO
Nell’immaginario comune, le CER sono legate al piccolo Paese o al borgo di montagna. In realtà, Dario Tamburrano ha citato più volte esperienze di condomini cittadini. Tecnicamente in questo caso non si parla di CER – in cui i soci della comunità non vivono nello stesso stabile – ma di gruppi di autoconsumo collettivo. Entrambi i progetti possono essere avviati non solo dalle amministrazioni, ma anche e soprattutto tra famiglie o piccole e medie imprese.
Dario ci porta l’esempio di un bar situato alla base di un condominio: «Al netto dello smart working, di solito un bar o un forno che fa pane e pizza hanno il massimo dei consumi quando i condomini sono al lavoro. In questo modo i consumi vengono ottimizzati». Ovviamente ci sono casi diversissimi. Ad esempio, esistono palazzi di otto piani con tanti appartamenti piccoli e palazzi di tre o quattro piani con pochi appartamenti grandi per ogni piano. Nel primo caso, i consumi di ogni nucleo sono coperti in misura molto minore che nel secondo (dove si può arrivare anche al 100% dei consumi diurni). Ma ciò non significa che non abbia senso attivarsi anche in un palazzone urbano.
«Qui interviene un principio di conoscenza della resilienza», spiega Dario. «Un conto è non esserlo per nulla, avere quindi lo zero percento di energia autoprodotta, un conto è averne l’1% o il 59%. La differenza tra 0 e l’1% può essere la differenza tra la vita e la morte per la specie umana. Anche pochi centinaia di watt a testa possono incidere in maniera significativa, senza dimenticare gli eventuali vantaggi in caso di catastrofe o di interruzione di tipo naturale, politico, bellico (tema purtroppo molto attuale). Un conto è poter mandare avanti il proprio frigo un conto è non poterlo fare…».
SOGNANDO UN VERO MINISTERO DELLA TRANSIZIONE ECOLOGICA
Dario è sempre stato “avanti” rispetto al contesto storico generale. Chiudo quindi questa intervista chiedendogli cosa auspica per il futuro: «Mi piacerebbe un vero Ministro della Transizione Ecologica che invece di terrorizzare le persone e inneggiare al nucleare o alla fusione andasse in TV a promuovere le comunità energetiche, che sono oggi il modo più efficace di ridurre le emissioni, il costo delle bollette, e la dipendenza energetica italiana».
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