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Imperia - A fine del 2019 erano 27.608 i bambini nel nostro Paese collocati fuori famiglia: un dato che impressiona, fa riflettere e fa sorgere tante domande. Il numero lieviterebbe ancor di più se si tenesse conto anche dei MISNA, ovvero dei minori stranieri non accompagnati. Ma chi sono questi bambini? Da quali situazioni arrivano e cosa vuol dire per loro essere collocati in un’altra famiglia?
Ne abbiamo parlato con Nazzareno Coppola che, insieme alla moglie, nel 1995 fonda l’Associazione Progetto Famiglia. Nel suo curriculum l’associazione può vantare in questi anni di attività circa 90 bambini accolti all’interno della sua struttura.
QUANDO TUTTO EBBE INIZIO
Nazzareno mi racconta che sia lui che la moglie sono di Sanremo, il cui Comune nel 1994 deteneva il record di numero di minori in stato di abbandono rispetto al numero totale di abitanti. «All’epoca mia moglie era volontaria in un istituto e abbiamo scoperto questa situazione che ci era vicina, ma che fino ad allora non conoscevamo. Ne siamo rimasti colpiti: istituti pieni di bambini con situazioni di disagio. Come era possibile? E perché non se ne parlava?».
La coppia non conosce nulla di affido, occupandosi di altro, e così inizia a studiare e a cercare di comprendere come funziona la legge italiana a tal proposito. Passano così due anni in cui gettano le basi per il progetto di casa famiglia e iniziano a fare a loro volta informazione, invitando tutti a non voltare la testa dall’altra parte: «Eravamo sicuri che l’intera comunità dovesse essere coinvolta. Era una situazione che riguardava tutti, non solo i bambini nelle strutture. Tutti gli abitanti avevano e hanno la possibilità di avere un ruolo attivo».
Nasce così, su questi presupposti, nel 1998 a Taggia la prima casa famiglia in Liguria e, come sottolinea Nazzareno, «non c’era ancora una legge regionale, così la difficoltà è stata ancora maggiore, perché dovevamo comprendere come muoverci senza avere chiaro cosa fare e come farlo. Fortunatamente nel tempo sono nate altre strutture simili alla nostra e dal 2004, attraverso Cofamili, di cui siamo tra i fondatori e che coordino a livello regionale, esiste un coordinamento di tutte le Case Famiglia per Minori della Liguria».
Essendo stata tra le prime a partire, l’associazione si è trovata quindi a dialogare con la Regione per supportare gli uffici tecnici nella stesura delle normative regionali e definire, in base alla propria esperienza, il numero di bambini massimo che che è possibile accogliere e le condizioni per poterlo fare.
LA CASA FAMIGLIA
Casa Pollicino accoglie bambini dagli 0 ai 10 anni in stato di affidamento. Nazzareno mi spiega che in Italia la legge è fatta molto bene e tutela sempre il minore, il quale prima di essere tolto dalla famiglia di origine passa attraverso delle attente valutazioni da parte di più figure professionali. Pertanto i minori che vengono sottratti alle famiglie biologiche arrivano da situazioni mediamente “gravi”, che vanno dall’impossibilità di prendersi cura del figlio a episodi di maltrattamento, violenze, assenze, dipendenze.
Per le situazioni di difficoltà più lievi invece esistono soluzioni di supporto, come l’affido educativo, che permette al minore di ricevere un aiuto da parte di figure esterne alla famiglia consentendogli però di continuare a vivere con essa. «Ogni bambino o bambina che ci viene affidato arriva da situazioni di emergenza ed è un nuovo mondo che si apre, di cui inizialmente non conosciamo nulla».
Se non avessi avuto l’opportunità di vivere in una famiglia normale non avrei avuto il coraggio di avere a mia volta dei figli
«Iniziamo a cercare di comprendere quanto più possibile sul suo vissuto, su chi è e di quali esigenze ha e lo possiamo fare solo attraverso un’equipe di educatori e psicologi. I bambini possono restare per un limite massimo di due anni nelle strutture di accoglienza, dopo di che verrà deciso se farli rientrare nella situazione di origine o in famiglia affidataria o in adozione».
Cosa accomuna questi bambini? «Arrivano da situazioni molto diverse tra loro, ma sono tutti alla ricerca di qualcuno che li ami e che li faccia sentire amati. Dentro di loro, per la nostra esperienza, portano tutti seppur in maniera diversa un grande senso di colpa. Si sentono responsabili per ciò che hanno subito e vissuto fino a quel punto e per essere stati allontanati dalla loro famiglia di origine».
L’IMPORTANZA DI VIVERE IN UNA FAMIGLIA
Nazzareno mi spiega che il fatto di essere inseriti in un contesto di famiglia riveste un ruolo centrale nello sviluppo di questi minori, in quanto hanno la possibilità di vivere una situazione più protetta e accogliente possibile, con l’accudimento da parte di adulti che li amano e li supportano, ma anche con l’aiuto di figure professionali che possano essere d’aiuto per ogni esigenza.
A conferma di questo un esempio mi viene riportato proprio dalla storia di una bambina, oggi donna e madre di tre figli, che venne inserita molti anni fa nella struttura di Casa Pollicino con una storia di molestie alle spalle. In una recente chiamata, ringraziando la famiglia affidataria, ha confidato: «Se non avessi avuto l’opportunità di vivere in una famiglia normale non avrei avuto il coraggio di avere a mia volta dei figli».
DALL’ITALIA ALL’UCRAINA
In questi mesi si sono attivati a supporto delle famiglie ucraine una serie di servizi, tra questi la raccolta delle disponibilità ad accogliere profughi di guerra provenienti dall’Ucraina. Le segnalazioni vengono ricevute da servizi specifici che si occupano di verificarne l’idoneità dei requisiti richiesti e di effettuare l’accoppiamento con le domande ricevute di accoglienza. A questo link la scheda informativa per accoglienza in emergenza di profughi ucraini presso famiglie liguri.
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