24 Mar 2022

Banche Armate: i tuoi soldi alimentano l’industria delle armi?

Scritto da: Valentina D'Amora

Spesso si sceglie una banca affidandosi al passaparola, al costo di aprire un conto, alle promozioni, alla casualità. Questa, in realtà, è un'azione importante e dal forte impatto. Alcuni istituti di credito sono legati al business delle armi: "banche armate", quindi, che alimentano un mercato disumano e devastante. Mai come oggi è importante esserne consapevoli.

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Genova - Tra le azioni di sostenibilità più impattanti che ognuno di noi può compiere ogni giorno non ci sono (solo) comprare sfuso, preferire la filiera corta, scegliere la mobilità dolce, autoprodurre. No, la più impattante è decidere a chi affidare i propri soldi e i propri risparmi.

In questi giorni di guerra il tema delle armi è caldissimo, ci smuove, ci tocca da vicino, ci spaventa e ci indigna allo stesso tempo. Ognuno di noi, nel profondo, non può fare a meno di chiedersi come rendersi utile, per attivarsi e fare la propria parte. Ne ho parlato con il presidente e il vicepresidente dell’associazione Cittadini Sostenibili, Andrea Sbarbaro e Giacomo D’Alessandro, che da anni divulgano la campagna sulle Banche Armate, promossa da tre riviste, Mosaico di Pace, Missione Oggi e Nigrizia.

In che modo, scegliendo una banca piuttosto che un’altra, alimentiamo l’industria delle armi?

Il commercio di armi avviene grazie a transazioni di denaro. Tantissime banche consentono queste transazioni o hanno voci di investimento in questa filiera all’interno del proprio business commerciale. Un cliente come un altro, insomma. Ogni banca che rifiuta di prestarsi alla compravendita di armi è terreno tolto sotto ai piedi dei mercanti della morte. Quando apri il tuo conto in una “banca armata” senza saperlo o senza pensarci diventi, consapevole o no, un complice di questa filiera, perché anche i tuoi soldi tengono in piedi gli investimenti e la credibilità di un istituto bancario.

andrea sbarbaro
Andrea Sbarbaro durante un incontro divulgativo
Come si può fare una scelta sostenibile sul piano ambientale e umano?

In questo momento più che mai è difficile trovare qualcuno che non sia “per la pace”. Peccato che la pace non stia in piedi da sola: va costruita e rafforzata con gesti anche personali. Tenere i propri soldi a servizio di una “banca armata” equivale a fomentare l’industria delle armi. Togliere i soldi da una “banca armata” e scegliere un istituto che ha fatto esplicite scelte di rifiuto del commercio di armi, equivale ad allargare il terreno di una pace possibile. Ogni anno il Governo pubblica le tabelle con tutti gli istituti bancari e l’importo di denaro, di transazioni legate a compravendita di armi che sono state autorizzate per quell’anno. Chiunque sia realmente per la pace dovrebbe “punire” il loro business mettendo i propri soldi e investimenti da un’altra parte.

La Rete Disarmo da decenni promuove scelte alternative e informazione trasparente su questo tema a livello nazionale. Come strumento pratico per orientarsi, non possiamo che ricordare la nostra mappatura degli acquisti sostenibili. Abbiamo dedicato una sezione anche alle banche, segnalando realtà virtuose – come Banca Etica – ma soprattutto segnalando strumenti e siti web che permettono di capire se una banca supporta o meno progetti che minaccino l’ambiente, la società e i diritti umani.

Guerra e crisi climatica: in che modo vanno a braccetto?

In tre parole: le guerre distruggono, inquinano e distraggono. Costringono un popolo a sopravvivere e gli altri popoli a occuparsi di rifugiati, raccolte alimentari, negoziati, invece che affrontare tutti insieme la devastante crisi climatica che è in atto. Gli armamenti inquinano due volte: quando vengono usati, ma soprattutto quando vengono prodotti, perché sono risorse materiali, economiche, ricerca e sviluppo, sforzo produttivo e commerciale che vengono impiegati in armi invece che nella transizione ecologica.

Dall’altro lato, i drastici cambiamenti climatici in atto possono danneggiare le economie locali, diminuire la produzione agricola e le risorse a disposizione, intensificare le disuguaglianze tra gruppi sociali: da qui possono facilmente scaturire tensioni e conflitti. Su questo tema è impossibile non citare il libro “Effetto serra, effetto guerra” di Grammenos Mastrojeni, che spiega molto bene le complesse interconnessioni tra i conflitti e l’emergenza climatica.

banche armate in piazza
Come state supportando la campagna di Banche Armate?

Come Cittadini Sostenibili abbiamo creato materiale semplice e intuitivo che chiunque può adottare, appendere e condividere, che rappresenta la classifica delle maggiori “banche armate”, nome per nome. Per aiutare chi vuole cambiare a farlo. Abbiamo inoltre dialogato spesso con enti pubblici e privati, sensibilizzandoli e informandoli. Nel nostro lavoro sul territorio abbiamo anche raccolto con soddisfazione segnali importanti su questi temi, come la nota pubblica dell’Ordine degli Psicologi della Liguria, che conta migliaia di iscritti ed ha preso una posizione netta sul tema.

 Tenere i propri soldi a servizio di una “banca armata” equivale a fomentare l’industria delle armi

Noi possiamo far conoscere quello che si sa già da anni, ribadire in nuovi linguaggi il concetto, parlarne in ogni occasione pubblica, dirlo alle manifestazioni per la pace, votare forze politiche che intendono ridurre armamenti e difesa, spostare risorse su clima e sociale. Ma poi sono i cittadini e le aziende a dover agire: se in migliaia cambiassero banca, gli istituti bancari si farebbero due domande. Si tratta del famoso “voto col portafoglio” dell’economia civile.

È vero che si stanno incentivando le esportazioni di armi anche in Paesi in cui sarebbero vietate, come quelli in stato di conflitto armato, i cui Governi sono responsabili di gravi violazioni di diritti umani e la cui politica contrasta con i principi dell’articolo 11 della Costituzione?

È vero che una legge, la 185 del 1990, sanciva il divieto di vendita – ma anche solo di transito – di armi dall’Italia a paesi in conflitto o in palese violazione dei diritti umani. Questa legge è continuamente disattesa. Ce lo dicono i lavoratori dei porti italiani – a partire dal CALP di Genova – che coraggiosamente documentano il passaggio di “navi della morte”, carico e scarico o anche solo transito di armamenti e sistemi di difesa diretti ai teatri di guerra. Come le Bahri, le navi saudite che portano armamenti alla guerra in Yemen, una delle più letali per migliaia di bambini, come definito dall’ONU.

È vero anche che c’è un graduale allentamento da parte di diversi istituti di credito delle direttive rigorose che avevano emesso alcuni anni fa, allo scopo di finanziarie e offrire servizi bancari anche ad aziende che producono ed esportano armamenti. Questo accade se si riduce il “fiato sul collo” della società civile su questi temi. E alla fine siamo tutti in piazza a manifestare per la pace, mentre il nostro sistema è sempre più attrezzato per fare e consentire le guerre. Il profitto vince ancora sull’umanità.

Cambiare banca può essere davvero così risolutivo?

Decidere a chi affidare denaro e credibilità è uno strumento potente. Perdere clienti è una paura che anche le grandi aziende sentono, specie se questi cambiamenti partono delle campagne di denuncia che fanno i loro nomi. L’immagine per loro è tutto. Usiamo a nostro vantaggio questa possibilità. Dire alla propria banca “so che siete implicati nella compravendita di armi, io cambio banca” è un gesto impegnativo, rivoluzionario, concreto che possiamo fare oggi per dire con i fatti il nostro “sì” a un’umanità in pace.

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