Spostarsi ai tempi del Covid: il virus ha colpito anche la mobilità sostenibile?
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La paura collettiva – spesso ingiustificata – generata dal virus e dall’approccio mediatico nei suoi confronti ha avuto ripercussioni anche su un settore cruciale nella vita quotidiana di ogni persona: la mobilità, in particolare la mobilità sostenibile. Distanziamento sociale e misure restrittive mirate al contenimento dei contagi hanno messo in ginocchio un trasporto pubblico che faticosamente stava e sta cercando di sostituire il mezzo privato nelle abitudini di spostamento degli italiani e delle italiane.
Di tutto questo, con un focus particolare sulle soluzioni e sulle prospettive del prossimo futuro, abbiamo parlato con Simona Larghetti, presidente della Consulta della Bicicletta, consigliera comunale nel capoluogo emiliano e delegata Metropolitana per la Bicipolitana, SFM e Sicurezza Stradale.
Il rapporto ISFORT parla di un crollo di circa il 50% dell’utenza del trasporto pubblico nel 2020, in parte compensato da un aumento della mobilità dolce. Tuttavia a settembre 2021 il traffico stradale si è riassestato nuovamente sui valori pre-Covid. Quale sarà la tendenza dei prossimi mesi secondo te?
I dati della Città Metropolitana di Bologna sono migliori rispetto al dato nazionale e non siamo tornati ancora ai valori pre-covid. Purtroppo nelle aree urbane il miglioramento delle percentuali delle persone che hanno iniziato a spostarsi in bici, a piedi e con il monopattino è compensato negativamente dalle tante persone che hanno abbandonato il trasporto pubblico per spostarsi con l’auto privata. È molto difficile fare previsioni, si susseguono crisi su crisi. Il caro-benzina potrebbe far tornare in auge il trasporto pubblico, ma serve una iniezione di fiducia nei confronti dei mezzi pubblici, anche da parte delle istituzioni, oltre a investimenti per migliorare servizi che spesso sono carenti e poco attrattivi.
Sempre secondo Audimob, “lo spettro di un ritorno alla vecchia normalità completamente centrata sull’uso dell’auto è quindi dietro l’angolo”. Come fare per evitarlo?
Il Governo dovrebbe smettere di investire sull’incentivazione all’auto privata, a partire dall’acquisto. Purtroppo prevale la retorica dell’aiuto a chi non può permettersi di non spostarsi in auto: ma se a queste persone non diamo alternative prolungando la loro dipendenza dall’auto privata non li stiamo aiutando, ma stiamo peggiorando la loro situazione sul lungo periodo.
Il mercato delle biciclette è in forte espansione: credi che sia già in grado di sostituire almeno parzialmente quello automobilistico a livello non solo di utenza, ma anche economico e occupazionale?
Dal punto di vista tecnologico e di potenziale occupazionale non ci sarebbero problemi. Non dobbiamo pensare alla vecchia e classica bici a due ruote: per sostituire l’auto serve un variegato parco mezzi a propulsione umana che sia capace di intercettare tutte le esigenze. Dalle cargo-bike – necessarie per il trasporto di bambine e bambini, spesa, animali domestici e accompagnamento adulti – ai tricicli – adatti alle persone anziane o con difficoltà deambulatorie –, ai quadricicli elettrici, utili alla logistica dell’ultimo miglio, con autonomie di 100 chilometri e portata fino a 150 chili in celle refrigerate.
Scendendo nel concreto però, come abbiamo visto in occasione del bonus-bici, il mercato non può improvvisare l’offerta: servono pianificazioni di cicli produttivi di anni, servono competenze e un accompagnamento mirato dello sviluppo del Settore, che negli ultimi anni ha delocalizzato e svenduto in maniera improvvida. Alcuni marchi importanti hanno riportato la produzione in Italia, come Bianchi e come FIVE, ma serve un ragionamento guidato.
Il traffico ferroviario a lunga percorrenza non si è ancora ripreso dalla flessione dovuta al Covid. Cosa si potrebbe fare per risollevarlo?
Occorrerebbe fare buona informazione: i treni non sono luoghi pericolosi dal punto di vista del rischio del contagio. Poi osserviamo che le stesse persone che non vogliono prendere i mezzi non si fanno problemi a fare l’aperitivo in locali affollati; la differenza è che il trasporto ferroviario spesso non è vissuto come una esperienza positiva e il pregiudizio fa il resto. Con l’uso delle mascherine FFP2, il trasporto in treno è più sicuro di mille situazioni che viviamo senza problemi, non sono mai stati riscontrati focolai all’interno dei mezzi pubblici dalle indagini epidemiologiche fatte, anche perché spesso i contatti sono a distanza e per tempi brevi, oltre che protetti dalla mascherina.
Ancora oggi vige l’obbligo di Green Pass rafforzato sui mezzi pubblici. Che ripercussione ha avuto questa prescrizione sull’utilizzo del TPL? Ritieni che sia stata – e sia tutt’oggi – una misura necessaria oppure le conseguenze negative hanno superato quelle positive?
L’aspetto più negativo di questa prescrizione è il fatto che il trasporto pubblico, essendo un servizio essenziale, non dovrebbe avere limitazioni diverse da quelle di un supermercato o di una farmacia. Nei termini concreti, l’obbligo della FFP2 e controlli adeguati per l’uso corretto della mascherina sui trasporti avrebbero offerto garanzie maggiori alla prevenzione al contagio sui mezzi rispetto al Green Pass rafforzato. Purtroppo il trasporto pubblico è finito nel calderone dei servizi sacrificabili per convincere le persone a vaccinarsi, il che la dice lunga sulla cultura condivisa di come valutiamo il trasporto pubblico stesso.
Bologna è una delle città più attive d’Italia nella campagna per l’istituzione del limite dei 30 km/h. A che punto siamo? Quali sono i vantaggi di un simile provvedimento?
I vantaggi sono infiniti: Bruxelles, che li ha istituiti, ha già visto un decremento significativo dell’incidentalità e in alcuni tratti della città anche dei tempi di percorrenza. La ragione è intuitiva: accelerare fino a raggiungere i 60-70 km/h nei contesti urbani, dove il traffico è intenso, non ci fa arrivare prima, ma anzi crea dei tappi con effetto “lombrico” che rendono meno fluida la circolazione. Le continue accelerazioni e decelerazioni, oltre a produrre molto smog e rumore, creano lunghi incolonnamenti in alcuni punti e contribuiscono alla congestione. La velocità media di un’auto in città va dagli 8 km/h ai 16 km/h, arriva ai 25 soltanto di notte.
Istituire il limite dei 30 quindi non significa andare più piano complessivamente, ma mantenere una guida più regolare, con beneficio sullo stress ma anche sull’incidentalità, dandoci il tempo di reagire agli ostacoli, di contemplare l’esistenza di altri utenti più lenti in strada e di convivere più pacificamente. A Bologna non si è ancora partiti perché la preparazione culturale è quella più complessa. Si stanno intanto moltiplicando le zone 30 nelle aree residenziali e pianificando alcuni interventi, perché non basterà mettere un cartello con il limite: dobbiamo ridisegnare lo spazio urbano, dando più spazio a chi va a piedi e in bici, così da favorire la convivenza.
Cosa pensi del recente stanziamento a favore dell’automotive da parte del Governo nell’ambito del pacchetto contro il caro bollette?
La mia posizione riflette quella già assunta dalle maggiori associazioni ambientaliste come Greenpeace, Legambiente, FIAB e Salvaiciclisti, che lo ritengono un provvedimento inutile ai fini della ripresa economica, il solito regalo verso un sistema di mobilità che ci rende più poveri e meno in salute. Le persone non hanno bisogno dell’auto, hanno bisogno di potersi spostare in modo comodo ed efficace. Le due cose non coincidono, dal momento che siamo il Paese con il maggior numero di auto e con le maggiori inefficienze nel sistema mobilità.
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