Chtulucene: come sarebbe il mondo se non fosse dominato dagli esseri umani?
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Come è possibile diventare pienamente consapevoli dei gravi limiti della nostra capacità di aggiustare il mondo senza consegnarsi all’apatia, all’impotenza e alla depressione? Oggi più che mai abbiamo bisogno di storie che nutrano la fiducia verso le residue capacità della nostra specie di vivere e morire bene o almeno di sopravvivere sul nostro pianeta danneggiato.
Per questo possiamo farci ispirare dalle storie di Donna Haraway, filosofa e biologa femminista, che nel saggio Chtulucene. Sopravvivere su un pianeta infetto, ci propone un viaggio tra scienza e arte, storie di fantascienza e di progetti reali, in cui la nostra specie si trova insieme alle altre, in posizione non dominante. Sono storie che hanno per protagonisti orchidee e piccioni, bambinə di periferia e di campagna e artiste dell’uncinetto, coralli e api estinte e tanti altri esseri variamente intrecciati tra loro.
In ciascuna di esse, l’essere umano perde la sua eccezionalità per assumere un ruolo gregario, collaborativo e responso-abile. Chtulucene, responso-abile: sono due parole del fantasioso lessico di Haraway. Per immaginare un modo per sopravvivere sul pianeta infetto e raccontare intrecci tra specie diverse, il linguaggio è stato arricchito di parole nuove, anch’esse fonte di ispirazione e riflessione, ricreate in italiano dalle traduttrici Claudia Durastanti e Clara Cicconi.
Chtulucene è composto dalle radici greche khthon, terra, e kainos, ora, e indica l’era in cui viviamo ora, guardando oltre l’antropocene. Responso-abilità amplia il significato di responsabilità, estendendolo anche al mondo non umano, per indicare la capacità di rispondere all’altrə, secondo le forme e le possibilità della propria specie. Entrare in questo lessico non semplice significa accettare la sfida di rendere i concetti più elastici per far incontrare discipline diverse.
Come nel caso del progetto Ako del Madagascar, in cui convergono zoologia, arte ed educazione. Una storia di guarigione parziale dal classismo e dal colonialismo, avviata dalla primatologa Alison Jolly per restare in contatto con la contraddizione tra il sostegno alle comunità locali, che bruciavano le foreste per le loro piccole coltivazioni e la difesa dell’habitat dei lemuri, oggetto della sua ricerca.
Grazie alla collaborazione con illustratrici, ricercatorə non occidentali e insegnanti locali, è stato creato un libro di avventure di giovani lemuri, in inglese e in malgascio, per bambinə delle comunità locali, con scarse risorse educative, che non avevano mai incontrato i lemuri. Un esempio di mondeggiamento, altra parola del lessico di Haraway, tra pratiche e discipline, che ha contribuito a far crescere una nuova generazione di primatologə malgascə.
Chtulucene ci propone un viaggio tra scienza e arte, storie di fantascienza e di progetti reali, in cui la nostra specie si trova insieme alle altre, in posizione non dominante
In tutte le storie del libro emerge chiaramente che per continuare a vivere abbiamo bisogno di creare insieme e generare parentele tra viventi. Nello Chtulucene l’individualismo non è più una risorsa. Non è possibile usare la categoria dell’individuo autonomo e isolato, perché la realtà si mostra come intrecci e relazioni tra corpi viventi e non viventi, nei quali i membri della specie Sapiens sono solo uno dei nodi della tela. I corpi stessi, ci insegna la biologia, sono fatti di compresenze e relazioni multispecie.
Di queste interazioni Haraway propone letture multiple, che non mettono in discussione il modello evoluzionista, ma invitano a riflettere sulla possibilità di integrare nelle storie di adattamento e selezione naturale la dimensione affettiva. Come nel caso dell’orchidea Ophrys Apifera, che si è evoluta per produrre fiori che hanno la forma api femmine, ma non trova più l’ape maschio che può impollinarla, perché la sua specie si è estinta. Il fiore si impollina da sé, ma continua a mantenere la forma di quell’ape morta.
“Non ricorda questo un modo complesso di conservare memoria del passato?”, scrive Haraway mentre riporta la vignetta Bee Orchid di xkcd – che illustra la storia della Ophrys Apifera, come se il fiore esprimesse il ricordo dell’ape estinta – e la descrive come forma di ecologia dell’intimità. Per questi e altri esempi discussi nel libro, Haraway fa uso del concetto di simpoiesi, che indica strutture che producono in maniera collettiva, non hanno confini di spazio o di tempo, e sono ambientalmente interdipendenti.
La rete delle idee di Chtulucene, pur essendo radicata nel pensiero materialista, è aperta e non esclude connessioni con tradizioni spirituali che reagiscono alla disperazione, illustrate nel libro con la discussione dei molteplici significati, insieme pratici e cosmologici, dell’arte della tessitura Navajo nella Black Mesa.
Possiamo estendere l’intreccio di arte, scienza ed emozioni aggiungendo altre connessioni nello Chtulucene? Nel potenziale trasformativo e affettivo del creare insieme, che Haraway chiama simpoiesi, sembra risuonare la compassione, che Matthew Fox pone al centro della via transformativa. La compassione che, scrive Fox, “abbraccia tutto perché è la nostra risposta all’interdipendenza di tutte le cose”, la compassione come creazione di giustizia, che riguarda “l’unirsi della specie umana alla danza del creato nella sua ricerca di equilibrio”.
Un modo di intendere la compassione che sembra dialogare con l’invito di Haraway a generare parentele oltre la riproduzione: “Allargare e ridefinire la parentela è un processo legittimato dal fatto che tutte le creature della Terra sono imparentare nel senso più profondo del termine e già da tempo avremmo dovuto iniziare a prenderci più cura delle creature affini come assemblaggi e non delle specie una alla volta”.
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